Il popolo italiano è per sua natura individualista, difficilmente esso può farsi nazione, diremmo che fino ad oggi, da quando la penisola è stata artificialmente unificata il 17 Marzo del 1861, ciò non è mai accaduto, le ragioni sono svariate, storia, antropologia, geografia, potrebbero essere alcuni dei campi da scandagliare per cercare di comprendere tale situazione, tuttavia non è questa la sede in cui procedere a tale analisi, la premessa resta unicamente funzionale allo stupore suscitato dal fatto che un popolo intriso di tale solipsismo possa annoverare, nel corso della storia, centinaia di migliaia di uomini capaci di atti straordinari intrisi di etica, pietas, ingegno ed altri valori che difficilmente sono riscontrabili nel resto del mondo.
Uno tra i tanti uomini illustri di cui è doveroso mantenere viva la memoria e di cui forse troppo poco si è parlato fu certamente il comandante Salvatore Todaro.
Ufficiale della Regia Marina, in servizio durante il Secondo Conflitto Mondiale si distinse per le sue temerarie azioni nell’Atlantico prima, nel mar Nero successivamente e quindi nel Mediterraneo.
Uomo di mare, sicuramente per nascita, era infatti messinese, dimostrò il suo attaccamento all’elemento liquido attraverso la capacità di comandare con successo sommergibili e motopescherecci armati sempre con un solo obiettivo, tenere fede al proprio giuramento, senza mai dimenticare di essere un appartenente all’umanità intesa come quell’insieme di individui che volenti o nolenti, in guerra o in pace sono costretti a convivere su questa terra.
Membro delle Forze Armate italiane, alleate della Germania, guidò il suo naviglio contro gli anglo-americani nella Battaglia dell’Atlantico, contro i russi nel blocco navale del Mar Nero e finì la sua vita nel Mediterraneo al comando di un motopeschereccio armato della X flottiglia MAS impegnato in azioni di incursione contro i porti tunisini.
Potremmo dire sia stato nemico degli amici ed amico dei nemici ogniqualvolta il suon senso etico ed il suo spirito da soldato di mare lo condussero a tali estreme, ma ineluttabili scelte.
Memorabile fu la sua azione, il 16 Ottobre del 1940, dopo l’affondamento del piroscafo armato belga Kabalo, nave inserita nel convoglio di rifornimento allo sforzo bellico inglese OB.223.
Dopo aver lanciato tre siluri dal suo sommergibile “Cappelini”, non riuscendo ad affondare il naviglio nemico, il comandante Todaro decise di colpire in emersione, l’azione, seppur estremamente rischiosa, ebbe successo ed il Kabalo colò a picco, a quel punto Todaro, pur misconoscendo, perché non ancora in vigore la II Convenzione di Ginevra del 1949 ed il I Protocollo Aggiuntivo del 1977, diede al mondo una lezione di Diritto di guerra che sarebbe passata alla storia, infatti soccorse i 26 naufraghi nemici trainando, attraverso l’utilizzo di una cima, la zattera con a bordo i marinai belgi, avendo la ferma intenzione di condurli ad un porto neutrale, spezzatasi la cima che consentiva il traino imbarcò a bordo del suo sommergibile gli sventurati del mare e li condusse sulle isole Azzorre.
Con questo atto dimostrò quanto poc'anzi affermato e cioè di saper essere all’occorrenza amico dei nemici e nemico degli amici, a tale proposito affrontando la curiosità del secondo di bordo del Kabalo sul perché di quel gesto di clemenza rispose semplicemente di essere un uomo di mare consapevole che avrebbe trovato nel suo interlocutore un individuo capace di reciprocità in nome dell’etica marinaresca, con pari sagacia davanti alla censura dell’ammiraglio Doenitz, comandante delle unità sommergibili dell’Asse operanti in Atlantico, nel merito dell’atto di clemenza e del precedente affondamento del naviglio nemico in superficie, attraverso l’impiego della mitragliatrice di bordo, difese il suo atto marchiato di “donchisciottismo” limitandosi a dire: “Il fatto è, ammiraglio, che io in quel momento sentivo sulla schiena il peso di molti secoli di civiltà. Un ufficiale tedesco, forse, non avrebbe sentito quel peso”.
È chiaro che i Todaro non potranno mai essere imbrigliati nello sterile ed ormai al crepuscolo fenomeno del nazionalismo, ma forse la vera forza dell’Italia e la sua unica speranza per il futuro va riposta in questi individui che fortunatamente la Penisola è ancora in grado di partorire.
Lettera a firma: L’homme qui va