Lascio agli esperti il compito di analizzare l’iniziativa “epocale” promossa dal ministro Elisabetta Trenta in fatto di sindacalismo militare; vorrei limitarmi ad evidenziare due aspetti di irrinunciabile rilevanza, non prima di aver premesso una innegabile verità.
Un sindacato che si rispetti, come qualunque rappresentanza di categoria, per difendere gli interessi dei propri adepti di fronte a una controparte che si dimostri sorda a recepire le istanze che le vengono proposte non dispone che di un'arma: lo sciopero.
(Primo aspetto) Nel mondo militare “sciopero” significa “disubbedienza”. Fu e resta emblematica l’esperienza dei controllori di volo benedetta a suo tempo dall’allora Comandante Supremo delle Forze Armate Sandro Pertini che, per evitare uno shock istituzionale, sancì la smilitarizzazione della categoria.
(Secondo aspetto) Se i vertici militari non riescono a far pesare di fronte al potere politico la loro voce in fatto di bilancio della difesa (quello italiano confrontato con quelli di nazioni similari è impresentabile), di obsolescenza di sistemi d'arma e di linee mezzi, di condizioni delle infrastrutture e dei poligoni, di retribuzione del personale ecc, i vertici non possono che scegliere tra due strade: A, dire signorsì e chinare il capo, oppure B, dire signornò e dimettersi. Mentre con l’opzione A le cose non cambiano o, come accade in Italia da decenni, cambiano in peggio, con l’opzione B si possono ipotizzare due scenari. Se riguardano un caso isolato, come già successo, le dimissioni servono solo a mettere in speranzosa fibrillazione i potenziali candidati alla successione del dimissionario, candidati che avranno premura di lanciare chiari messaggi di aver preso le distanze dal “ribelle”. Ma se a dimettersi ...fossero due-tre-quattro figure chiave? Allora sarebbe un terremoto non da poco ed emergerebbe con evidenza come dire signorsì può assumere una connotazione negativa mentre il signornò può assurgere al rango di quella che De Gaulle definiva “la virtù della disobbedienza”.
Tenuto tuttavia conto che alla classe politica e a gran parte dell’opinione pubblica italiana del mondo militare non interessa granché, temo che in ogni caso il declino delle nostre Forze Armate continuerà inarrestabile, di pari passo con le decurtazioni dei bilanci militari. E per creare una cortina fumogena intorno al collasso di un problema che investe la sicurezza, l’orgoglio e la dignità nazionali, il ministro Elisabetta Trenta continuerà a occuparsi di sindacalizzazione delle Forze Armate, di lotta all'obesità, di riduzione del 25% del numero dei cappellani militari, del mitico intramontabile uranio impoverito ereditato da generazioni di politici affetti da strabismo ideologico conclamato e, dulcis in fundo, della bitumazione delle strade della Capitale. Una politica insomma che mira a creare un soldato tuttofare, in versione Anas-Croce Rossa-Vigile del fuoco-tutore dell'ordine pubblico e traghettatore di clandestini, buono insomma per qualsiasi ruolo meno che per quello di combattente. Il tutto con buona pace dei nostri confini nazionali che una recente corrente di pensiero sostiene non sia più necessario vigilare e difendere. Sarebbe interessante conoscere in merito il parere dei vertici militari; attenzione però, perché c'è da mettere a rischio uno scranno al Senato o alla Camera o una poltrona a Bruxelles o un ufficio direttivo in qualche azienda di livello nazionale.
Gen. D. Nicolò Manca
(già comandante della brigata Sassari)