Libia: qualcosa si muove. Mosca media fra Tripoli e Tobruk

(di Giampiero Venturi)
04/03/17

Al Sarraj è volato a Mosca. Con questo semplice atto l’Occidente prende atto dell’impasse della crisi libica e si affida ad altre soluzioni.

Facciamo un passo indietro.

Il governo di Tripoli riconosciuto con trombe e tamburi dalle Nazioni Unite, dagli USA e dall’Unione Europea in realtà non ha poteri. È un esecutivo quasi virtuale che amministra meno di un terzo del Paese e rende conto ai cartelli islamici fortemente penetrati dal fondamentalismo. Per poter sopravvivere (nel senso reale del termine), Al Sarraj deve rispondere alla Fratellanza Musulmana, blocco predominante della galassia islamica che attualmente domina in Tripolitania col beneplacito di Stati Uniti e Gran Bretagna. Non tutto il territorio è sotto controllo. Oltre all’area berbera di Zintan, alleata della prima ora del Parlamento di Tobruk, le regioni verso il Niger e quelle a ridosso dei confini con Tunisia e Algeria sono un’autostrada di traffici di armi destinate al Sahel e di essere umani destinati all’Europa. Nelle stesse aree è fortissima la presenza islamista.

L’endorcement ricevuto da Al Sarraj, dopo 15 mesi dagli accordi preso in Marocco, sta producendo i suoi frutti: lo zero assoluto.

La Cirenaica a sua volta prosegue il cammino indipendente da Tripoli, col generale Haftar sempre più legato all’Egitto di Al Sisi e da fine 2016, ufficialmente riconosciuto come interlocutore da Mosca. In altri termini: la Libia che Stati Uniti ed Europa hanno fatto di tutto per dividere nonostante le dichiarazioni d’intenti, oggi è de facto divisa.

In questo contesto la Russia ha giocato d’astuzia, mettendo a frutto decenni di relazioni speciali con i Paesi arabi, in particolare con alcuni della fascia mediterranea; fra questi si distinguono l’Algeria, l’Egitto (pre Sadat e post Mubarak) e ovviamente la Libia, che sotto Gheddafi era già una testa di ponte di Mosca.

Nonostante gli allarmismi di alcuni media che gridano allo sbarco dei russi in Nordafrica, basta un semplice libro di Storia per capire: i russi, forti di link strutturali nell’area, stanno colmando un vuoto diplomatico generato da 6 anni di guerra e instabilità.

La mancanza di uno Stato nazionale credibile e l’incomunicabilità fra la Tripolitania “angloislamica” e la Cirenaica filo egiziana, hanno creato un vuoto all’interno del quale continua l’esportazione clandestina di idrocarburi e il dominio incontrastato di milizie locali.

La situazione di stallo costellato da conflitti continui, può essere sbloccata dall’unico interlocutore potenzialmente in grado di parlare a Tripoli e Tobruk, cioè Mosca.

Della relazione fra Haftar e la Russia si parla da mesi. Galeotto fu il comune intreccio con l’Egitto di Al Sisi, nemico giurato della Fratellanza Musulmana e quindi dell’attuale cricca al potere a Tripoli. Scaricato dagli USA da cui è stato coccolato per venti anni, il 74enne generale rappresenta l’unica vera opposizione alla diffusione dell’Islam radicale in Libia. In pochi anni ha raggruppato tutti i nostalgici dell’ex regime di Gheddafi,  identificabili per lo più con ufficiali, funzionari e quadri di estrazione laica e borghese. 

La rapida convergenza degli ultimi tempi tra il Cairo e Mosca rappresenta oggi la più grande garanzia strategica per Haftar, che sulla sponda mediterranea potrà contare anche sull’appoggio dell’Algeria, altra amica storica della Russia, i cui arsenali recentemente rimpinguati, potrebbero servire da serbatoio per quelli dei miliziani della Cirenaica.

Come dicevamo in testa, la novità vera è però il viaggio di Al Sarraj a Mosca, da considerare come una sorta di abdicazione diplomatica dell’Occidente.

Alle spalle del tentativo del “premier” libico c’è il ponte politico tra Turchia e Russia. Non è un caso che i tentativi di contatto concreto fra Tripolitania e Cirenaica siamo iniziati proprio in parallelo al disgelo fra Ankara e Mosca la scorsa estate. La Turchia è lo sponsor principale della Fratellanza Musulmana che comanda a Tripoli. In sintesi, se turchi e russi lo volessero, la Libia avrebbe una chance seria di ritrovare stabilità.

La posta in gioco è enorme, innanzitutto per questioni economiche. Il viaggio di Al Sarraj in Russia segue di pochi giorni l’accordo fra la National Oil Corporation e la Rosneft, giganti del petrolio controllati rispettivamente da Tripoli e Mosca. L’accordo prevede lo sfruttamento congiunto delle risorse libiche e rilancia gli interessi economici russi nel Paese arabo, messi in seria discussione dopo l’eliminazione di Gheddafi e l’arrivo delle multinazionali occidentali. A questo proposito vale la pena ricordare che Rosneft è controllata per il 50% direttamente dal governo russo.

Altro aspetto che potrebbe beneficiarne è sicuramente quello del traffico di “profughi” in mano a bande armate islamiste e alle criminalità organizzate locali e italiane. Fra i tanti motivi che finora hanno impedito alla Libia di tornare ad una parvenza di normalità c’è il fatto che a molti non conviene. Basti pensare che oggi il Paese è il terminale africano della compravendita di “migranti” mentre dalla blindatissima Libia di Gheddafi non usciva nemmeno una mosca.

In questo contesto va menzionato l’accordo italo-libico firmato a Roma il 2 febbraio dal premier Gentiloni e da Al Sarraj. L’intesa prevede una collaborazione per arginare il fenomeno dell’immigrazione illegale. Per quanta buona fede possa esserci tra le parti, il memorandum collide con la realtà dei fatti: da una parte c’è un leader che non controlla il Paese per cui s’impegna (la Libia); dall’altra un Paese che non controlla le proprie frontiere (l’Italia). Proprio l’Italia, pesantemente coinvolta nell’economia estrattiva libica e schierata in prima fila con l’Operazione Ippocrate a Misurata, è tra i Paesi che gioverebbe di più da uno sblocco dello stallo libico.

La partita è tutta da giocare. Il contatto fra Al Sarraj e Mosca allo stato attuale sembra l’unica vera possibilità di pensare ad un accordo fattivo fra governo di Tripoli e Parlamento di Tobruk. Resta da vedere la reazione dei soggetti minori, quasi mai del tutto allineati ai due poli principali della crisi libica.

È proprio di ieri la notizia che le milizie jihadiste di Bengasi hanno strappato all’Esercito Nazionale Libico (le forze di Haftar che rispondono a Tobruk) i terminali petroliferi di Ras Lanuf e al Sidra, parte della Mezzaluna Petrolifera della Cirenaica conquistati da Haftar a settembre. La cosa non promette nulla di buono.

(foto: LNA/web)