Illustre direttore, mi stupisce osservare il grande clamore mediatico che ha suscitato l’uso della lingua inglese in un messaggio di una campagna promozionale della Marina Militare, evidentemente orientata ai giovani di diciotto anni, per il reclutamento in accademia navale.
In questi giorni ho letto su diverse testate critiche ma anche apprezzamenti per il nuovo modo di comunicare che ha adottato la Marina (apprezzamenti soprattutto all’inizio, come risposta ad alcune critiche, che da principio sembravano oneste ma che ad uno sguardo più attento mi hanno fatto destare il dubbio che forse dietro c’è qualcuno o una rete che mira a sconfessare l’operato della Marina). E sì, perché, vedere questi continui attacchi subdoli, proprio perché si attaccano ad una semplice campagna promozionale, che può piacere o non piacere, ma certo non merita così tanta enfasi sui giornali o che non aspira ad inserirsi quale icona comunicativa da essere ricordata o citata dall’accademia della Crusca, fa riflettere. Chi è più attento potrebbe collegare questi attacchi traversi a qualcosa di più complesso.
Forse dopo tanti anni di silenzio la Marina ha aperto ad una comunicazione che ha mostrato ciò che la Marina fa quotidianamente, Mare Nostrum ne è stato un esempio. Allora si comprende che, in un periodo di vacche magre, dove la torta è sempre più piccola e i commensali gli stessi, la critica potrebbe esser funzionale a creare un alone di fastidio nei confronti di una forza armata che, con diritto, reclama la sua giusta considerazione in quello che dovrebbe essere il piano strategico del Paese.
Certo parlo di piano strategico o pensiero strategico, perché siamo in trepidante attesa del nuovo Libro Bianco della Difesa, annunciato qualche mese fa dal ministro della difesa Pinotti. A dire il vero chi si occupa di tali questioni, si è stupito nel vedere che, nelle linee guida di redazione del Libro Bianco, pubblicate sul sito della Difesa e nel quale si invitavano i cittadini ad esprimere le proprie opinioni e a suggerire le proprie idee, mancasse ogni più piccolo riferimento alla parola marittimità, mare o comunque desiderio e velleità di considerare l’Italia una nazione che faccia del potere marittimo il fattore determinante del proprio sviluppo.
Se oggi dovessimo azzerare completamente lo strumento militare e rimodularlo o ristrutturalo, visto la disposizione geografica dell’Italia, le criticità essenzialmente marittime a cui si deve fare fronte e il ruolo che l’Italia dovrebbe avere nel Mediterraneo, avrebbe senso avere una così grande sproporzione in termini numerici e di mezzi tra Esercito, Aeronautica e Marina. Li ho volutamente elencati in ordine decrescente in base al personale che impiegano. Io, ma come me qualsiasi altro cittadino non omologato, non avrei dubbi nell’immaginare un Italia che faccia dello strumento navale il suo strumento cardine per diventare punto di riferimento internazionale in Mediterraneo (invito, chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, a leggere un articolo interessante dell’ambasciatore Paolo Casardi dal titolo “Libro Bianco: Il ruolo della diplomazia tra Esteri e Difesa” pubblicato su una interessante rivista di geopolitica IL NODO DI GORDIO, anno III- Num. 6 – settembre 2014, pag. 34).
Italia riferimento del Mediterraneo è anche quello che si auspicherebbero gli Stati Uniti e la NATO. Avere una Nazione come la nostra con una Marina Militare ben fornita e importante che garantisca senza alcun limite la sicurezza nel Mediterraneo. Questo farebbe molto bene al nostro amato Paese. Gli investimenti in tale settore comporterebbero crescita sia industriale sia occupazionale e ci aiuterebbero a crescere come un Paese rinnovato, che conta davvero nel panorama geopolitico internazionale. Questo ci farebbe uscire una volta per tutte da un’atmosfera politica da operetta che stiamo vivendo in questo ultimo periodo.
Ma torniamo alla questione da cui eravamo partiti e cioè le critiche feroci a questa nuova campagna pubblicitaria della Marina. A prescindere dalle opinioni, ciò che in pubblicità decreta il successo di una campagna di comunicazione sono i risultati, quindi chi ha pensato questa campagna dovrà valutarla sui risultati e gli obiettivi raggiunti.
Mi occupo per passione e per professione di comunicazione e trovo che l’uso della lingua inglese non dovrebbe essere vista come una lingua nemica, che cancella la storia e la tradizione dei popoli che la usano con un sentimento di apertura al mondo e alla globalizzazione. Da sempre nella storia si assiste a fenomeni di contaminazione lessicali e culturali tra due o più popoli che si incontrano. Forse il motivo per cui in Europa e a livello internazionale per molto tempo abbiamo stentato a comunicare alla pari con gli altri interlocutori e che nel nostro sistema formativo l’inglese lo si studiava un po’ con leggerezza e lo si relegava a una misera opzione nei propri curricula vitae. Oggi non è più così e finalmente abbiamo capito, tranne qualche eccezione, che conoscere l’inglese è una necessità e un’opportunità non più rimandabile. Lo dimostra anche l’assorbimento di tanti termini inglesi nel vocabolario italiano, come week end, business, manager, marketing, audience, miss, record, stress e via così.
Mi sembra che nessuno critichi, o lo abbia fatto in passato, il concorso di bellezza Miss Italia chiedendo che fosse tradotto in Signorina Italia. Nessuno si scandalizza se gli offrono la possibilità di risparmiare in un bed and breakfast piuttosto che nella nostrana Pensione Margherita. I giornali sono pieni di queste espressioni e le pubblicità che ospitano, anche solo per promuovere un liceo, lo facciano invitando i genitori all’open day o giochino sull’equivoco e sull’unione di addirittura due termini, tenetevi forte, entrambi inglesi, Eat e Italy, che nella campagna pubblicitaria, pubblicata anche su La Repubblica diventa Eataly, finalizzata a promuovere il cibo italiano.
Io trovo che sia un bene che una forza armata come la Marina, che sintetizza la marittimità italiana e ha una grande storia, che è anche scrigno di valori e tradizioni, si sia scrollata di dosso un po’ di polvere e abbia cercato di arrivare ai più giovani in maniera nuova e fresca. Mi sembra che per il particolare lavoro che svolgono i marinai siano una categorie di persone orientate alla mobilità e allo scambio con altri popoli.
Non mi stupisco negativamente se qualcuno giudica non forbito l’uso del termine cool ma mi domando se l’approccio così critico di alcuni non sia invece il sintomo di un distacco altero, pregiudizievole che vede sempre il popolo dall’alto verso il basso. Quindi forza ragazzi e Join the Italian Navy, almeno per il coraggio e l’intraprendenza i comunicatori della Marina hanno dimostrato di essere coerenti con le tradizioni dei loro predecessori.
Cordialmente
Sebastian Nicci
(giornalista freelance)