Egregio direttore, ho ascoltato con amarezza le parole del dottor Tito Boeri durante la trasmissione di Rai3 “Che Tempo Che Fa” in risposta alla domanda del conduttore Fabio Fazio su come il governo può raggiungere la soglia del 2% del Pil da destinare alla spesa militare, in base all’impegno (non vincolante, ma rinnovato) tra i Paesi NATO. Mi sarei aspettato un’analisi comparativa, legata alla necessità di mantenere lo strumento militare a determinati standard ma il dottor Boeri, economista e ex presidente dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), di cui non mi sono noti eventuali trascorsi militari, si è espresso con un laconico “Se potessimo togliere un po’ di privilegi…", lasciando intravedere una superficialità di analisi che non può essere giustificata con semplici percentuali.
Quello che più mi colpisce è l’uso della parola "privilegi", particolarmente odiosa in qualsiasi contesto e assolutamente fuori luogo in quello militare. Sebbene nel dopoguerra una parte della popolazione si arruolasse per ricercare un posto di lavoro sicuro, nel tempo il trend è decisamente cambiato. La sempre maggiore professionalizzazione del personale ed i contatti con altre realtà operative hanno portato alla creazione di staff sempre più motivati, cresciuti nella tradizione dei loro Reparti ma proiettati verso il futuro. Da questo connubio, tradizione e innovazione, sono nate le attuali Forze Armate e di polizia, uomini e donne fortemente motivati al servizio del Paese. Sentire la parola privilegi dei servitori dello Stato, in un ambito pubblico come quello televisivo, è quindi fuori luogo.
Da figlio di militare, sono cresciuto in una casa in affitto dove a fatica si arrivava a fine mese, l'unico privilegio dell'epoca era uno sconto sui treni che accumunava i familiari durante le licenze di mio padre (privilegio che, non si preoccupi, non esiste più da oltre 40 anni). Una vita dura che decisi di seguire, da ufficiale, frequentando l'Accademia Navale, per poi servire per quasi 15 anni sulle navi ed altri 22 in incarichi sia in Italia che all’estero... una vita non facile, che ho condiviso con tanti colleghi, di qualunque grado e forza armata, passando lunghi periodi lontano dagli affetti personali, effettuando missioni complesse e a volte rischiose. Italiani in divisa che fanno grande il nostro Paese, svolgendo attività dove non esistono privilegi di alcun tipo; ho visto ufficiali e marinai condividere la stessa nave, lo stesso cibo, gli stessi turni di guardia, in giorni che apparivano senza fine, scanditi dalle albe e dai tramonti, dove il mare non era sempre da cartolina e ci ricordava la nostra fragilità umana. Mi consenta ora di rivolgermi direttamente all’interessato.
Egregio dottor Boeri,
nella trasmissione “Che tempo che fa?” del 29 gennaio lei ha citato i privilegi dei militari. Da militare che ha servito per quasi 40 anni nella Marina Militare sono rimasto a dir poco amareggiato dalle sue affermazioni. Non mi riferisco alle sue valutazioni sulle spese militari, che denotano una sua scarsa conoscenza del meccanismo della pianificazione degli armamenti in campo nazionale e NATO, ma ad alcune affermazioni sui da lei considerati privilegi dei militari e sul reale impegno degli stessi in zone di conflitto.
Evidentemente lei non conosce la loro vita e quella delle loro famiglie. Da marinaio, mi sarebbe piaciuto condividere con lei tanti di quei giorni passati in mare durante le delicate missioni di sicurezza marittima per la protezione del nostro traffico commerciale, o anche in zone di guerra come in Afghanistan dove, tra una missione e l’altra, riposavamo in tende di 80 persone, ammassati su sudici materassi che ci passavamo a rotazione tra colleghi di diverse nazioni; sarebbe stato interessante per lei passare una giornata tra le sirene delle ambulanze che trasportavano i feriti dalle piazzole elicotteri di Kabul e ricercare alla sera con ansia gli amici che a volte non ritornavano; vivere la realtà che non è quella patinata, radical chic, mostrata da certi show televisivi, ricchi di belle parole e propositi, ma quella vera dove l’Uomo, suo malgrado, per il senso del dovere e la dedizione al nostro Paese, è chiamato ad affrontare rischi quotidiani. Se lo faccia confermare dai giornalisti di guerra, che condividevano con noi quei giorni, tra la polvere ed il sudore. Ma forse anche questi per lei sono privilegi. Per rispetto a tutti i servitori dello Stato, invece di fare del buonismo gratuito, bisognerebbe avere il coraggio etico e morale di riconoscere a questi Italiani il loro sacrificio e ricordare che i conflitti, sebbene combattuti dai militari, sono comunque sempre frutto di una decisione politica.
Non ultimo, lei ha affermato che i militari, per fortuna senza aver fatto nessuna guerra, si ritrovano delle pensioni molto ricche. Questa affermazione è sconcertante ed offensiva … in primis, lo dovrebbe dire ai familiari degli oltre 180 militari caduti in combattimento dopo la seconda guerra mondiale nello svolgimento di operazioni su teatri esteri e a quelli di coloro che sono deceduti a causa di gravi malattie contratte per motivi di servizio. Lei pensa che una pensione privilegiata sia sufficiente a colmare il loro dolore?
