Yemen: gli accordi di pace non servono

(di Giampiero Venturi)
15/12/15

Sotto la cenere lo Yemen brucia ancora. Il “cessate il fuoco” langue nonostante i negoziati di pace a Ginevra.

Brucia in silenzio, ai margini delle polveriere consuete.

Diamo uno sguardo.

Quasi tutti i Paesi aderenti alla Lega araba sono a guida sunnita. Fanno eccezione la Siria, ancora governata dalla variante sciita degli alawiti di Assad, il Libano, sospeso tra Cristiani e il partito sciita Hezbollah e l’Oman a maggioranza ibadita, una terza via dell’Islam che fa poca notizia. L'Iraq fa storia a sé col suo primo ministro sciita per costituzione.

La cosa rispecchia le fette dell’Islam anche esterno al mondo arabo.

Ricordiamo che:

  • non tutti gli arabi sono musulmani (ci sono 9 milioni di Egiziani cristiani per esempio…);
  • non tutti i musulmani sono arabi, anzi. La sola Indonesia conta tanti islamici quanto tutto il mondo arabo messo insieme.

I sunniti in ogni caso sono la maggioranza. Riferimento per tutti gli sciiti del mondo è l’Iran che sui libri di Storia si chiama Persia. Da quando a fine anni ’70 è diventata una Repubblica islamica, tutti i finanziamenti e gli appoggi politici per gli sciiti passano da Teheran. Da quel momento USA e Iran sono diventati cane e gatto.

Inquadriamo la cosa nel calderone yemenita.

Nello Yemen le fazioni del nord sciite (zayidite per l’esattezza), dal 2014 controllano la capitale San’a dopo aver deposto il presidente Hadi (tutt’ora riconosciuto dalla comunità internazionale). Tutto il mondo sunnita, spalleggiato da UE e Stati Uniti, ha reagito in difesa del presidente. La cosa di per sé potrebbe interessare marginalmente, se non fosse che lo Yemen nasconde un vespaio che coinvolge tutto il Medio Oriente, quindi il mondo intero.

Per la prima volta dall’invasione irachena del Kuwait nel ’90 il mondo arabo si è riunito a Sharm El Sheikh e ha deciso per la guerra. Le forze armate saudite, marocchine ed egiziane sono coinvolte direttamente sul campo da più di un anno. Aerei giordani, qatarioti e di tutti Paesi del Golfo Persico tranne l’Oman, partecipano ai raid sugli sciiti. Addirittura il Sudan, Paese arabo in cima alla lista americana degli Stati canaglia, ha aderito all’appello.

Ma se i sunniti si muovono, i persiani sciiti non stanno a guardare. L’Iran interviene minacciando problemi più grandi. A tale proposito, ricordiamo che:

- gli iraniani sono storicamente rivali degli arabi

- le monarchie del Golfo Persico hanno il complesso dell’Iran, potenza regionale, militare e demografica. Soprattutto grande fomentatore di minoranze sciite, tra cui quelle del Bahrein, della stessa Arabia Saudita e ovviamente dello Yemen.

La cosa è quanto meno curiosa. Gli USA che ad Aden hanno delle basi aeree e navali, appoggiano i sunniti, contro la ribellione sciita. Sullo stesso fronte si trovano però anche Al Qaeda (o quel che ne resta), l’Isis e tutti i combattenti islamici che considerano gli sciiti come eretici. Il caso della Giordania è emblematico: bombarda allo stesso tempo i sunniti dell’Isis in Siria, appoggiando Assad a sua volta amico degli sciiti dello Yemen. Per l’Egitto vale lo stesso: colpisce gli estremisti sunniti in Libia, ma indirettamente li appoggia nello Yemen.

All'intreccio c’è una spiegazione: arginare l’Iran. Può apparire una contraddizione se pensiamo che l’Iran è stato molto coccolato dagli Americani negli ultimi tempi con grande rabbia di Israele. Basti pensare al via libera all’intervento diretto delle forze armate di Teheran in Siria e agli accordi di Losanna sul nucleare. Il gelo tra USA e Stato ebraico è dovuto anche a questo.

Da considerare il ruolo della Russia che dopo l’intervento in Siria punta il dito contro i raid arabi e filoamericani nello Yemen, ma finisce per tollerarli per due questioni fondamentali: 

  • avere maggior “peso contrattuale” nella partita siriana;
  • mantenere le eccellenti relazioni con l’Egitto e storicamente con tutti gli arabi (a prescindere dal rapporto privilegiato con Damasco).

L’evoluzione delle cose a Ginevra è abbastanza facile da prevedere. Tutto il lavoro di mediazione verterà sull’inizio e la successiva durata del “cessate il fuoco”. Vista l’intensità e gli effetti devastanti sui civili dei bombardamenti sauditi, l’emergenza umanitaria sembra la questione più urgente. Riguardo al quadro politico si aspira ad un congelamento nel medio periodo. Se infatti è difficile immaginare un ulteriore irrigidimento dell’Iran, troppo interessato a far valere il suo ritorno nel ghota diplomatico internazionale, è ancora più difficile immaginare una soluzione definitiva del conflitto. le radici sono antecedenti alla riunificazione del 1990. Da allora lo Yemen è il cortile dello scontro ideologico fra Arabia Saudita e Iran: non conta quanto durerà “il cessate il fuoco”; sotto la cenere brucerà ancora.