Pozzi avvelenati per l’annichilimento delle Forze Armate italiane

(di VARCO32)
19/11/18

La tattica dei pozzi avvelenati è tipica delle regioni desertiche, o con scarse fonti di approvvigionamento idrico, ed è stata praticata con successo nei secoli, ma è sicuramente vietata dalle Convenzioni Internazionali che regolano i conflitti tra Entità Statuali, quelle che – cioè – riconoscono di dover mantenere un alto livello etico in ogni situazione.

Con questa doverosa premessa, e in termini metaforici, ci saremmo aspettati che l’attuale legislatura rispettasse almeno le convenzioni internazionali in quella che sembra una lotta senza quartiere per giungere all’annichilimento delle Forze Armate nazionali. Un rispetto che non si nega neanche al più acerrimo nemico, anche se come Istituzione chiaramente deputata ad assolvere compiti costituzionali, le Forze Armate meriterebbero ben altra considerazione.

Il perché di tali affermazioni è ben presto chiarito. La Camera dei Deputati sta esaminando il DDL n. 521 (Servizio Idrico Integrato) con procedura di urgenza votata dall’Assemblea il 2 Ottobre scorso2. Il tema è sicuramente importante e attiene a problematiche sottoposte a Referendum nel 2011, in cui i cittadini diedero delle chiare indicazioni della volontà popolare, e in questo articolo non si vuole entrare nel merito della materia.

Ciò che lascia letteralmente esterrefatti nell’esame del DDL è la previsione della copertura finanziaria per gli oneri derivanti dall'approvazione del progetto di disposto normativo. Nell’Art. 17, viene previsto – tra l’altro – che almeno 1 MILIARDO di Euro l’anno dovrà derivare dalla riduzione del bilancio del Ministero della Difesa.

In termini metaforici, è proprio il caso di parlare di “avvelenamento dei pozzi” nella lunga marcia di sopravvivenza che le Forze Armate stanno oramai compiendo da molti anni nel tentativo di mantenere in vita una struttura complessa e tecnologicamente evoluta, a fronte di risorse che qualunque analista definirebbe irrisorie.

Le Forze armate del Paese hanno mantenuto una loro coerenza, convinte che con la ripresa economica e la liberazione di nuove risorse si potesse garantire anche ai cittadini in uniforme la ripresa di quegli standard qualitativi che negli anni hanno dovuto essere compressi. Standard, che per un militare si identificano in capacità di operare e sopravvivere in condizioni operative reali. Purtroppo, questa aspirazione si è tradotta in una pericolosa illusione, poiché questa lunga traversata delle Forze Armate nel deserto del sottofinanziamento e della sottocapitalizzazione è costellata da “pozzi avvelenati” da coloro che per ignoranza istituzionale sembrano volere una Difesa priva di ogni capacità operativa. In sostanza, sembra ci si prefigga di avere un bacino di personale utile per svolgere compiti non graditi da altre organizzazioni dello Stato, a relativo basso costo, nonchè per garantire un livello occupazionale minimo in strutture militari e industriali nei bacini elettorali di riferimento. Chiaramente non è un problema nato in questa legislatura, ma ci sono tutte le premesse perché questa sia la legislatura che fissa il punto di non ritorno.

Il Bilancio della Difesa in pillole

Come indicato dal Documento Programmatico Pluriennale della Difesa (2018-2020)3, il bilancio destinato alla funzione Difesa4 ammonta a circa 13,8 miliardi di Euro, a cui bisogna sommare circa 2,7 miliardi di Euro compresi nel bilancio del Ministro dello Sviluppo Economico ma destinato a sostenere l’industria con programmi di sviluppo e produzione di piattaforme militari.

La formula aurea, citata in tutti i consessi nazionali e internazionali, vuole che delle Forze armate sane destinino non più del 50% alle spese del personale, un 25% al mantenimento e il 25% all’investimento (ammodernamento e rinnovamento).

Nell’ambito delle risorse indicate, all’Esercizio e cioè al sostegno della vita dei militari e del loro equipaggiamento sono destinati 1,4 miliardi di Euro con cui bisogna finanziare le bollette, il vettovagliamento, la manutenzione delle caserme, il vestiario, l’acquisto dell’equipaggiamento, l’acquisizione della ricambistica, l’acquisto del munizionamento da addestramento e del veicoli logistici di tipo commerciale, solo per citare alcune voci. L’insufficienza delle risorse è così macroscopica che il legislatore, da già da alcuni anni, viene in soccorso del settore autorizzando il finanziamento, con l’investimento, del programma SOFUTRA, destinato a consentire l’approvvigionamento di ulteriore ricambistica/equipaggiamento e capacità manutentive per evitare il collasso dell’intero apparato.

I 2,3 miliardi destinati all’investimento devono, quindi, essere depurati dei circa 450 milioni di Euro del programma SOFUTRA. Rimangono disponibili meno di 2 miliardi, per il 2018, che rappresentano circa il 13% del bilancio della Funzione Difesa, e cioè il 50% di quanto dovrebbe garantito, secondo dei parametri universalmente riconosciuti. Il fatto, quindi, che il mantenimento e l’investimento siano sostenuti, nel complesso, con il solo 26% del budget della funzione Difesa (anziché il 50%), evidenzia lo stato di elevatissima criticità in cui versano le Forze Armate.

