Le notizie dallo scacchiere siriano si susseguono con grande rapidità. Da una parte gli sviluppi militari con riguardo particolare ai fronti nord e centroorientale. Dall’altra le dichiarazioni ufficiali che lasciano intendere derive geopolitiche allo stato attuale inquietanti.
Andiamo per gradi.
Sul settore occidentale di Aleppo all’alba del 19 febbraio è scattata una larga controffensiva dei terroristi di Al Nusra, Ahrar Al Sham e altri gruppi islamisti satelliti, affiancati dall’FSA. L’operazione sarebbe finita in un disastro con più di 40 miliziani uccisi e un numero imprecisato di veicoli distrutti.
Proprio nello stesso settore la 154a Brigata della Guardia Repubblicana supportata da milizie Hezbollah starebbe incalzando la cittadina di Anadan (12 km da Aleppo). La località è sulla strada per Azaz che arriva in Turchia, arteria principale per l’afflusso di nuovi terroristi da nord.
Molti jihadisti coinvolti nelle operazioni di ieri ad Aleppo sarebbero transitati dalla frontiera di Bab Al Hawa, sulla M45 che unisce la parte occidentale del Governatorato di Aleppo con Reyhanli in Turchia.
La notizia non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto diciamo da giorni, ma le conferme del coinvolgimento di Ankara (ormai innegabile) si sommano alle novità politiche delle ultime ore.
Fonti del giornale arabo Raialyoum riportano le parole di un diplomatico russo secondo cui il presidente russo Vladimir Putin non esiterebbe a colpire la Turchia qualora truppe di Ankara dovessero penetrare in territorio siriano. Si parla di “reazione senza esitazioni e senza limiti”.
L’irritazione di Mosca è confermata dall’appello di Putin al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché si mettano all’ordine del giorno le manovre turche al confine con la Siria.
In queste stesse ore il Presidente degli Stati Uniti Obama avrebbe avuto un colloquio telefonico con Erdogan e avrebbe esortato alla moderazione sia Ankara che le milizie curde (entrambi formalmente alleati di Washington ma in guerra tra loro). In termini non diplomatici gli USA chiederebbero alla Turchia di interrompere i tiri di artiglieria in territorio siriano e alle YPG curde di non irritare i turchi avvicinandosi troppo al confine.
La posizione americana è tanto più scomoda quanto più si considera che il fronte nord potrebbe collassare entro aprile e che le Forze Armate di Damasco e le milizie curde non hanno nessuna intenzione di mollare proprio ora che stanno vincendo e recuperando terreno.
Abbiamo sostenuto su questa rubrica che sotto il profilo logico sia molto difficile che Ankara si avventuri in un’iniziativa militare isolata in Siria. Un’operazione oltre confine sarebbe un atto di guerra per Damasco e i risvolti sarebbero imprevedibili. Discorso analogo è stato fatto per l’Arabia Saudita più preoccupata ad assumere la leadership del fronte sunnita che a buttarsi nella mischia.
Rimane però la variabile Erdogan e l’imprevedibilità dei circoli militari di Ankara sempre meno affidabili lungo quell’asse laico di cui in teoria sarebbero i guardiani secolari.
A rendere ulteriormente incerto il quadro è l’articolo 5 del Trattato Atlantico che prevede il mutuo soccorso di tutti gli Stati aderenti alla NATO in caso di attacco ad un Paese membro. Se la Turchia si faccia scudo dell’Alleanza di cui è parte o se la stessa possa essere un freno per le sue scorrerie geopolitiche è tutto da vedere.
Di sicuro c’è un grande fuoco su cui si continua a gettare benzina.
Mentre scriviamo unità delle Qawat Al-Nimr (Forze Tigre) mettono in sicurezza Za’lanah sulla strada tra Aleppo e Raqqa. Lentamente ma il cerchio contro il Califfato inizia a prendere forma.
(Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri)