Credo che quello annunciato nel titolo sia un dilemma che tutti i militari che per decenni si sono addestrati, esercitati e perfino partecipato alle missioni pianificate e condotte dall’Alleanza atlantica si siano posti almeno una volta nella loro carriera professionale.
I più anziani se lo saranno posto già a partire dalla dissoluzione dell’ex Unione Sovietica, nel 1991. Fino a quella data, infatti, far parte di forze armate appartenenti alla Nato significava avere almeno ben chiaro chi era il nemico: dovevamo difenderci da un attacco del blocco sovietico rappresentato dalla Russia e dai paesi del cosiddetto Patto di Varsavia.
Il principio della difesa collettiva, di una semplicità perfino disarmante, era basato sul fatto che un’aggressione a uno dei suoi membri equivale a un’aggressione a tutti. L’esistenza di un trattato del genere (a cui aderì sin da subito la gran parte degli Stati europei occidentali) ha contribuito, indiscutibilmente, al relativo mantenimento della pace mondiale fungendo da contrappeso alla minacciosa presenza dell’Armata Rossa dell’ex impero comunista.
Ho specificato “relativo” mantenimento della pace mondiale, poiché le due superpotenze finirono con il confrontarsi militarmente in campi neutri, sparsi nei vari continenti tra Indocina, Sudamerica, Caraibi, Africa e Medioriente (le famigerate guerre per procura).
Far parte di una tale impegnativa Alleanza ha anche permesso agli Stati europei aderenti di non ricadere in quei conflitti secolari che hanno caratterizzato decenni di contese europee e, probabilmente, di odii mai sopiti e pronti a riesplodere alla prima occasione.
Nonostante il fallimento iniziale della Comunità Europea di Difesa (CED), il successivo travagliato cammino verso l’Unione Europea, oltre a consolidare i rapporti commerciali e diplomatici tra i vari paesi aderenti tanto da incentivarne l’allargamento a ben ventisette, ha sicuramente contribuito a consolidare il mantenimento della pace nel bellicoso “vecchio continente”.
Bene. Adesso però ritengo sia lecito chiedersi se un’Alleanza concepita in un contesto storico e in uno scenario geopolitico completamente differente dall’attuale abbia ancora senso di esistere e, anche in caso affermativo, in quali termini e modalità sia opportuno mantenerla.
La Nato, come si legge sul suo sito ufficiale, si fa promotrice dei valori democratici e la sua attività deve spingere i membri a collaborare sulla difesa, sulla sicurezza e con l’obiettivo di prevenire i conflitti. Tante belle parole di cui però mi permetto di contestarne sia il raggiungimento che il perseguimento dei buoni propositi esplicitati. Andiamo per ordine ed iniziamo dalla prima, forse la più altisonante delle affermazioni: la Nato si fa promotrice dei valori democratici. Una dichiarazione così pomposamente enigmatica può significare tutto e il contrario di tutto.
Chi può dire con assoluta certezza quali siano i valori democratici? Oppure, può essere la promozione di tali valori prerogativa e caratteristica peculiare di chi ha esclusivo diritto di appartenere a tale alleanza? Non credo che possa essere un tratto distintivo quello di promuovere valori democratici, a meno che qualcuno mi dimostri che la Svezia o la Finlandia (che della Nato non ne fanno parte) non siano paesi democratici.
Passiamo, adesso, alla seconda meno roboante affermazione: spingere i membri della Nato alla collaborazione con l’obiettivo di prevenire i conflitti.
Fatemi capire: il paradigma della difesa mondiale, la più forte e longeva alleanza militare della storia, spinge i suoi Stati aderenti a prevenire i conflitti? E da quando? E io che pensavo si scrivesse Nato ma che si leggesse Stati Uniti allora mi sbagliavo?
