Il Pakistan conta 200 milioni di abitanti, 3 dei quali sono cristiani. In altri termini, ci sono più cristiani in Pakistan che in molti Stati d’Europa, ma il dato resta inosservato.
Del Paese si parla soprattutto con riguardo alle provincie del Nord Ovest e all’area di Peshawar, culla dell’insorgenza talebana, in bilico fra collusione e contrasto al potere centrale di Islamabad.
A far parlare di sé sono sempre i talebani del TTP, riunificati dal 2015 con Jamat Ul Ahrar, cartello sunnita integralista che in barba a Resolute Support, è sempre più forte nelle regioni dell’Afghanistan orientale. Pur nel mix di alleanze e rivalità tra clan, l’asse di etnia pashtun tra talebani afghani e pakistani a cavallo della Linea Durand (3000 km di confine fra Afghanistan e Pakistan, in realtà niente più che un tratto di penna…) ha un grande rilievo geopolitico: un ritorno dei talebani a Kabul garantirebbe un serbatoio strategico a Islamabad, in un’ottica regionale anti indiana. Il Pakistan ufficialmente impegnato contro il terrorismo internazionale, è in realtà più interessato ad influenzare Kabul e a tenere in disordine l’intera area. L’expertise dell’intelligence pakistana (ISI) in questo ambito è risaputo: tutti i lavori sporchi del Kashmir hanno radice logistica proprio nelle terre senza legge fra Jalalabad e Peshawar.
Ciononostante, a tutto maggio 2016, la notizia più grossa dal Pakistan non è arrivata dalle regioni dell’ovest ma da Lahore, megalopoli del Punjab vicina al confine indiano. Protagonista dell’eccidio di Pasqua al parco giochi di Gulshan-i-Iqbal è stata la branca del TTP operativa proprio nel Punjab e già autrice in passato di altre prodezze, quali far saltare le chiese locali uccidendo decine di persone.
L’odio islamico nel Punjab per tradizione orientato contro simboli della vicina India, sempre più spesso ha cominciato a prendere di mira la comunità cristiana, cospicua per numeri assoluti ma relativamente esigua. A Lahore i morti sono stati circa 70 e nella rivendicazione è stata ribadita la matrice confessionale.
Tra torpore, pigrizia e condanne di facciata, l’Occidente si è girato dall’altra parte. Le dichiarazioni ufficiali hanno di nuovo spinto molto sulla parola “minoranze” e poco sul termine “cristiane”.
Anche oltre frontiera, in terra indiana, l’andazzo non è molto diverso. Nel 2015, solo nell’Uttar Pradesh, si sono registrati più di 200 casi di violenza contro minoranze cristiane. La matrice stavolta non è islamica ma induista, con riferimento specifico al partito nazionalista Rashtriya Swayamsevak Sangh.
Le istituzioni indiane, così celeri a farsi carico di presunte lese maestà (il caso dei Marò se non fosse una vergogna sarebbe addirittura comico…), appaiono molto meno solerti quando si tratta di difendere i diritti di chi ha un peso politico trascurabile. In altri termini: “se intervenire a favore dei cristiani compromette gli equilibri interni della Grande India, allora è meglio chiudere un occhio, anzi due…”
Nel secondo serbatoio islamico del subcontinente indiano, il Bangladesh, se possibile le cose vanno anche peggio. Ormai da anni Asia News riporta una vera e propria caccia al cristiano attuata da circoli estremisti musulmani nell’inerzia più totale delle autorità locali. A Kurigram l’ultimo sgozzamento per conversione al Cristianesimo è avvenuto il 22 marzo nel silenzio dei media. Stupri collettivi e violenze fisiche sono all’ordine del giorno.
Dove inizia la politica e finisce la religione?
La domanda perde senso nel momento in cui l’obiettivo finale è lo stesso: svuotare una cultura di suoi contenuti per imporne altri.
Dire che l’ormai ex cristiano Occidente sia complice è un eufemismo. Oltre agli allarmi lanciati dalla Santa Sede sulle cui posizioni i media fanno filtro in base ai contenuti, sis ente ben poco. È molto difficile avere addirittura notizie su un fenomeno che appare oggettivo e incontestabile: in giro per il mondo, oggi, l’odio religioso prende a oggetto principalmente i cristiani.
La cosa puzza come il fumo delle chiese bruciate e l’apatia generale non sembra troppo casuale. L’essere cristiani in tempi di relativismo diventa una colpa per cui è giusto pagare. Una scelta che porta al “te la sei cercata” e che attinge addirittura alla nemesi storica: “anche i cristiani in passato hanno perseguitato”.
Qualche ardito incursore del laicismo ad oltranza ogni tanto rispolvera addirittura Giordano Bruno e Galileo pur di minimizzare le violenze e i soprusi contro i cristiani dei nostri tempi.
L’idea su cui riflettere è che la cristianofobia nel mondo sia profondamente legata ai riferimenti culturali ormai regnanti in Europa e in America. Se essere cristiano in molti Paesi è diventato un crimine, in parte è dovuto al fatto che nazioni di cultura e tradizione cristiana non reagiscono, anzi, a volte sembrano quasi in imbarazzo per il fenomeno. Affermare quindi che il problema sia domestico non è un azzardo e le ragioni sono sociali, talvolta perfino teologiche.
Il policentrismo etico ha inciso molto nell’affermazione di principi e convinzioni discutibili, dando indirettamente fiato a culture più violente e radicali. Basta citare due luoghi comuni estremamente pericolosi per la sopravvivenza della cultura cristiana:
- la ragione è in contrasto con la fede;
- chi è cristiano deve esserlo in privato, nel rispetto di fantomatici “altri”.
Con la prima si crea una spaccatura fra mondo illuminato e mondo cristiano, divisione non presente nelle culture non occidentali.
Con la seconda si isola la fede dalle istituzioni, favorendo anche scelte geopolitiche in contrasto con i propri retaggi culturali. Come esempio basti pensare che noi occidentali ignoriamo il principio di reciprocità per il rispetto delle minoranze religiose con tutti i Paesi a maggioranza non cristiana. Abbiamo detto del Pakistan, ma anche tra nazioni arabe con cui facciamo lucrosi affari si distinguono non pochi brillanti esempi di oscurantismo: l’Arabia Saudita vale per tutti.
A fronte di reati di apostasia presenti nei codici penali di molti Paesi musulmani i contribuenti italiani continuano a finanziare centri islamici in giro per lo Stivale senza nemmeno saperlo.
A chi serve tutto ciò? Il dio denaro continuerà a mettere toppe per sempre?
È difficile pensare che tutto ciò sia un buon segnale anche in chiave geopolitica. Il peso di una civiltà nel mondo si rileva soprattutto dalla sua presenza culturale di cui la componente religiosa è un tratto ineluttabile.
L’impotenza dell’Occidente forse passa anche da questo.
(foto: web/Pak Fauj)