Dall’aeroporto di Salonicco già s’intuisce la musica. Lo scalo è intitolato alla Macedonia, la regione di cui Salonicco è capoluogo.
Per i Greci non è argomento su cui scherzare troppo. Quando allo sciogliersi della Jugoslavia nel ’91 la Repubblica di Macedonia dichiarò l’indipendenza, scoppiò il caso internazionale. La Grecia si oppose all’identificazione del nuovo soggetto di diritto internazionale con capitale Skopje come legittimo erede del nome storico di Macedonia.
Al mondo non è un caso isolato, anzi. Solo per rimanere in Europa il Lussemburgo è il nome di un Gran Ducato ma anche della regione belga immediatamente limitrofa. Stessa cosa per la Moldavia, dove alla Repubblica con capitale Chisinau si affianca la regione Moldavia interna alla Romania. Paese che vai, problema di nome che trovi.
Ma non tutti reagiscono allo stesso modo o meglio non tutti gli scenari geopolitici sono così tesi da creare imbarazzi per una semplice definizione.
Che i Greci facessero una questione di principio c’era da aspettarselo. Più difficile pensare che la diatriba rimanesse aperta ancora dopo 25 anni e che Skopje fosse ammessa al seggio ONU solo due anni dopo la dichiarazione d’indipendenza e con la sigla FYROM, acronimo inglese per indicare Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia.
I rapporti fra Skopje e Atene sono rimasti pessimi nel tempo e nonostante note di disgelo non sono mai rientrati nei margini del buon vicinato. Nemmeno la fratellanza ortodossa ha potuto molto, benché di solito sia un legame molto sentito a Levante, soprattutto come difesa dall’ingerenza di altri gruppi etnico religiosi. A nulla è valsa la comune causa antislamica che ai tempi delle guerre jugoslave mobilitò molti volontari greci a fianco dei Serbi e che mosse (e muove) l’esercito di Skopje a controllo slavo e ortodosso nella guerra civile del 2001 contro gli indipendentisti albanesi dell’UCK macedone. È un dato incontrovertibile: la più remota e povera delle repubbliche ex Jugoslave, con la Grecia non riesce a legare.
La strada che da Salonicco punta alla Repubblica di Macedonia e sale verso Skopje è diventata così l’arteria di una regione spinosa. Parallela al fiume Vardar, arriva a Tsoliades, il confine tra le due repubbliche. La dogana non è una formalità e gli stessi controlli sono spesso fonte di problemi e lungaggini. Non indifferente ovviamente il fatto che la Grecia è parte dell’Unione mentre il percorso della Macedonia, alla cui domanda di adesione si oppose proprio Atene per i sopracitati motivi, è ancora lungo. Il dato non è marginale soprattutto perché la Grecia è compresa nell’area Euro (benché in zona retrocessione) il che implica il sovrapporsi di un muro finanziario a quelli politici, storici e frontalieri.
Se poi si considera che la Grecia è la porta sudorientale dell’Unione europea, particolarmente esposta ai flussi migratori provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa settentrionale, ci rendiamo conto di come le notizie che giungono sulle tensioni lungo il confine greco-macedone non siano casuali.
Sia attraverso la Turchia (ben contenta di creare disagi al nemico millenario), sia dai confini colabrodo dei suoi arcipelaghi orientali, la Grecia è l’ultimo paradiso dell’immigrazione irregolare di massa: quella dovuta ai conflitti in corso (area di crisi iracheno-siriana) e quella messa a profitto dai soliti ignoti.
Notizie di rinforzi militari per arginare il fenomeno (isola di Kos) sono per lo più pastura per i giornali. Stessa cosa vale per le veline sugli scontri tra esercito macedone e masse incontrollate di clandestini. La mobilitazione parziale delle forze armate macedoni copre il riacutizzarsi della crisi nell’area nord di Kumanovo, dove sacche di etnia islamica continuano a destabilizzare la repubblica. Piuttosto che alla poco credibile prova di muscoli contro l’immigrazione clandestina è più facile pensare che greci e macedoni, cerchino di spicciarsi dalle rogne di questi giorni con meno clamore possibile.
Scoperto il nuovo asse di transito, l’Internazionale dell’immigrazione intanto continua a prosperare facendo leva sulle mafie balcaniche. I Paesi coinvolti, di per sé non in grado di arginare il fenomeno, si limitano a velocizzare il passaggio e a non commettere passi falsi sul piano umanitario, contando su un rientro dell’emergenza quanto più rapido e indolore. La linea tra Atene e Skopje arriva così a Belgrado e si prolunga fino a Budapest prima di perdersi nei meccanismi oscuri della holding dei rifugiati.
Lo strano destino della Grecia destinata a essere circondata da vicini non proprio amichevoli (Bulgaria a parte), almeno per una volta sembra smussato da un interesse comune.
Quello che la Storia non è riuscita a fare tra Macedonia e Grecia, sono riusciti a farlo uno spirito pragmatico e una buona scorta di impreparazione, alimentata dalle difficili contingenze economiche.
L’ironia della sorte vuole che l’A1, l’autostrada che parte dal confine con la Grecia e taglia in due la Macedonia, sia intitolata ad Alessandro Magno, padre della Patria macedone riesumato dopo l’oscurantismo titino ma conosciuto dai più come condottiero greco…
A prescindere, vedremo chi pagherà il conto finale.