Iraq: Difesa Online visita i peshmerga del generale Barzani, la "Tigre Nera"

(di Davide Bartoccini)
01/12/16

Il tempo in Iraq è scandito dal té che puntualmente viene servito ad ogni incontro da sottoposti svelti e silenziosi. Scrivo Iraq, ma penso Kurdistan, perché è qui che mi trovo: nel Kurdistan iracheno, non semplicemente nel nord del paese, come scrivono sbrigativamente i giornali e come qui detestano essere riassunti. A meno di 20 miglia da Mosul, sul fronte di Makhmur, si trova il campo peshmerga 'Black Tiger'. Al caldo di un camino appena acceso sotto una tenda coperta da reti per la mimetizzazione, sono al cospetto del generale di brigata Serwan Barzani. 

Il generale siede tra noi e con tono pacato e distinto ci racconta come sia difficile combattere un nemico insidioso, asimmetrico, multiforme e ben addestrato come l'ISIS. "I combattenti dell'ISIS sono inclini a cambiare in fretta le loro tattiche; tra le loro fila si contano militanti ben addestrati provenienti da Cecenia, Albania, Egitto e dall'ex esercito di Saddam. Poco tempo fa le bandiere nere sventolavano proprio qui, nell'area dove ci troviamo adesso e in tutti i villaggi circostanti che, con grande sacrificio, sono stati liberati uno dopo l'altro. Si stanno ritirando ovunque su un fronte lungo 2.000 chilometri diviso in 8 settori dove, oltre ai battaglioni di volontari peshmerga, sono schierate 6 divisioni irachene. Anche se peggio equipaggiati e non pagati dal governo di Baghdad, i nostri battaglioni di volontari peshmerga, inferiori di numero, riescono a dare più filo da torcere all'ISIS di quanto non riescano a darne intere divisioni irachene (...)  e poi sono terrorizzati dalle nostre 'donne combattenti', hanno paura di essere uccisi da loro e perciò di non andare in paradiso dalle loro vergini. Solo letteralmente terrorizzati nel vederle avanzare contro di loro, spesso si ritirano senza nemmeno combattere" - spiega compiaciuto il generale.

Alla domanda su quando verrà liberata Mosul, il generale glissa, poi cede, e rivela una verità comune a tutte le guerre moderne: "È una questione politica, la città ormai è praticamente caduta..." ma poi aggiunge "Nonostante il nostro profondo e fondamentale sforzo, non saremo comunque noi a liberare la città: questo onore spetta all'Esercito iracheno.

A pranzo, davanti ad un piatto di orecchiette condite con un ragù molto iracheno, il generale prosegue i suoi racconti di guerra. Scherza domandandoci se le nostre famiglie non abbiano paura a saperci qui, perché siamo tutti molto giovani. Alla domanda se l'appoggio aereo portato dalla Coalizione Internazionale sia abbastanza efficace, la diplomazia fa sentire il suo peso: "L'appoggio dell'aria che ci fornisce la Coalizione è molto efficace. Per un esercito che non possiede aviazione, e che non aveva mai ricevuto appoggio aereo prima d'ora, questo è un grande aiuto". In una sala attigua poi, il generale ci mostra sulla carta i vari settori e le ultime manovre militari mosse sul campo dalle truppe peshmerga .

Il 'Black Tiger Camp' è costituito da basse strutture di cemento bianco coperte da reti mimetiche, alternati da tende da campo, con ambi spazi per l'addestramento, e circondo da terrapieni coperti da sacchetti di sabbia, filo spinato intramezzato da ostacoli anti-carro a istrice.

Una lunga fila di LAV (Light Armored Vehicle) Spartan 4x4 è parcheggiata al riparo di una rimessa: sono tutti dotati di torrette con mitragliatrici e piccoli calibri di artiglieria, alcuni riportano i segni evidenti di colpi di arma da fuoco sui vetri blindati. Accanto a loro sono parcheggiati mezzi curiosi, un peshmerga mi spiega che quelli sono tutti veicoli catturati all'ISIS durante le azioni: tra loro spicca uno dei tipici pezzi da mortaio impiegati del califfato, con sopra dipinta la bandiera nera, un Hummer con blindature aggiuntive, due vecchi cingolati, probabilmente appartenuti all'Esercito Repubblicano e qualche pick-up. C'è anche un drone artigianale abbattuto da una raffica ben mirata: sembra un giocattolo per bambini, ma riportava informazioni letali. 

Siamo noi curiosi, staccati dal gruppo, a sorprendere per primi il picchetto di peshmerga intento a schierarsi in nostro onore. Nessuno di loro ci capisce, nessuno di loro parla inglese, solo una cosa sanno e li fa sorridere compiaciuti: capiscono che siamo italiani. Italiani come alcuni dei loro migliori addestratori che operano nella nostra base di Erbil, ci spiegano degli ufficiali; e questa è una soddisfazione non da poco.

Il loro equipaggiamento è assortito da pezzi la cui provenienza si può giudicare ad occhio: elmetti inglesi, body armour americani, gibernaggi italiani su mimetiche woodland. Sono tutti armati con varianti di AK-47.

Mentre il picchetto viene passato in rassegna, un rombo d'elicotteri fa alzare a tutti gli occhi al cielo. Sono una coppia di NH 90, con buona probabilità sono i nostri che tornano ad Erbil.

Dopo le foto di rito il generale ci lascia con una richiesta: se i nostri peshemerga continuano a conseguire vittorie, è solo per il loro indomabile coraggio, non di certo per la loro potenza militare; i peshmerga hanno bisogno di armi più efficaci da impiegare in prima linea, di equipaggiamento, del sostegno dell'EU e degli USA; ma continueranno a combattere comunque, con o senza, contro l'oppressione dell'IS. Sono abituati a combattere per la loro libertà, è una scomoda tradizione che li ha resi combattenti leggendari, dei moderni 'spartani'.

Prima di lasciarci un'ultima domanda lo trattiene "Perché 'Black Tiger' generale?" Sorride sotto i baffi "Era il mio soprannome 25 anni fa, quando combattevo sulle montagne: Tigre nera".

"Tigre nera" ripete sorridendo anche con gli occhi.

(foto ed immagini dell'autore)