Burkina Faso: nulla di nuovo sul fronte africano

(di Giampiero Venturi)
21/09/15

Solo qualche mese fa, analisti autorevoli di geopolitica indicavano il Burkina Faso, ex Alto Volta, come l’eccezione africana.

Alla fine del 2014 il tentativo di modifica costituzionale del presidente Compaoré per rilanciare i quasi 30 anni anni di potere ininterrotto, aveva attivato proteste di piazza con cui dopo l’interim del colonnello Zida (ex fedelissimo del presidente) si era arrivati all’insediamento di Michel Kafando, civile e diplomatico molto stimato. Stimato dalla folla ma anche dal palinsesto politico internazionale, desideroso di trovare in Africa l’inizio di nuovi percorsi istituzionali.

Che la traslazione dei poteri basata su iniziativa popolare e non su un putsch militare capitasse proprio al Burkina Faso non era un caso. Sulla fascia del Sahel, il Burkina rappresenta da anni un’oasi di novità, laddove “oasi” non è una battuta e “novità” indica un clima generale favorevole a esperimenti istituzionali.

Fino a poco tempo fa bastava arrivare a Ouagadougu per averne un’idea. Tra la Cattedrale e lo Stadio si respirava più che altro un vago odore di pace subsahariana e un certo orgoglio per gli Stalloni (così chiamati…) della nazionale di calcio, diventata in pochi anni la nuova promessa dell’Africa sportiva.

La nazione burkinabé andava perfino oltre al dio pallone: ogni due anni il Burkina ospitava il Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou. Un modo per parlare di Africa non solo con riguardo a migrazioni e guerre, ma anche in termini di creatività, molto apprezzata tra l’altro dagli intellettuali del Primo Mondo, spesso anoressici di patriottismo culturale.

Un giro a Ouagadougou, Ouagà per gli intimi, e si capiva che il Burkina Faso, era diverso dai riottosi vicini. L’ospitalità burkinabé, rinomata per i conoscitori d’Africa, si è sempre mischiata ad una capacità di convivenza esemplare, soprattutto alla luce dello status perennemente instabile dei dirimpettai Mali, Niger, Costa d’Avorio e della non lontanissima Nigeria.

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Non a caso nel cuore della capitale venti anni fa è stata stabilita la sede della UEMOA (Unione Economica e Monetaria Ovest-Africana), organizzazione politico-economica vitale per gli assetti geopolitici dell’Africa occidentale. La stabilità politica dell’ex Alto Volta col tempo è diventata un esempio per i vicini e la capacità di opporsi a un colpo di mano teso a consolidare un’oligarchia ne sembrava la conferma.

Dietro la polvere dei motorini di Ouagà però si è nascosto l’inganno.

Gli uomini di Compaoré sono tornati e il 17 settembre Kafando è stato estromesso con il più classico dei blitz militari. I soldati della RSP (Régiment de Sécurité Presidentielle) comandati dal generale Dienderé e baluardo della gestione trentennale del presidentissimo, hanno ripreso il potere legato alla vecchia guardia, mettendo in scena un colpo di stato da manuale. Le forze armate del Burkina, relativamente stimate sul piano regionale, sono rimaste nel mezzo. In base alle posizioni prese dagli alti ufficiali, in particolare da quelli del 25° reggimento Commando Paracadutisti dotati di maggiore capacità operativa, si deciderà se Ouagadougou rimarrà intrappolata in una guerra civile o tornerà al collaudato modello di transizione africano a base incostituzionale.

Sul piano pratico, davanti a un Paese privo di risorse e di particolari interessi strategici, il mondo sta a guardare.

La dante causa classica del Burkina, la Francia, ma anche l’Unione Africana e gli Stati Uniti si sono mossi in posizioni di condanna pro forma, in attesa di evoluzioni. Si parla di negoziati con la mediazione di leader politici limitrofi (presidente del Benin e del Senegal) e di possibili accordi dell’ultim’ora. Le elezioni previste per ottobre potrebbero slittare a novembre passando attraverso una soluzione pragmatica: reintegro formale di Kafando e reintegro informale delle vecchie leve di potere degli uomini di Compaoré. In sostanza quel che succederà è un compromesso che salverà la faccia al "potere costituzionale" e ai sostenitori dell'"eccezione africana" (soprattutto il giornalismo terzomondista di casa nostra) ma che al tempo stesso garantirà aree di potere riservato alla vecchia guardia.

Vecchio sistema legato alla Guardia Presidenziale o potere costituzionale, cambia poco. Al di là delle posizioni di facciata, quel che succede intorno al Palais Kossyam (il palazzo presidenziale di Ouagadougou) in realtà interessa a pochi. La riflessione più logica torna ad essere solo una: dalla fine del colonialismo l’Africa non ha saputo creare in via autonoma modelli istituzionali credibili o in qualche modo stabili. Gli analisti della speranza devono aspettare.

“Yel Kayé!” dicevano gli abitanti di Ouagà, per dire “Tutto ok!”. Come spesso capita in Africa, va bene sempre, qualunque cosa succeda.

(FOTO: autore/MDNAC)