Vi è mai capitato di entrare in una grotta carsica? L’aria è soffocante, piccoli cunicoli fanno da anticamera ad ampi cameroni sgocciolanti di acqua putrida e fango rossiccio, l’umidità è intensa, l’odore di terra bagnata ti entra nel profondo; queste grotte punteggiano le due sponde dell’Adriatico da Trieste a Valona, da Venezia a Leuca, passeggiando nei boschi di macchia mediterranea al di qua e al di la dello stretto mare sembra di non cambiare mai scenario, nell’entroterra i pini marittimi lasciano il posto ai lecci, alle querce ed alle felci, sono terre dure, difficili da vivere che trovano nel mare il proprio riscatto ed infatti sempre dal mare sono giunte le civiltà che con fatica le hanno addomesticate. I greci del X secolo a.C. prima, i Romani poi ed in fine Venezia; sempre il mare nel DNA di queste terre, sempre le genti italiche pronte a rompere la roccia con il proprio sudore e con il proprio sangue. Troppo lunga sarebbe la traccia storica attraverso la quale raccontare l’italianità di questi luoghi, si comincerà e si finirà dall’epilogo, dalla tragedia delle genti di Istria e di Dalmazia.
Era l’armistizio dell’8 settembre del 1943 quando ogni certezza, strutturata in oltre mille anni di storia comincerà a traballare, le genti italiche padrone dell’altra sponda dell’Adriatico avevano pur resistito all’infamia del trattato di Rapallo, alla perdita di Fiume italiana, alla svendita della Dalmazia in nome della ragione di stato, ma l’Istria no! La penisola a forma di cuore che come un rostro si protendeva verso l’Italia restava redenta: Pola, Capo d’Istria e ancora Zara, le decine di Isole che, come narra la legenda: Dio lanciò sulla terra al termine della sua creazione, si chinavano ancora orgogliose al tricolore d’Italia, c’era tuttavia in agguato una nuova infamia, l’Italia sconfitta andava umiliata e per fare questo gli anglo-americani non esitarono ad armare i boia di Tito, partigiani sanguinari che in nome di uno spirito tribale, ancorato alla più totale inciviltà e camuffato da un sincretico ed antistorico panslavismo in salsa socialista umiliarono e sterminarono centinaia di italiani, agirono senza pietà umana, ma con il solo intento di predarne un paradiso di roccia e terra rossa che fino all’arrivo delle genti di Roma era un inferno e lo tornò ad essere non appena vi misero sopra le mani i barbari venuti dai boschi.
In questo efferato delitto il ruolo più meschino lo rivestirono però i complici, tutti italiani, tutti partigiani, tutti classe dirigente che non solo guardarono con indifferenza, se non con compiacimento alla strage degli innocenti, ma la coadiuvarono mortificando i sopravvissuti e fu il Magazzino 18 del porto vecchio di Trieste, lo scempio del latte gettato sui binari e le accuse di fascismo a chi era solo un italiano, per giungere allo sterile ed infame negazionismo dei giorni nostri.
Non bastano le scuse, non bastano le cerimonie, ne’ tantomeno le targhe e le intitolazioni di strade a lavare la coscienza dei tanti, dei troppi che ieri come oggi si macchiarono dell’atroce indifferenza, questo è un peccato che mai nessuno potrà mondare.
La terra d’Istria è rossa, è fredda, ti rimane attaccata addosso e più provi a toglierla più si impasta, mentre la roccia carsica come un rasoio ti taglia prima l’anima e poi la pelle quando provi ad arpionartici per non precipitare nel baratro del male fatto.
Se fossero coraggiosi si inginocchierebbero prima su quelle voragini nel terreno e poi vi si lancerebbero dentro, come in un rito apotropaico di sacrificio umano, ma coraggiosi non lo furono ieri i loro padri e i loro nonni, come potrebbero esserlo i figli.
Certo qualcosa si potrebbe fare, ad esempio rimuovere quella infame scritta inneggiante a Tito sul monte Sabotino, pretendere scuse formali dai governi Sloveno, Croato Serbo per l’infamia subita, assicurare alla giustizia i revanscisti della barbarie titina e restituire agli eredi degli esuli le proprietà confiscate, non sarebbe ovviamente nemmeno un miliardesimo del “giusto” risarcimento, perché le vite spezzate, gli affetti perduti non hanno valore, ma darebbe un segnale forte e posizionerebbe l’Italia al di fuori di una zona grigia nella quale si è infilata per la vigliaccheria, la cupidigia e il losco interesse di pochi.
Vi è mai capitato di entrare in una grotta carsica? L’aria è soffocante, piccoli cunicoli fanno da anticamera ad ampi cameroni sgocciolanti di acqua putrida e fango rossiccio, sembrano la descrizione delle coscienze di chi ha permesso, difeso e coperto il massacro delle foibe e l’esodo istriano e dalmata.
Tito Livio
Immagine: Pubblicazione CNL Istria Foibe, la tragedia dell'Istria