Sulla “ricchezza” delle pensioni da lei citata, essa è, come lei dovrebbe ben sapere, data dai contributi da loro versati direttamente alla fonte ogni mese, basati su stipendi inferiori alle medie europee e del continente americano. Per esperienza diretta le posso dire che i colleghi della NATO, oltre ad aver stipendi più elevati, hanno organi di protezione sociale che gli assicurano cure mediche gratuite, esenzioni IVA su tutti i generi, e assistenza alle famiglie quando impiegati in zone di guerra o di conflitto. Non mi pare che questo avvenga in Italia dove ogni servitore dello Stato inviato in missione riceve un’indennità tassata alla sua massima aliquota e non gode di nessun privilegio.
Torniamo al personale che presta servizio sul territorio nazionale; soldati, marinai, avieri, carabinieri, poliziotti, finanzieri e vigili del fuoco (ma anche protezione civile, crocerossine, etc) hanno servito e servono quotidianamente in silenzio e abnegazione il nostro Paese. Un impegno che hanno sempre dimostrato durante le calamità naturali, dove e quando richiesto, come durante l’ultima pandemia. Di quali privilegi sta parlando?
Voglio sperare che le sue affermazioni siano basate sul fatto che sono esperienze che lei non ha mai provato. Da marinaio, mi permetta di dirle che probabilmente non sa cosa vuol dire uscire di notte su una aletta di plancia, con un vento gelido che ti taglia la faccia, per cercare di individuare dei naufraghi da salvare, passare giornate con il mare in tempesta mangiando solo pane secco e gallette perché è impossibile cucinare, convivere il gelo della plancia e l’inferno delle sale macchine per giorni e notti. Questo viene ripagato sicuramente meno di un gettone per la partecipazione di pochi minuti ad un programma televisivo.
Un impegno costante che questi uomini e donne, e le loro famiglie, sottoposte a trasferimenti periodici non sempre facili, non affrontano certo per gli stipendi che ricevono. Lo fanno, per quanto possa sembrarle anacronistico, perché decidono di servire con abnegazione il nostro Paese cosa che, lei concorderà, ogni servitore dello Stato, in divisa e non, dovrebbe fare. Una tendenza che può sembrare controcorrente in una società che preferisce “non guardare” ai problemi e lasciarsi trasportare sulle onde del gossip e del panem et circenses. Forse per questo i servitori dello Stato danno fastidio: perché sono trasparenti e mostrano un volto dell’Italia pulito che non ha bisogno di lazzi e lustrini per dimostrare il suo valore. Questi uomini e donne lo dimostrano tutti i giorni, assicurando la difesa e sicurezza dello Stato, pur consapevoli che i media spesso si ricordano di loro solo quando fanno notizia.
Andiamo ora su un campo che le è sicuramente più congeniale. Da tecnico, dovrebbe sapere che gli stipendi statali non sono certo comparabili a quelli del privato. Gli stipendi dei dirigenti militari e delle forze dell’ordine sono in linea con quelli delle altre amministrazioni (probabilmente la percentuale dei dirigenti di prima fascia militari che si avvicinano agli stipendi di analoghi dirigenti di altre amministrazioni dello stato è piuttosto bassa) … inoltre, le differenze di stipendio tra i militari in servizio non sono più significative come 50 anni fa.
In pratica, le buste paga sono diversificate dalle attività effettuate, tanto è vero che gran parte delle indennità aggiuntive, quelle che fanno la differenza, sono quelle straordinarie (come ad esempio le indennità di missioni di guerra, di imbarco, di volo, di forze speciali, etc.). Nel conto di fine mese entrano anche gli emolumenti per i servizi oltre l’orario canonico, come i servizi di guardia e le attività svolte per la nostra sicurezza (pensiamo a carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco e finanzieri), che non possono essere sempre completamente retribuite a causa della mancanza cronica di fondi. Forse l’opinione pubblica non sa quanti di loro operano oltre il dovuto pur sapendo che non saranno retribuite in toto. Si chiama coscienza professionale, la stessa che troviamo in altri settori della società come gli ospedali, dove infermieri e medici continuano a lavorare oltre l’orario di servizio per il nostro benessere.
Come lei ben sa, gli stipendi e le indennità dei militari vengono tassati secondo regole ben precise dello Stato e vengono ripagati alla fine delle loro carriere con un’indennità di quiescenza che è sempre commisurata alle attività personali degli aventi diritto. La prego di notare che ho usato il termine quiescenza e non pensione, perché i militari, a differenza degli altri servitori dello Stato non in divisa, al raggiungimento dei limiti di età lasciano il servizio effettivo ma possono essere sempre richiamati in caso di emergenza fino a tarda età. Non ci sono quindi regalie di alcun tipo, in quanto ogni loro periodo di servizio pensionabile viene sempre riscattato alla fonte. Sarebbe invece interessante comprendere come, dal momento del congedo alla pensione definitiva, possono passare dieci e più anni per il completamento della pratica, cosa che, mi permetta, dovrebbe essere la priorità maggiore dell’Istituto. Forse lei ha provato a migliorare la situazione, ma mi pare che ancor oggi esistano questi problemi che costringono gli aventi diritto a dover sollecitare il completamento delle loro pratiche.
In sintesi, sarebbe cosa gradita che lei non usasse più il termine “privilegi” in quanto le sue affermazioni televisive non solo hanno offeso migliaia di Italiani ma hanno ferito il loro spirito, i loro ideali, le loro motivazioni che fanno grande il nostro Paese, un vulnus che un Dirigente dello Stato della sua esperienza non può ignorare. Credo quindi che sarebbe opportuno da parte sua di chiedere ufficialmente scusa a tutti i servitori dello Stato ed alle loro famiglie, uomini e donne che condividono i valori più alti della nostra Costituzione che non possono essere vilipesi in uno studio televisivo.
contrammiraglio (riserva) Andrea Mucedola
Fotogramma: RAI