Egregio direttore innanzitutto la saluto e le faccio i miei complimenti per il lavoro che giornalmente svolge.
Sono un militare dell'Esercito in s.p. e le scrivo per avere un'opinione su quanto segue.
Sono dieci anni che lavoro per questa grande amministrazione. Sono pochi? Sono tanti? Questo non lo so. Sicuramente posso dire di essermi fatto delle idee e di aver formulato alcune soluzioni.
Gli anni passano, sono stato all'estero in missione, ho svolto tantissimi lavori sul territorio nazionale e di gente ne ho vista passare... mi chiedo: ma è possibile che la struttura forze armate dev'essere basata su un sistema concorsuale totalmente errato?
Mi spiego meglio: ogni anno carabinieri, finanza, polizia e così via... assumono migliaia e migliaia di ragazzi, appena assunti dall'Esercito. Ragazzi che hanno un'età compresa tra i venti e i ventotto o poco più. Il paradosso è che tra le varie forze armate e dell'ordine in generale quella che ha più bisogno di giovani è quella che di più ne perde e cioè l'Esercito.
Negli anni mi sono affiancato per varie cose con eserciti stranieri e non è bello quando ti trovi di fronte a plotoni con un'età media di venti e il tuo sfiora i quaranta!
Dico io: eliminiamo le sfide tra amministrazioni, solo per poter dire e sfoggiare numeri di assunzioni alla popolazione e farsi belli.
Qui c'è un problema grosso che gli organi superiori stanno sottovalutando. Chi vuole fare il poliziotto o il carabiniere e così via, prima deve garantire dieci o quindici anni di operatività nell'esercito e poi sceglie se traslare in forze territoriali, così risolveremmo l'anzianità dell'Esercito e potremmo alzare sempre più il livello di preparazione, risolveremmo gli svecchiamenti e sul territorio avremmo gente matura e adulta e con una certa esperienza.
Le faccio un esempio: un ragazzo decide di arruolarsi, garantisce almeno dieci anni poi l'amministrazione gli propone di traslare in altre forze oppure di rimanere nell'Esercito, come istruttore o altre figure.
Ogni mese leggo articoli provinciali dove danno il benvenuto a centinaia di nuovi agenti semplici, nuovi carabinieri semplici e così via e mi chiedo: ma quelli sono forza giovane che dovrebbe stare con noi nei posti più martoriati del pianeta, nelle tende, negli elicotteri al freddo o a duemila piedi e invece girano in comode macchine per ore al caldo mentre noi giovani militari siamo circondati da colleghi con vent'anni di servizio e con un età elevata e passare delle notti in tenda o sei mesi in missione è diventato troppo stressante e logorante.
Concludo col dire che le giovani leve devono servire il paese, i nuovi agenti sul territorio o i nuovi carabinieri si possono benissimamente traslare svecchiando i militari con almeno 10 o 15 anni di vita operativa, risolvendo in un colpo solo diversi problemi che stanno diventando ingestibili.
La saluto e aspetto una sua considerazione.
Buon lavoro!
Lettera non firmata
Caro lettore, ringrazio per i complimenti e soprattutto per la testimonianza.
Mi permetto tre osservazioni, assolutamente personali ed opinabili.
La prima è che il problema dell'età media affligge da anni anche le forze dell'ordine e, se è vero che operare in posti "disagiati" è duro per degli ultraquarantenni, è altrettanto problematico alla stessa età avere a che fare quotidianamente con delinquenti vari e criminali comuni (de noantri o importati che siano).
La seconda è che le scelte di arruolarsi nelle forze dell'ordine o nelle forze armate possono essere sì alternate ma non devono rappresentare un percorso obbligato.
Mi spiego: indossare una divisa rappresenta una strada più che onorevole ma controcorrente in tempi in cui gli interessi e/o le vanità personali dominano la cultura nazionale. Tuttavia, porsi al servizio per l'ordine e la sicurezza dei concittadini o farlo per la loro difesa in armi, sono attività estremamente diverse e non ambivalenti. Mentre le forze dell'ordine si concentrano sulla sicurezza interna, l'applicazione della legge e la protezione dei cittadini con limiti all'utilizzo delle armi o della coercizione, le forze "armate" sono principalmente orientate alla difesa nazionale e alle operazioni militari, ovvero ambiti in cui l'utilizzo della violenza è (potenzialmente) massimo.
Sono scelte differenti, da fare con coerenza.
Se una carriera nelle forze di polizia rappresentasse il checcozaloniano "posto fisso" e non una "missione", le mafie occuperebbero ogni spazio politico, economico e finanziario.
Se una carriera nelle forze armate rappresentasse il checcozaloniano "posto fisso" e non una "missione", l'Italia sarebbe ancora un paese sconfitto, servo e cialtronamente incapace di tutelare i propri interessi. Il primo timore dei militari? Sarebbe un'opinione pubblica (ri)educata (da altri) da quasi un secolo a starnazzare, sempre e comunque, contro.
Rischi, converrà, assolutamente inaccettabili che - speriamo - non dovremo mai affrontare.
La terza è che in ambito militare una ferma prefissata esiste già, per esempio, per i piloti dell'Aeronautica Militare. Lo Stato spende milioni per la formazione, ergo vuole poter avere un ritorno garantito prima di possibili fughe nel mondo civile. Forse, con la sempre maggiore sofisticazione tecnologica in arrivo, anche i prossimi soldati comporteranno investimenti tali da rendere antieconomica una loro prematura fuoriuscita, imponendo una maggiore ed incentivata ferma obbligatoria.
La vera crisi è oggi forse nelle "vocazioni": perché arruolarsi nelle FF.OO. o nelle FF.AA.? Per accorgersi, dopo troppo tempo, che l'entusiasmo e le illusioni da ventenni - in Italia - non possono durare per sempre?
Foto: U.S. Army