Prove d'intesa fra USA e Russia. In Siria si riparte col "cessate il fuoco" in vigore da lunedì sera. L'annuncio, dato dal Segretario di Stato americano Kerry e dal Ministro degli Esteri russo Lavrov dopo l'incontro nel Laos, in teoria detta le condizioni per far ripartire i negoziati di pace a Ginevra. Diciamo "in teoria" perché con ogni probabilità il cessate il fuoco avrà esiti non troppo diversi da quello di febbraio, durato in sostanza meno di due mesi.
L'intesa si basa su due pregiudiziali:
- fine dei raid delle forze aeree siriane e russe sui cosiddetti "ribelli moderati";
- sgancio definitivo degli stessi dai gruppi islamisti riconosciuti come terroristi.
L'accordo è valido su tutto il Paese, ma nello specifico servirebbe ad allentare una situazione divenuta catastrofica nell'area urbana di Aleppo soprattutto per i civili. La fragilità dell'intesa è evidente e gira intorno ad un'opposta visione del quadro siriano che USA e Russia almeno in questa occasione non lasciano trapelare dalle dichiarazioni ufficiali.
Per gli States le responsabilità del disastro umanitario ad Aleppo vanno tutte in capo al governo di Damasco (e a Mosca...); per i russi, al contrario, la guerra in Siria è imputabile esclusivamente all'appoggio americano alle milizie anti Assad.
Benché Washington e Mosca fingano di non saperlo, la seconda pregiudiziale dell'accordo per il "cessate il fuoco" lo rende vano di per sé: come già dimostrato a febbraio, distinguere le fazioni "moderate" dagli jihadisti è di fatto impossibile sul terreno e spesso molto difficile anche sotto il profilo ideologico. I raid delle forze lealiste quindi continueranno e così pure gli aiuti americani alle forze d'opposizione. Su un punto però USA e Russia convergono realmente: la neutralizzazione di Jabhat Fateh al-Sham (nuovo nome di Al Nusra) e dello Stato Islamico.
A questo proposito è necessario attendere le mosse della Turchia, la cui operazione Scudo dell'Eufrate è ormai entrata nella terza settimana. Ankara è da anni lo sponsor dei principali gruppi ribelli anti Assad che infestano i territori del nord siriano (compreso Jabhat Fateh al-Sham) ma ha sterzato con decisione, riallacciando il dialogo con Mosca e iniziando una massiccia campagna militare contro il Califfato. Forti concentrazioni di truppe corazzate sono segnalate al confine col Governatorato di Raqqa e si conteggiano le prime perdite. Il 9 settembre si prende nota di due carri Sabra distrutti e tre soldati caduti. La decisione di Erdogan di impedire l'osmosi tra i curdi siriani e i miliziani del PKK (vero obiettivo di Euphrate Shield), attuabile grazie al benestare silenzioso di Mosca, Teheran e Damasco, potrebbe avere come contropartita proprio l'allentamento dell'appoggio agli jihadisti del nord.
In barba alle voci sul prossimo "cessate il fuoco", giusto dal fronte nord arrivano le più importanti novità militari. L'esercito siriano, dopo quattro anni, ha di nuovo il controllo delle vie di comunicazione fra Latakia e Idlib, chiudendo i miliziani di Jaysh Al Fateh oltre i monti Al-Ra'i, a ridosso del confine turco. Ai commando della 103a brigata della Guardia Repubblicana e ai Falchi del Deserto (v.reportage), si sarebbero uniti 1000 nuovi Fouj Al-Mughawayr Al-Bahir (i marines siriani) appena addestrati da personale russo, in aggiunta a quelli già presenti sul fronte.
Aspettando l'applicazione del "cessate il fuoco" lunedì prossimo, attendiamo anche l'evoluzione delle operazioni turche. Dalle scelte militari di Ankara si capirà il quadro delle vere alleanze sul campo e lo scenario politico prossimo venturo.
(foto: SANA / Türk Silahlı Kuvvetleri)