Mentre scriviamo, quotidiani arabi confermano l’attacco aereo israeliano condotto nell’area di Quneitra, città abbandonata del Golan, interna al territorio controllato da Damasco. L’attacco sarebbe avvenuto il 23 aprile contro formazioni della Brigata per la Liberazione del Golan, la milizia sciita irachena che combatte al fianco delle truppe di Assad nel sud della Siria. Tel Aviv non conferma e non si hanno ulteriori dettagli.
L’attacco avviene mentre le truppe di Damasco consolidano la presenza nel Golan siriano e preparano l’offensiva tesa a ridurre il peso dei miliziani jihadisti legati ad Al Qaeda e allo Stato Islamico nel fronte sud.
È evidente che nelle regioni meridionali della Siria alcuni equilibri fondamentali per il futuro del Paese stiano rapidamente cambiando.
Andiamo per ordine.
Il sud è stato il focolaio iniziale della rivolta anti Assad. Nella primavera del 2011 tra le prime città dove mercenari stranieri provocavano la folla per scatenare la reazione dell'esercito siriano, c'era proprio Dar’a, distante dieci minuti di auto dalla Giordania e poche decine di km dalle alture del Golan.
Regione povera a ridosso dei confini con Israele, il Governatorato di Dar’a è diventato poi subalterno ad altri fronti apparentemente decisivi per le sorti del conflitto. Nonostante la minore esposizione mediatica rispetto ad Aleppo, Homs, Hama, Raqqa e Deir Ezzor, ai confini sud della Siria si è però continuata a giocare una partita decisiva e sottile senza soluzione di continuità.
Il primo fattore da considerare è Israele, attore apparentemente defilato, ma in realtà molto presente e operativo.
Dei contatti militari fra Stato ebraico ed Al Qaeda in funzione anti Hezbollah abbiamo già parlato su queste pagine nel 2016 (leggi articolo).
Il fattore da considerare è l’inserimento della Giordania nel quadro della guerra siriana, così come previsto dagli Stati Uniti all’inizio delle cosiddette Primavere arabe.
Il Telegraph nell’ottobre del 2012 aveva già fatto trapelare la notizia del dispiegamento di circa 150 unità speciali americane nel nord della Giordania (35 km a nord di Amman, e circa 70 dalla siriana Dar’a) al termine della periodica Operazione Eager Lion. La stessa fonte (Richard Spencer, inviato per il Medio Oriente), citando il New York Times, sosteneva che a Londra e Washington era da tempo allo studio l’idea di creare un cuscinetto nel sud della Siria, dove dislocare truppe giordane a carattere difensivo.
Il progetto non è mai stato abbandonato per tre ordini di ragioni:
- garantire l’integrità territoriale del regno hascemita, alleato dell’Occidente fedele ma debole;
- premunirsi dall’eventuale collasso delle istituzioni statali in Siria e in Iraq;
- assicurare a Giordania e Israele il controllo del sud della Siria, minacciate dal rafforzamento delle milizie sciite anti israeliane (soprattutto Hezbollah).
I tentativi indiretti di raggiungere questi obiettivi sono stati continui. Al di là dell’intervento diretto israeliano avvenuto ogni volta che miliziani sciiti (o l’esercito siriano) sono stati sul punto di prendere il sopravvento sui ribelli, c’è da considerare la creazione del New Syrian Army e l’intervento diretto delle forze speciali inglesi.
Il New Syrian Army, nato nell’autunno del 2015, è un gruppo ribelle a Damasco creato e armato dalla CIA allo scopo di controllare i confini sudorientali della Siria, in particolare l’area di Al Tanf, dove passa il confine tra Siria e Iraq, non lontano da quello con la Giordania. Dopo un inizio facile, la milizia è stata praticamente azzerata da un attacco suicida dell’ISIS (maggio 2016). Il posto di confine, situato in un’area ostile e desertica, è strategicamente essenziale per alimentare la ribellione ad Assad attraverso rifornimenti che arrivano dall’Arabia Saudita tramite la provincia irachena di Al Anbar; è fondamentale sia per lo Stato Islamico che per le altre fazioni jihadiste ribelli a Damasco. Nell’agosto del 2016 il Guardian e la BBC segnalavano la presenza di forze d’assalto britanniche a ridosso di Al Tanf, in pieno territorio siriano (leggi articolo).
Ad aprile 2017 (pochi giorni fa, nda) le difficoltà militari del Califfato hanno dato un ulteriore scossone agli equilibri sul campo, riportando in auge l’importanza dei confini sud e l’obiettivo mai abbandonato anglo-americano (e israeliano) di occupare parte della Siria meridionale.
La ritirata dei miliziani dell’ISIS verso est nel Governatorato di Deir Ezzor sta aprendo la strada ad alcune fazioni ribelli, parte della galassia del Free Syrian Army. Fonti indipendenti arabe parlano dell’occupazione di Al Bukamal, cittadina sull’Eufrate al confine fra Siria e Iraq. In sostanza è in corso una sostituzione di miliziani che combattono i governativi nelle regioni del sud: lungo la linea geografica che va da Dar’a alla frontiera irachena, i ribelli jihadisti stanno prendendo il posto dell’ISIS.
Le voci di concentrazione di truppe e materiali USA in Giordania intanto continuano.
Mentre la 3a Divisione Corazzata giordana “Re Abdullah” con le sue unità carri e artiglieria manovra a nord di Amman, la base aerea di Mafraq (30 km dal confine siriano e 50 da Dar’a) è un via vai di mezzi USA. Stessa attività viene segnalata nell’unico porto giordano di Aqaba. Ufficialmente si parla di meno di 2000 soldati USA presenti sul territorio giordano. Fonti d’intelligence iraniane, arrivano a contarne più di 10.000 che si andrebbero a sommare alle 6000 unità già presenti in Siria sul fronte di Raqqa.
Le voci che ci si prepari ad entrare in pianta stabile in Siria dal nord della Giordania si moltiplicano. Al crollo dell’ISIS in Iraq e Siria non dovrà seguire il rafforzamento di Assad e dei gruppi sciiti che lo sostengono al di qua e al di là del confine: in Occidente pare sia questa la priorità.
Mentre la coalizione a guida USA preme su Raqqa, si vuole impedire che l’esercito di Damasco prenda il sopravvento nell’area di Deir Ezzor. Un progetto per il futuro smembramento della Siria con un cuscinetto turco a nord e una buffer zone giordano-americana (e israeliana) a sud, sembra servito.
(foto: القوّات البرية الاردنيّة - IAF)