Sono un vostro recente lettore. Scorrendo alcuni dei vostri articoli non ho potuto fare a meno di notare i continui riferimenti all'impreparazione delle nostre forze armate nel secondo conflitto mondiale.
Tra le cause del fenomeno, troppo spesso si valutano fattori come l'impreparazione della classe dirigente del tempo, o i presunti o veri episodi di tradimento, come dei vari complotti destinati a favorire la sconfitta militare della Nazione, onde favorire la caduta del regime fascista. Ma spesso non si tiene conto di cosa fosse allora il nostro paese: una nazione ad economia agricola, condizionata dalla persistenza del latifondo a conduzione manuale, con un'industria limitata alle sole zone settentrionali del paese, industria condizionata dalla scarsità di materie prime e di fonti energetiche come il carbone, che influiva sia nello sviluppo dell'industria siderurgica ed in quello delle ferrovie, altro fattore indispensabile nell'economia di guerra.
Se a questo aggiungiamo la scarsa qualità dei servizi commerciali e di comunicazione, così come il diffuso analfabetismo, specie nelle regioni meridionali, possiamo comprendere la scarsa preparazione delle nostre forze armate, riflesso della condizione economica del paese.
P.S. Noi avevamo teorici come Giulio Douhet, teorizzatore del bombardamento strategico, così come Amedeo Mecozzi, sostenitore dell'aviazione d'assalto, ma il nostro capo di stato maggiore generale Pietro Badoglio sosteneva la politica dell'uomo, del mulo, del fucile e del cannone, un scenario ottocentesco, quando negli anni Venti a Kazan russi e tedeschi di Weimar sperimentavano la guerra corazzata.
C.B.
Gentile lettore, sono tutte ottime osservazioni, non sempre argomentate da noi, che condivido.
La domande potrebbero ora essere: "si tiene conto di cosa sia oggi il nostro paese?" e "la retorica, dopo il ventennio, è davvero cambiata?"
Siamo cresciuti al coro di: "prodotto invidiato in tutto il mondo", "esempio della capacità nazionale", "successo italiano...". Era davvero così?
All'analfabetismo non dovremmo dunque aggiungere il cronico "provincialismo" che non ci fa vedere oltre il nostro orticello?
Nel 2023 l'Italia genera ancora moltissimi "Douhet" e "Mecozzi", ma purtroppo anche troppi (troppi!) "Badoglio". I primi - disgustati - emigrano, i secondi...
La vera differenza tra il nostro popolo e le altre nazioni è l'orizzonte strategico: altrove ha durate decennali, il nostro è semestrale. Nel frattempo (da 162 anni) i governi cambiano in media ogni 1,2 anni.
In Europa sane strutture e sistemi statali funzionano anche in presenza di Badoglio di passaggio, in Italia non esistono e si spera (illudendosi) nella vittoria elettorale di nuovi - sedicenti - Douhet e Mecozzi...
Toccherà far qualcosa per amore di questo Paese?
Andrea Cucco