Siria: la mossa di Putin che spiazza l'Occidente

(di Giampiero Venturi)
16/03/16

L’annuncio della riduzione delle forze russe sottintende due importanti questioni, una militare e una politica.

Cominciamo dai risultati sul terreno. Dall’inizio dell’intervento nel settembre 2015 l’esito della guerra ha preso un andamento decisamente favorevole al governo di Damasco. In realtà il trend positivo per Assad era cominciato già nel 2014, quando con l’ingresso delle forze del Califfato in Siria, molti disertori della prima ora erano rientrati tra le file dei governativi. Le milizie del Free Syrian Army e degli altri gruppi di opposizione sempre più “islamizzate” dalla presenza di “volontari” stranieri, hanno perso per strada molto del fascino iniziale. L’idea di una Siria vittima di un complotto internazionale ha via via sostituito nell’immaginario collettivo l’icona di una ribellione giusta e democratica. All’indebolimento del fronte militare anti-Assad sono seguite importanti vittorie delle Forze Armate siriane che hanno tamponato col tempo l’emorragia di uomini e territorio dei primi due anni di guerra.

Le vittorie militari dello Stato islamico nel conflitto siriano hanno comunque comportato un pesante arretramento di Damasco in molte regioni, mettendo a rischio la tenuta stessa dello Stato: la presa di Palmyra nella primavera del 2015 fece il giro del mondo.

È qui che s’inserisce l’intervento russo, orientato su tre linee: superiorità aerea, rifornimento di materiali ed equipaggiamenti, assistenza e supervisione.

La combinazione dei tre fattori ha permesso di “pulire” i cieli siriani, ripristinare gli standard di efficienza tra le forze di Damasco sfinite da anni di guerra, rimettendole in grado di ribaltare il rapporto attacco-difesa. Nel giro di pochi mesi l’esercito siriano e i suoi alleati sono passati all’offensiva su tutti i fronti, da nord a sud. È di queste ore la notizia della riconquista delle alture di Hayyal a ovest di Palmyra. Il sito è a un tiro di schioppo dalla Qatari Royal Villa, principale campo di addestramento per reclute ISIS nell’ovest del Paese. Il sito archeologico di Palmyra è solo a 1 km... 

Questo ci permette di fare una precisazione, confermata dalla nostra esperienza in Siria. Il supporto di Mosca è stato fondamentale sotto l’aspetto strategico ma ogni centimetro di territorio riconquistato è stato frutto del sacrificio sul terreno di soldati siriani. Di questo a Damasco sono molto gelosi.

È più facile capire quindi il significato del ritiro delle forze russe, che in sostanza comporta una riduzione del contingente e non un suo azzeramento: l’obiettivo strategico di rimettere i siriani in grado di vincere è stato raggiunto, ora è questione di tempo. Le parole del vice ministro della Difesa russo Nikolay Pankov a questo proposito sono sintomatiche:

“È ancora presto per parlare di vittoria sul terrorismo; i raid russi continueranno…”

facendo capire che la guerra prosegue secondo l’andamento degli ultimi mesi e che il supporto necessario alle operazioni di terra siriane non verrà interrotto.

È però sul piano politico che l’annuncio del ripiegamento russo ottiene un maggiore effetto.

La decisione di Putin è in linea con l'accordo sul cessate il fuoco, mettendo in risalto la coerenza di Mosca nella sua applicazione; è in linea anche con la strategia scelta dalla Russia fin dalle prime ore dell’intervento in Siria: combattere il terrorismo con risultati concreti e mettere a nudo le contraddizioni e i giochi politici altrui. Allo stesso tempo Putin fuga ogni ipotesi di “espansionismo” in Medio Oriente, principale linea di critica occidentale allo sbarco di settembre.

I bombardamenti russi degli ultimi mesi se hanno fatto danni ai miliziani islamisti, altrettanti ne hanno fatti sul piano dell’immagine alla coalizione guidata degli USA. Le due parti convergono sull’opposizione ad Assad e l’abilità del Cremlino è stata metterlo a frutto: incensati dalla lotta al terrorismo, i russi hanno combattuto i loro nemici politici, mettendo in imbarazzo l’Occidente, non solo incapace di togliere aria al terrorismo, ma addirittura di far capire da che parte sia.

Il dato ha rilievo geopolitico perché rappresenta un ribaltamento storico della percezione buoni/cattivi presso l’opinione pubblica.

I russi, solitamente non avvezzi a recitare la parte dei buoni, sono riusciti ad uscire dalla Siria con le ossa sane, ottenendo innegabili risultati militari e lasciando al mondo il giudizio etico sul comportamento degli altri. Da questo punto di vista è servito più Assad alla Russia, di quanto la Russia non sia servita ad Assad.

Nel caso (probabile) di incendio del teatro libico, l’effetto ottenuto da Mosca sarà ulteriormente accentuato. Distinguere fra pacificatori e guerrafondai, sarà ancora più facile.

In attesa che la guerra imbocchi la strada definitiva, ci si aspetta un cenno dalle capitali occidentali e in particolare da Washington, finora inerte e avviluppata sulle elezioni di novembre. Il Califfato in Siria presto o tardi sarà sconfitto e Putin ne prenderà parte considerevole del merito.

Quando si tornerà a parlare di Ucraina, di forze strategiche in Europa e di sanzioni, probabile che questo fattore peserà moltissimo.

(Foto: SAA)