Si potrebbe obiettare che il settore investimento è, però, sostenuto anche con una immissione di risorse da parte del MiSE. Vero, ma occorre dire che il sostegno del dicastero dello sviluppo economico comprende le spese di sviluppo delle nuove piattaforme (in cui rientrano anche quelle per lo sviluppo delle tecnologie non disponibili in Italia) e obbliga, in un certo senso, la Difesa ad adottare delle soluzioni tecnologiche allo stato dell’arte presso l’industria nazionale. Il tutto si traduce nell’approvvigionamento di piattaforme industrializzabili, ma non di capacità che richiedono di essere integrate con ulteriori complessivi e sottocomplessivi se non piattaforme complementari. Le risorse MiSe, quindi, rappresentano una tessera importante nel complesso mosaico della Difesa, che, però, non potrà mai essere completato senza l’intervento del bilancio ordinario. Del resto non è compito del MiSE garantire la coerenza tattica e operativa delle Forze Armate.

Riducendo, quindi, ulteriormente il Bilancio Ordinario della Difesa si priverebbe il dicastero della possibilità mantenere efficienti ed efficaci le capacità operative nazionali.

In sintesi, si garantirebbe la trasformazione delle Forze Armate in una sorta di “deposito in decadenza” di personale e mezzi, in attesa della loro definitiva dismissione dal servizio.

Come finanziamo gli acquedotti e il servizio idrico integrato?

In primo luogo, qualsiasi cittadino è convinto che il servizio idrico integrato si finanzi con le bollette oltre che con i piani di investimento avviati con fondi nazionali e europei, come avviene nel resto d’Europa. In realtà, guardando i dati ISTAT5, si apprende che esistono percentuali significative di forniture di acqua potabile che non vengono fatturate o non vengono misurate. Esistono, quindi, ambiti del territorio nazionale in cui l’acqua viene fornita con un servizio forfettario che non consente una correlazione diretta tra il consumo e i pagamenti, disincentivando ogni comportamento virtuoso e falsando le logiche di bilancio. Queste percentuali di “acqua”, non misurata o non fatturata, influiscono sulle cosiddette “perdite idriche in rete” che, contrariamente a quanto potrebbe pensare il normale cittadino, non sono costituite quindi solo da “tubature forate”, con un impatto pesante non solo sulla qualità del servizio, ma anche sui bilanci delle società di settore.

Il primo suggerimento da dare al legislatore, quindi, è quello di cominciare ad ottimizzare il sistema piuttosto che stornarne i costi su altre funzioni dello Stato. Ulteriore elemento da valutare è quello relativo agli investimenti e alle risorse destinate alla manutenzione. Andando ad analizzare i bilanci delle Società di settore, a partire da quelle pubbliche, si scopre che a fronte di poche realtà virtuose, molte società operano investimenti irrisori. Non sarebbe, quindi, più corretto imporre percentuali di investimento e rifacimento impianti direttamente correlate allo sviluppo della rete di distribuzione e alla sua vetustà, invece di fare cassa al fine di coprire i buchi di bilancio degli azionisti, pubblici o privati che siano?

Un ottimo esempio, anche grazie alle sue dimensioni, è quello della Soc. ACEA di Roma. Analizzando il bilancio 20176 si vede che i costi di gestione del settore idrico sono pari a circa il 50% dei ricavi. Il sistema, quindi, sarebbe potenzialmente in grado di autofinanziare un robusto programma di investimento e manutenzione all’altezza delle esigenze, se non dovesse far fronte, con i guadagni, alla situazione debitoria pregressa (la gestione è stata sempre all’altezza della situazione?) e garantire, comunque, dei risultati generali adeguati – probabilmente – alle aspettative degli azionisti. Il tutto in una città che ha tradizioni millenarie nel settore dell’approvvigionamento idrico e in cui la stessa ACEA è stata nel passato artefice della costruzione di acquedotti che rappresentano delle vere e proprie opere ingegneristiche, ma che nel recente passato ha dovuto sperimentare una delle crisi idriche più gravi nella storia moderna della città.

Conclusioni

È giusto che il Potere Politico cerchi di ottimizzare le risorse nazionali e si ponga degli ambiziosi obiettivi in materia. Fare strategia significa, però, comprendere che la difesa degli interessi vitali dello stato, a cui è votata la funzione Difesa e Sicurezza, non sono negoziabili. Rinunciare – di fatto – ad avere delle Forze Armate ci porrà in una posizione di debolezza assoluta, a fronte di una situazione internazionale che presenta numerosissimi focolai di crisi in grado di trasformarsi in conflitti almeno regionali.

Salvaguardiamo il ciclo integrato dell’acqua, ma salviamo il soldato “Difesa” non avvelenandogli i pozzi.

  

4Al netto cioè della Funzione Sicurezza del territorio e delle Funzioni Esterne.