Qualcuno sa indicarmi quali siano stati i conflitti prevenuti dalla Nato? Non certo quello del 1994, in Bosnia Erzegovina, con l’operazione “Deliberate Force” con cui la Nato scatenò una campagna militare aerea fatta di intensi bombardamenti con 400 cacciabombardieri (per lo più decollati dalle nostre basi di Aviano e Istrana) e 5000 militari di 15 nazioni. E neppure nel 1999, in cui con l’operazione “Allied Force” La Nato scatenò un’altra guerra aerea contro la Jugoslavia di Milosevic. Peraltro, in quell’occasione si inaugurò un pericoloso precedente in quanto era la prima volta in cui la NATO usava la forza militare senza l'approvazione dell’ONU.
Sempre a proposito di prevenzione dei conflitti vogliamo citare l’intervento in Afghanistan, in cui per far valere la clausola di difesa collettiva si è stiracchiato il trattato all’art. 5 per legittimare l’intervento dei paesi della Nato che andavano in soccorso agli Stati Uniti dichiarando guerra al terrorismo internazionale. E gli Stati Uniti – dopo vent’anni di guerra – hanno poi ringraziato i loro alleati (che nel frattempo avevano pagato un altissimo tributo di sangue) organizzando una fuga rocambolesca senza neppure avvisarli.
Si badi bene, chi scrive non è contro la Nato e neppure soffre di antiamericanismo represso. L’Italia, come il resto dell’Europa, non può fare l’ipocrita e non riconoscere che l’Alleanza Atlantica ha avuto come principale obiettivo quello di sfruttare il potenziale bellico degli Stati Uniti per garantirsi un ombrello sotto cui ripararsi. E così ha funzionato per tanti anni di pacifica convivenza con il potente alleato che, nel frattempo, si dilettava nel giocare a fare il poliziotto del mondo intervenendo dove meglio credeva e, soprattutto, dove più gli conveniva. E all’Europa stava pure bene così, purché i guai fossero il più possibile lontano dai propri confini. Ma adesso il conflitto in Ucraina ha di colpo aperto gli occhi a tutti e ci fa guardare alla Nato sotto un profilo diverso e, forse, con sentimenti perfino contrastanti.
La domanda cruciale dopo oltre un mese di guerra è se serve ancora una alleanza a trazione Stati Uniti quando un conflitto rischia di degenerare proprio per l’incapacità o la mancanza di volontà di prevenire e disinnescare il conflitto stesso? Sicuramente le cancellerie europee hanno tergiversato senza prendere iniziative degne di tale termine, ma, dal canto loro, gli Stati Uniti non hanno fatto altro che gettare benzina sul fuoco.
E allora la domanda sorge spontanea: siamo sicuri che gli interessi degli Stati Uniti siano gli stessi degli alleati europei?
In attesa della classica “sentenza dei posteri”, io una proposta ce l’avrei. Quello in Ucraina, che la si chiami guerra od operazione speciale, è un confronto bellico che riguarda il continente Europa, nella sua accezione più vasta ed inclusiva della stessa Russia. La Russia è parte della storia dell’Europa e l’errore più comune che si può commettere quando ci si riferisce a quell’immenso paese è considerarlo un corpo estraneo.
La Russia, storicamente, è sempre stata una protagonista attiva delle vicende europee. Ha segnato il declino dell’impero napoleonico e, un secolo dopo, quello del Terzo Reich. Tutti i tentativi di invasione, in età moderna con Napoleone e contemporanea con Hitler, si sono trasformati poi in enormi disfatte (già questo basterebbe a far ragionare chi vuole mandare i carri armati in Ucraina).
Da cui la proposta: si prenda lezione dalla storia e si organizzi una Difesa collettiva seria tra gli appartenenti allo stesso continente. Poi, si intensifichino le relazioni tra i paesi vicini senza ogni volta mostrare i muscoli (peraltro neppure propri) della Nato.
Se l’Europa vuole bene a sé stessa, cominci a contare sui propri mezzi e si guadagni la credibilità militare con una politica estera e di difesa credibile senza voli pindarici.
Chissà che con questi semplici presupposti il conflitto, forse, oggi non sarebbe neppure esistito…
Fabio Filomeni
Foto: ministero della difesa