Uno sguardo obliquo, oltre la finestra. Somar parla lento, con le parole certe e cadenzate di chi ha visto. È un sopravvissuto, l'unico dei 21 uomini del suo plotone.
Tutto capita in una notte infame di alcuni mesi fa, a metà strada fra Homs e Palmyra. Sono i giorni in cui i tg occidentali rimbalzano notizie da Palmyra, inorridendo dietro a un display.
Per 6 giorni i rifornimenti elitrasportati vengono sistematicamente distrutti insieme a velivoli ed equipaggi e tutto il reparto di Somar si sfama con serpenti ed altri animali del deserto. Un momento tremendo per l’Esercito siriano.
Buio assoluto tra le tende dei soldati allestite vicino ad un T55 in panne, bloccato da giorni per un guasto e ormai insabbiato. Uno, due, tre… Per i cecchini dell'Isis le sentinelle e tutti i commilitoni di Somar sono un bersaglio facile. Alcuni vengono freddati nel sonno. Un massacro senza scampo.
Quando inizia la mattanza Somar prova a soccorrere il più vicino dei suoi compagni colpiti. Niente da fare, viene colpito prima al petto (i medici estrarranno un colpo a 2 centimetri dal cuore), poi al piede sinistro. Gli assalitori hanno visori ed ottiche ad intensificazione luminosa. Chi considera l’Isis una banda di briganti, è fuori strada. Armi ed equipaggiamenti vengono da lontano e c’è chi sa farne uso.
I 21 siriani sparano raffiche di AK nel buio. Il suono acuto si perde nel vuoto intenso di sabbia e polvere. Per Somar lo scontro si chiude con un proiettile attraverso la testa tra fronte e occhio sinistro.
Guarda ancora fuori. Ha toccato la fine con entrambe le mani e nella sua voce è rimasta la traccia. Dice che nel buio è caduto e ha pensato alla moglie e ai tre figli. Piange dentro senza commuoversi.
Quando tutto sembra finito arriva un soccorso dal cielo. Un aereo sgancia pesante attorno alla loro posizione per proteggerli. Ma è un lancio cieco. Cieco come il buio intorno. Nell’oscurità i lampi brevi delle esplosioni e delle scintille si spengono nei cumuli di sabbia grigia che si alzano a caso. Fiotti di luce gialla e rosa sembrano tracce di un incubo amico.
Passano 6 ore prima che arrivi il giorno e con la luce chiara del deserto arrivano aiuti di terra. Dei compagni di Somar, spenti uno ad uno come lumini al vento, non rimane nessuno.
Somar racconta di aver ripreso conoscenza in ospedale. Gli ci sono voluti 8 mesi per lasciare il letto, circondato dall'affetto della moglie e dei tre figli. Somar non ha vent'anni, ne ha 35. Si è congedato 14 anni prima al termine della leva triennale. E avrebbe potuto restarsene a casa con la famiglia se qualcuno non avesse permesso a bestie assassine di avvicinarsi a pochi chilometri dai suoi. Volontario, cieco ad un occhio e zoppicante, ammette senza remore che rifarebbe immediatamente la scelta perché "la famiglia di un uomo è anche la propria Patria, la sua terra".
Non si finisce mai d’imparare da questo popolo. Come Somar ce ne sono migliaia, sconosciuti, persi, chissà dove, meno fortunati. Lui dice che in futuro, una volta pacificata la Siria, non si vendicherebbe comunque delle bestie assassine dell'Isis. I suoi tratti arabi violentati dall’orrore lasciano trasparire un cuore buono.
Non è un eroe Somar, ma un onesto padre di famiglia che ha difeso qualcosa, probabilmente tutto quello che aveva e che ha ancora. Riprenderebbe un fucile solo per difendere la Siria. Mentre guarda fuori col suo viso sbilenco, sembra pensarci e convincersi ancora. La Suriia come dicono gli arabi, è un ritornello che torna sempre. Un nome antico, inossidabile nel cuore di uomini semplici e anonimi, ma dai sentimenti grandi. Sorride per la prima volta e quasi a ripensarci dice che il fucile lo imbraccerebbe ancora anche per aiutare i russi, gli unici che aiutano i suoi fratelli siriani. Sorride ancora e riprende a guardare fuori.
Chissà che pensa, chissà cosa gli torna in mente… Roba di uomini. Roba di soldati e gente per bene…
(foto: Andrea Cucco)