Il nonnismo visto da un nonno

21/01/19

Raggiunta un’età che dovrebbe indurre chiunque ad essere cauto (compirò 100 anni sul finire del settembre del 2043), scopro di essere un aspirante martire al linciaggio da parte di una rispettabile opinione pubblica benpensante.

Traendo spunto dall’episodio di nonnismo che nella Scuola di volo di Latina ha visto un’allieva pilota nel ruolo di vittima (prima tollerante e poi denunciante, non senza aver recitato in una precedente occasione una parte attiva nei confronti di altro commilitone a sua volta nonnizzato), mi avventuro nell'esposizione di alcuni punti di vista ignorati nella generale levata di scudi senza se e senza ma contro ogni forma di nonnismo. Non guasterebbe chiedersi in partenza come mai siano proprio la maggior parte dei giovani protagonisti del nonnismo a volerne conservare e garantire la tradizione?

Premesso che sono del parere che un soggetto incline alla violenza non abbia bisogno dell'alibi del nonnismo per esercitarla ma che sia portato a praticarla a prescindere, ricordo che il nonnismo affonda le radici negli ancestrali riti di iniziazione, talvolta cruenti, praticati da molti popoli per sancire il passaggio dei giovani nel clan degli adulti e successivamente in quello dei guerrieri. Col passare del tempo di tale retaggio sono rimasti aspetti simbolici e goliardici; tipico il gavettone e il lancio nella vasca/piscina. Le occasioni per praticare questi riti vanno dal conseguimento di un titolo di laurea nelle università all’entrata di un nuovo socio in un club esclusivo. Ma è soprattutto nell’ambiente militare, e in particolare nelle scuole di formazione e nei nostri reparti di élite, senza dimenticare i marines usa e i berretti verdi inglesi, che il cosiddetto nonnismo è duro a morire.

Una domanda che apre vasti campi di indagine è: quale scopo recondito si prefigge l’atto di nonnismo e quali frutti produce nella realtà?

Interessanti spunti di riflessione si possono trarre da una traumatica foto che fissa l'istantanea di un episodio di nonnismo di corso che negli anni andati avveniva ogni 18 novembre nella Scuola Militare “Nunziatella”. So che la foto susciterà orrore a Roma nei piani alti di via XX settembre, e così pure la didascalia che l'accompagna nel libro “Da Calamosca a Calamosca –Alla ricerca di un esercito”: 

"...si distingue un futuro generale vice comandante della Guardia di Finanza che si accanisce contro un magistrato in pectore bloccato a terra in una plastica presa di lotta greco-romana. Sono individuabili anche un futuro questore che che colpisce un notaio con una testata nello stomaco e un generale dei bersaglieri nell'atto di scagliarsi contro un ingegnere. In primo piano invece un futuro editore, Vittorio Viggiano, (colui che 40 anni dopo avrebbe stampato il libro di cui sopra) prende a pugni la nuca di un aspirante avvocato che tenta di proteggersi con le braccia".

A questo punto sorge spontanea un'ulteriore serie di domande: come mai una simile pratica di violenza non ha impedito che quei giovani allievi diventassero nella totalità cittadini esemplari e professionisti di prestigio?

Seconda domanda: come mai quegli attori di un pestaggio nonnistico obiettivamente eccessivo hanno instaurato e conservato fino al corrente anno del Signore 2019 fraterni vincoli di amicizia, granitico spirito di corpo e cameratismo a tutta prova? (e chi conosce noi della Nunziatella sa quel che dico).

Altra domanda: come mai quella manifestazione era non solo tollerata ma accettata dai quadri dell’istituto, a partire dal Comandante Colonnello Franco Magnani? Chi era costui? Era un alpino Medaglia d'Oro al valor militare che (cito dal libro) “si era fatto le campagne d'Africa dal 1930 al 1937, quelle d'Albania e di Grecia nel 1939-40, che aveva vissuto la tragedia dell'Armir nel 1942 e nel 1943 e che era sopravvissuto a dodici anni di prigionia in Russia, da dove era rientrato nel gennaio del 1954. Chi più di lui aveva titolo per vedere ogni problema, grande o piccolo che fosse, nella giusta prospettiva e collocarlo in una giusta dimensione?”. Quando questo Comandante, per noi allievi una leggenda vivente, fu informato circa la “tradizione” del 18 novembre si limitò a trasmetterci un messaggio: “Voglio che non esageriate”, che significava “no fratture né ferite”. Fine del dramma. Un dramma che stranamente non innescò mai forme di protesta da parte dei familiari degli allievi (età media 17 anni). In pratica i genitori di allora erano dell’idea che il proprio rampollo dovesse superare da solo quelle prove della vita. Genitori forse di una pasta particolare di cui (purtroppo o per fortuna?) si è persa la ricetta.

Oggi una valanga di denunce farebbe la fortuna di una folla di avvocati e costringerebbe ad un superlavoro un esercito di magistrati. Ma occorre considerare che il motto della Nunziatella era ed è “Preparo alla vita e alla armi”, mentre oggi si preferisce lo slogan militare “Preparo alla vita e agli interventi nella protezione civile, al salvataggio e accoglienza di migranti, alla bitumazione delle strade e al concorso alle forze dell'ordine, anche se in una versione soft”, come hanno dimostrato le immagini televisive dei due alpini che nella Piazza della Stazione di Milano assistevano impassibili alla sassaiola di un gruppo di spacciatori nigeriani contro alcuni giornalisti che pretendevano di documentare la loro nobile attività.

Questa politica è dovuta al fatto che si vive nella certezza che non avremo più guerre, ma ...se così non fosse? Se una nazione militarmente fragile e non credibile suscitasse insani appetiti economici e non in qualcuno alla ricerca di “giuste rivincite”? In tal caso che fare oltre che coinvolgere il neonato sindacato?

Concludo la mia masochistica ricerca del linciaggio con una considerazione: sul lavoro preferirei avere come collaboratore un soggetto che ha superato senza piagnistei una prova di nonnismo piuttosto che uno che di fronte a questo dramma “è corso da mamma e papà”. In un contesto più prettamente militare invece in operazioni cercherei di liberarmi al più presto di uno cagionevole di nonnismo, dando retta a una vocina eretica che da qualche parte della mia mente insinua che il nonnismo, entro certi limiti, potrebbe rappresentare per un soldato un modesto valore aggiunto anziché una peste bubbonica marchiata diociscampieliberi.

Da nonno anagrafico non posso concludere senza la raccomandazione di rito: occhio ragazzi, perchè oggi con 'sta menata del nonnismo vi possono inguaiare penalmente; per questo, se proprio non ne potete fare a meno “voglio che non esageriate”.

Ed ora avanti col linciaggio! Pazienza se per aver messo a confronto un passato recente con un presente demoralizzante mi aspetto di essere accusato di istigazione a delinquere. Mi consola il fatto di sentirmi in compagnia di un uomo del calibro di Franco Magnani.

Gen. Nicolò Manca

(già comandante della brigata Sassari)