L’attenzione in Medio Oriente rimane principalmente focalizzata sulle evoluzioni militari dello scacchiere siriano, in questo momento predominante. I futuri sviluppi politici di tutta la regione sembrano però legati anche a fronti marginali che nel silenzio generale dei mass media continuano a mietere morte e distruzione.
Lungi dall’essere pacificato con i negoziati di gennaio, lo Yemen si conferma teatro di sanguinosi scontri tra il “fronte lealista” sunnita supportato da Arabia Saudita e Coalizione araba e i ribelli sciiti Houthi, a loro volta sostenuti dall’Iran. Potenziale casus belli fra Riad e Teheran il fronte yemenita non accenna a freddarsi, anzi sembra entrare in una spirale senza fine.
Dal 17 febbraio le Forze Reali saudite avrebbero scatenato una massiccia offensiva per recuperare la strategica città di confine di Rabuah, occupata dai ribelli Houthi e dai reparti della Guardia Repubblicana fedeli all’ex presidente (sciita) Saleh. Per la terza volta in un mese però i sauditi avrebbero subito pesanti perdite e sarebbero stati respinti. 24 soldati sarebbero caduti e 3 veicoli corazzati distrutti. Due settimane fa erano stati 28 i soldati di Riad uccisi in battaglia.
Lo sforzo saudita non sta dando i risultati sperati ma fa parte di un quadro d’insieme teso a recuperare tutto il territorio rimasto in mano alle milizie fedeli al presidente (o ex che dir si voglia) Saleh. La riconquista di Aden dell’estate scorsa sembrava il preludio ad una rapida avanzata delle forze sunnite filogovernative e filosaudite. In realtà il problema politico emerge più grande alla luce delle difficoltà di penetrare militarmente nelle regioni del nord, montagnose, tribali e soprattutto a maggioranza zaydita, ramo minoritario dell’islam sciita.
Nelle settimane scorse c’è stata una sensibile progressione dell’esercito lealista di Hadi verso San’a, ma la situazione rimane estremamente fluida. Tutta la regione intorno alla capitale, ancora in mano ai ribelli, è stata interessata da una concentrazione di forze preceduta da fitti bombardamenti delle Forze Reali saudite e degli Emirati Arabi. Le operazioni sono state così intense che la caduta della Venezia del Medio Oriente, è stata data per imminente più volte.
Il fatto determinante è che San’a fino alla riunificazione del 1990 era stata capitale del riottoso e tradizionalista Yemen del Nord. A prescindere dagli sviluppi nel tessuto urbano, è molto difficile pensare ad una rapida penetrazione anche nelle provincie tribali a ridosso proprio dell’Arabia Saudita. Anche se il fronte fedele a Saleh non sembra uniforme né dal punto di vista politico, né confessionale (sarebbero centinaia le defezioni tra i miliziani) sembra che l’intervento diretto dei sunniti sauditi (e degli Emirati) abbia finito per fare da collante e ne impedisca il collasso. Due i fattori ancora determinanti: i legami ancora molto forti di molti capi ribelli tribali Houthi col potere burocratico militare di Saleh; l’Iran, che interessato alla sconfitta saudita, continua a fornire appoggio ai “fratelli sciiti”. Ribelli Houthi e militari sciiti pro Saleh, pur non amandosi, finirebbero così per essere ancora una validissima opposizione al cartello sunnita, soprattutto sul piano militare.
L’imbarazzo della comunità internazionale che appoggia Hadi e considera Saleh un golpista, intanto continua. Così come l’impasse delle operazioni di Riad che impegna 100.000 uomini sul terreno, guida una coalizione di altri 9 Paesi, ma non riesce a trovare ancora il bandolo della matassa.
(nel fotogramma d'apertura ribelli houthi in azione, nel successivo la distruzione di un M1 Abrams saudita)