Il primo dell’anno è ancora l’anniversario, ma il vento è già cambiato: c’era… Guevara, prima o poi non ci sarà più.
Tra rattoppi e ultima propaganda, cede anche l’isola-fortezza che ha tenuto testa all’Impero. Questione di… peso: quello ufficiale vale carta igienica ed è lì per sparire col vento nuovo; presto rimarrà solo il convertibile legato al dollaro. Il vento nuovo porta via anche l’embargo, che dal ’59, passando per la Legge Torricelli, soffoca tutto. America e Cuba torneranno presto buone amiche, come Coca Cola e Rum. I nuovi voli tra USA e L’Avana e le nuove relazioni (senza ambasciate USA nel mondo rimangono solo Iran e Buthan) lo dimostrano: questione di poco e morirà un pezzo di Storia. Cuba è una strada impolverata destinata ai neon, al new rich e alla mala educación creola.
Ma il passaggio non è automatico come sembra. Il regime di Cuba ruota intorno ai militari. Le Fuerzas Armadas Revolucionarias sono la più importante delle tre leve del potere a L’Avana. Di fatto controllano anche le altre due, il PCC (il Partito comunista, unico al potere) e il sistema di sicurezza. Da come muoveranno i verde olivo dipenderà l’uscita di Cuba dal suo passato antagonista.
Lo sgretolamento dell’apparato militare cubano è un processo avviato ormai da vent’anni. Si è passati da 300.000 uomini pronti all’impiego di metà anni ’60 ai 62.000 di oggi. Gli arsenali allora aggiornati da Mosca, oggi sono antiquati e non consentono capacità di proiezione. Le forze corazzate sono un esempio: le brigadas de tanques, già ridotte a 4, non conterebbero più di 900 fra vecchi T-55 e T 62 modernizzati e ancora “efficienti”.
Nel 2016 sarebbe una barzelletta sostenere avventure africane come quelle in Angola, Etiopia, Mozambico, Congo e Namibia degli anni ’70 e ’80. Sembrano lontani anche i tempi dell’invasione USA di Grenada, quando il supporto indiretto cubano all’esercito grenadino umiliò i SEALs e gli elicotteristi americani. I suoi comandi territoriali (Occidental a L’Avana, Central a Matanzas e Oriental a Santiago de Cuba) appaiono più coerenti col mantenimento dello status quo che con un approccio dinamico. Il top rimane legato ai reparti d’elite come le Avispas Negras addestrate ancora da forze speciali vietnamite e da spetsnaz russi, ma il declino c’è e riguarda tutti, anche la flotta: ridotta a una forza costiera vanta qualche sottomarino “giocattolo” Sang-O coreano e alcuni esperimenti nazionali. Le fregate sono ridotte a due ex pescherecci riadattati e la forza missilistica conta su qualche unità ex sovietica obsoleta.
Della Fuerza Area nemmeno a parlarne. Ancora prima dell’America Latina per numero di velivoli, dalla fine degli aiuti sovietici ha ridotto il suo standard di efficienza di oltre il 60%.
Dalla chiusura del rubinetto di Mosca nel 1990 la corsa alla sopravvivenza ha guardato soprattutto a Cina, Corea del Nord e Venezuela chavista. Finito il regime di Maduro a Caracas, restano i rapporti con Pechino e Pyongyang. Buoni i primi per gli accordi seguiti alla visita a Pechino nel 2012 del Vice Ministro per le FAR Quintas, restano controversi i secondi a causa della scomoda posizione della Corea del Nord nella comunità internazionale e dei rischi di “contrabbando nucleare”. A tal proposito l’episodio della nave Chong Chon Gang piena di armi sequestrata a Panama nel 2013 è emblematico.
I dati però non cambiano le cose: la metà delle attività economiche a Cuba è controllata direttamente o indirettamente dalle FAR e il loro allontanamento dai ruoli istituzionali chiave appare problematico. In altri termini, qualunque sia lo scenario di successione a Raul Castro, non sembra si possa fare a meno dei generali.
Per ora il poco carismatico fratello di Fidel prova a pilotare l’inevitabile passaggio da un’economia socialista ad una mista e il possibile ridimensionamento del mondo in uniforme. Qualcuno però fa già i nomi dei successori in un ipotetico regime militar-caraibico post comunista e accettato da tutti: Leopoldo Cintra Frias su tutti.
Intanto tra mare, musicisti di strada, partite a domino nei vicoli, canottiere e crocifissi, nella sgangherata Avana continuano le file per mangiare. Uno stipendio medio (60 dollari) vale appena per comprare riso e pane con la tessera annonaria.
Cuba è iconografica. Per capirlo basta fare un giro lungo El Malecon. Malinconia, fatalismo, povertà, il senso d’isolamento che viene dalla Storia e dalla Geografia è ovunque. Da quando Fidel Castro e Che Guevara cacciarono Batista, tutto è rimasto sospeso, rallentato al ritmo lento tipico di un’isola socialista. Anche le bandiere sventolano piano. Con l’avvento del comunismo, la bandiera nazionale non è cambiata. Niente simboli, niente stelle, niente falci, niente martelli.
Cuba è una vecchia bella e la sua età impedisce una morte veloce. Siamo nell’ultima pagina del ‘900 che ancora non vuole girare. Oltre le ideologie, i murales, le scritte patriottico-comuniste, tutto sembra un museo, aperto ancora per poco.
A Cuba internet non c’è e quando c’è, costa tanto e funziona poco. La connessione in un Cafè, costa 10 dollari l’ora: quasi come andare a puttane. Tra poco Cuba sarà connessa al mondo e la rete sarà subito fastidiosa e troppa. Il costo d’internet diminuirà. In compenso aumenterà quello delle puttane.
La Simon Bolivar tra Chevrolet, Oldsmobile e Buick anni ’50 ricorda una puntata di Happy Days. Le macchine sono le stesse dell’ultimo capodanno di Batista, quello del Padrino II per capirci; non è cambiato nulla. I pezzi di ricambio s’inventano e si riciclano come tutto. Aspettando che lo facciano i militari, il Paese cambia lentamente.
Con la fine dell’epoca castrista a Cuba non finirà solo una dittatura. Finirà un secolo già digerito; digerito così velocemente da non fare nemmeno più paura. La globalizzazione vincerà presto, fagocitando tutto.
L’unica speranza è che quando Cuba tornerà tra i "normali", rimanga in qualche modo se stessa. Sono parole che purtroppo vanno via col vento. Quello che cambia tutto.
(foto: autore/FAR/web)