Il "dual use" visto dal militar soldato e dal politico

14/07/21

Può accadere che incrociando lo sguardo di un militare impegnato in una attività della variegata gamma dual use, un cittadino italiano sia preso dalla curiosità di scoprire cosa ci sia dietro quello sguardo, oltre allo scontato “obbedisco” che ne sottende l’operato. Questo accade quando social e teleschermi propongono immagini di soldati-manovali che scaricano banchetti ruotati da un tir; di alpini che in Piazza Stazione a Milano assistono impassibili (attenendosi evidentemente ad ordini ricevuti) alla sassaiola di alcuni spacciatori di colore contro una troupe televisiva troppo curiosa; di una pattuglia armata che controlla che i bagnanti di una spiaggia ligure indossino la mascherina; di operatori del genio che sgomberano rifiuti o tappano le buche stradali di una metropoli o, infine, di soldati che vigilano su campi rom e su Centri di Permanenza Rimpatri immigrati clandestini.

Non sfugge all’analisi in questione anche lo sguardo del generale chiamato a ricoprire il ruolo di Commissario per la campagna vaccinale (volontaria o obbligatoria che sia) della comunità nazionale. Certo è che in quest’ultimo caso il cittadino in questione, frastornato da un caotico e contraddittorio bombardamento mediatico, prima di operare una scelta tra vaccino-sì/vaccino-no fa riferimento anche allo sguardo ed al messaggio lanciato dal generale-commissario: “…mai nella storia dell’uomo si era riusciti a produrre in così poco tempo un vaccino contro una terribile pandemia ma soprattutto si è iniettato in pochissimo tempo decine di milioni di dosi di vaccini senza saperne chiaramente l’esito…”. Nonostante suonasse come il preludio ad un rifiuto dell’incarico, per il generale-commissario questa premessa aveva il senso di un’accettazione dell’investitura. A suffragare l’ipotesi del rifiuto in realtà gioca il contenuto dei moduli per il “consenso informato” nei quali le case farmaceutiche precisano, dando prova di encomiabile onestà, che i vaccini prodotti possono non proteggere dal contagio, che sono ancora in fase di studio e quindi sub iudice di incognite relative ai “non esaustivi studi in corso” (da mettere in conto tra queste incognite gli effetti di eventuali interferenze con altri vaccini).

In sintesi il messaggio delle case farmaceutiche è che si è in una fase di sperimentazione di vaccini testati giorno dopo giorno sui vaccinati, circostanza che “non esclude la possibilità di reazioni gravi al di fuori degli studi clinici” in atto. Un quadro che sembrava suggerire di non esporre il mondo militari a coinvolgimenti e sconfinamenti nel campo medico-scientifico, anche nella considerazione che l’intera problematica risente di condizionamenti politici nonché dei cospicui interessi economici in gioco.

Il semplice fatto che il fatturato della Pfizer superi il bilancio della difesa italiana dovrebbe indurre a qualche riflessione, ancor più se si considera l’anomalo finanziamento delle agenzie del farmaco, quali EMA e AIFA, da parte delle stesse case farmaceutiche. Anche un non addetto ai lavori dovrebbe ritenere inaccettabile che a finanziare gli enti che decidono se e come utilizzare un farmaco siano, anziché i governi nazionali o comunitari, le aziende che lo producono.

Occorre comunque prendere atto del fatto che con lo sviluppo della filosofia dual use i comportamenti e gli angoli visuali dei politici e dei militari tendono a identificarsi. Incombe però il rischio che l’insorgere di eventuali problemi di natura etica possa portare o all’interruzione della collaborazione o ad una connivenza.

È significativo tuttavia constatare come nell’ambito delle forze armate le attività dual use stiano diventando prioritarie e centrali rispetto a quelle più squisitamente "militari". Basti confrontare il monopolio dell’informazione che caratterizza la copertura mediatica della campagna vaccinale in atto con la quasi-indifferenza riservata alla conclusione della ventennale missione in Afghanistan, costata oltre 50 morti e centinaia di feriti. Una situazione che ha fatto tornare alla memoria l’inaccettabile gestione, da parte del governo Monti, della vicenda dei marò Girone e Latorre reduci dalla missione in India.

In sintesi si ha la netta sensazione che i nostri militari vengano osannati e gratificati se si dedicano al dual use mentre vengono ignorati o trattati con malcelata indifferenza quando “fanno i soldati”; tant’è che al rientro in Italia della bandiera di guerra dell’ultimo contingente afgano non ha presenziato alcun rappresentante del nostro vertice politico-militare.

Ad azzerare del tutto la visibilità di tale tormentato fine-missione si è poi sovrapposto il tripudio nazionale per la vittoria italiana nella coppa UEFA in occasione della finale disputata nel londinese stadio di Wimbledon, appuntamento calcistico che ha registrato la presenza del comandante supremo delle Forze Armate Italiane. Resta la consolazione che almeno in tale circostanza il Tricolore ha continuato a garrire al vento, anche se nel cielo di uno stadio inglese… e subendo anche qualche oltraggio da parte di miserabili personaggi rimasti ancorati ad un loro atavico barbaro lignaggio.

Inevitabile la domanda che balena nella mente sia del militare che del cittadino citati in apertura: un italiano che sceglie la strada delle stellette vuole fare il soldato o… che cosa?

Al vertice politico-militare l’ardua sentenza. Di fronte al patriottismo prevalentemente o solo calcistico degli italiani e agli inginocchiamenti pre-partita dei nostri calciatori, una seconda domanda affiora nella mente di chi scrive: ma quando impareremo ad essere un popolo serio?

Nicolò Manca

Foto: U.S. Army