M. è un uomo esile. La barba di un mese incornicia una faccia triste e grigia come il muro. Ha uno sguardo cupo che nasconde un abisso, una ferita profonda. La seconda volta che ci incontriamo si scuote un po’ e nel suo silenzio si apre una breccia. Prende confidenza e inizia a parlare.
Novembre 2012 (area a nord-est di Damasco): prima che la guerra passi di lì, M. manda lontano moglie e figli. Lui rimane perché il negozio di barbiere e la casa sono tutta la sua vita. Deve lavorare per mantenere la famiglia.
Se li trova in casa all'improvviso. Sono i “miliziani moderati per la libertà e la democrazia” del Free Syrian Army. Quelli della primavera araba, amici degli amici…
Viene immediatamente pestato a sangue con l'accusa di essere uno sciita, un infedele. Lui in realtà è sunnita, ma non gli credono. Iniziano giorni assurdi di pestaggi e sevizie.
Scopre le bende dai piedi e ci mostra i segni sulle caviglie (foto). Lo hanno torturato con la corrente elettrica per estorcere una confessione.
Per alleviare le pene M. poteva confessare quello che non è. Se lo avesse fatto lo avrebbero ucciso sul posto come è successo ad altri vicini di casa.
Continua a negare ma i suoi aguzzini non gli credono. Dopo settimane di botte e minacce di morte gli infami dell’FSA decidono di farla finita. Lo portano in strada, lo incaprettano e gli dicono di pregare. Quando l’AK che gli hanno puntato alla fronte sta per sparare passa il capo della banda. Solleva la canna del fucile mentre parte il colpo che gli sfiora la testa.
“È un sunnita, che cazzo fate!” - esclama.
Il leader locale dei miliziani è un uomo del posto e lo riconosce. L'esecuzione scampata è l’inizio di un altro inferno: gli occupano casa e lo riducono in schiavitù. È costretto a servire tra violenze fisiche e morali di ogni tipo.
Intanto in quest’area di Damasco la vita quotidiana è cadenzata da esecuzioni sommarie. I corpi dei soldati catturati, dopo le torture vengono gettati nei cassoni della spazzatura. Vengono eliminati sistematicamente tutti gli “infedeli”: sciiti, alawiti, drusi, cristiani... C’è un piano preciso, preordinato.
I miliziani sono siriani locali ma soprattutto stranieri, in maggioranza marocchini e tunisini. Nessun europeo. Lui riconosce quasi tutti i siriani, perché erano suoi clienti.
M. si ferma impietrito. Un’immagine, un ricordo, qualcosa lo turba. La sua voce diventa rabbiosa, quasi cattiva. Dice che quelle bestie non erano veri credenti: si drogavano, si ubriacavano e si sodomizzavano a vicenda. Il tutto nel suo letto nuziale... Il pudore e la presenza di clienti nel negozio gli impediscono di dire oltre. Le violenze fisiche che ha dovuto subire si perdono nel suo sguardo spento, gelato in un odio profondo e in una postura contratta.
Riprende a parlare e dice che il piano superiore di casa era diventato un'armeria.
Le armi sono tante e modernissime. Non si sa chi gliele abbia fornite ma i miliziani sono equipaggiati meglio dell'esercito. I fucili da cecchino con ottiche notturne mietono vittime per mesi. Le famiglie smettono di mandare i bambini a scuola perché diventano sempre più i bersagli dei cecchini appostati sui tetti. I miliziani moderati si divertono per 9 mesi, quanto dura l’occupazione di questa fetta di Damasco.
La festa un giorno finisce. Arriva l'esercito e i miliziani del Free Syrian Army fuggono via. Si portano dietro M., ma lui riesce a sganciarsi. Si dirige verso i militari siriani. Sventola la canottiera bianca, li raggiunge e trova scampo.
Negozio ed abitazione sono diventati macerie. Riesce però a raggiungere la famiglia a iniziare di nuovo. La vita a Damasco lentamente riprende.
Chiediamo se abbia mai creduto alle proteste del 2011.
Risponde che la rivoluzione era organizzata da fuori. Era chiaro fin dall’inizio che fosse una trappola.
Quando parla di quello che prova per i miliziani gli torna il buio negli occhi. Perdono luce e vita. Dietro la sua faccia grigia non riesce a trovare il perdono per quello che gli hanno fatto. Parla di morte, di vendetta, di un odio senza fine. È la guerra voluta dagli altri.
(foto: Difesa Online)