“Ventimiglia sono poche. Molte di più sembrano quelle che separano gli uomini dalla loro buonafede”. È opinione diffusa attraverso una campagna mediatica subliminale ma incessante che se in Congo piove, in Senegal c’è il mal di denti, e in Mozambico pungono le zanzare, la colpa sia dell’Occidente. Una sorta di epidemia costringe l'individuo medio a considerare l’Africa destinazione finale di tutte le malvagità dell’uomo europeo.
Basterebbe citare la Conferenza di Berlino per capire che le potenze europee hanno iniziato a spartirsi e sfruttare l’Africa nella seconda metà dell’800 mentre la Storia dell’umanità conta qualche migliaio di anni.
Per risolvere l’annosa questione delle migrazioni in modo che tutti gli essere umani possano pensare a un futuro di pace e prosperità, sarebbe gradito quindi individuare tutte le cause del divario fra Nord e Sud del mondo senza ridurle per forza alla logica sfruttatori-sfruttati.
Il vittimismo africano, giustificato da più di cento anni di colonialismo spesso aberrante, in realtà non ha grandi margini temporali. Con un po’ di sforzo si può arrivare alla tratta degli schiavi che riguarda parte del continente e comunque non doppia il XV° secolo. Quella tratta degli schiavi di cui dovrebbero pentirsi gli arabi almeno quanto i cattivissimi europei tra l’altro...
Riguardo a tenore di vita e indici di sviluppo (stato di diritto compreso) è innegabile che in Africa si registri un sensibile ritardo. Basta attraversarla lungo direttrici meno turistiche per sgranare gli occhi. Cercare tutte le responsabilità del ritardo in Occidente è il modo migliore per non colmare mai le differenze.
In altre parole, se va bene “Basta sfruttare l’Africa!” deve andar bene pure “l’Africa dovrà camminare da sola”, altrimenti non se ne esce.
Le straripanti risorse umane e naturali di cui dispone il continente nero, non sembrano in contrasto con la creazione di modelli autoctoni senza la necessità di lamentarsi di quelli subiti. In fondo se all’Occidente vengono rinfacciate fruste, catene e sfruttamento delle risorse naturali, gli andrebbe riconosciuto anche tutto il resto senza tralasciare la scienza che è servita a inventarlo e la tastiera con cui scriviamo l’articolo.
Deresponsabilizzare l’uomo africano non aiuta a risolverne il futuro. Dire che 1 milione di morti in Ruanda nel 1994 siano colpa esclusiva degli ex colonizzatori Belgi e non anche di Tutsi e Hutu che si sono massacrati a vicenda, serve solo a schierarsi dalla parte dei pietosi che non pagano mai pegno. Per un europeo cattivo che ha venduto mine antiuomo in Angola, ci deve essere stato anche un africano che ha pensato di usarle.
Il politicamente corretto non basta più come scusa. Trasforma solo la cosiddetta accoglienza a chi fugge dall’Africa in uno scarica barile della coscienza.
Dalle semplificazioni manichee non trae beneficio nemmeno la coerenza. Chi pensa che l’homo occidentalis sia la causa di tutti i mali, senza Occidente non avrebbe voce: il telefono per parlare, il pc per scrivere, l’aereo per andare e il fuoristrada per procedere.
La logica “paese-ricco-sfruttamento” e “paese-povero-sfruttato” è eredità di quella fetta di Leninismo che ha trasferito la lotta di classe sui binari dell’Internazionale, nel tentativo di tenere in vita la rivoluzione del proletariato. Se ne deduce che dietro la retorica dell’accoglienza si cela sovente il risentimento ideologico secondo cui qualunque cosa va bene purché le radici della cosiddetta società “borghese” siano recise. Il “clandestino” o “migrante” che dir si voglia, più che un fratello bisognoso sembra uno strumento politico.
Per avvalorare queste posizioni si è arrivati perfino a strumentalizzare le parole di Papa Francesco estrapolando dai discorsi le frasi più comode. Se il Pontefice si esprime in difesa della vita condannando l’aborto, l’eutanasia e il rifiuto della carità, i media spesso rilevano solo l’ultima parte, contestualizzandola al pensiero unico secondo necessità.
I principi cristiani e sacrosanti dell’accoglienza ben si sposano ad interventi mirati e programmati per la definitiva soluzione delle sperequazioni fra Nord e Sud del mondo. Diventano più difficili da applicare senza un progetto chiaro che abbia dei tempi e degli obiettivi.
L’immigrazione dall’Africa così com’è gestita in Italia oggi non ha nessun disegno e rimane ostaggio di due fuochi: lo sfruttamento della criminalità organizzata collusa con parte delle istituzioni; il terzomondismo ideologico che senza guadagnarci nulla preferisce sempre e comunque un minareto ad una parrocchia e un senegalese alla casalinga di Voghera.
Anche impegnandoci, in nessuno dei due casi riusciamo a leggere carità o un futuro migliore.
Giampiero Venturi