Considerazioni agrodolci sul 24 Maggio

24/05/17

Il giro di boa del centenario c’è stato ormai due anni or sono, pertanto è possibile un esame più sereno e scevro da approcci patriottardi alla data fatidica del 24 Maggio 1915.

Una giornata certamente strana in cui poco ci sarebbe da ricordare, figurarsi da celebrare eppure l’Italia è nazione assai strana, sempre pronta a procedere contromano lungo il percorso tortuoso della storia.

Partiamo allora dal principio, si fa certamente fatica a trovare uno Stato in cui venga in qualche modo ricordato un esordio bellico, troppo presto, l’alea troppo elevata, la sconfitta sempre possibile, certo si potrà obiettare che la guerra fu vittoriosa e con il senno del poi ogni data è buona per ricordare gli eventi gloriosi, resta il fatto che l’Italia entrò nel conflitto con un anno di ritardo, cambiando in corsa le proprie alleanze e comunque a seguito di neutralismo attendista, come ben ricordato da una cartolina dell’epoca in cui il re “sciaboletta" stava a guardare chi fossero i più forti nel tiro alla fune metafora del conflitto.

Tutti fatti che forse sarebbe stato meglio seppellire nelle brume della memoria invece di rimarcarle bellamente con la retorica del Maggio radioso, che peraltro molta sfortuna portò quando l’Italia in camicia nera tentò di riproporlo nel settembre del 1940.

Superando l’elemento irrazionale e tutto mediterraneo della sfiga si proverà ad entrare nei meandri della politica estera italiana dell’epoca e delle scelte progressivamente sempre più inclini al conflitto di una classe dirigente mai in grado, negli ultimi 150 anni, di smentire se stessa.

Durante il neutralismo attendista, l’arresto dell’offensiva tedesca sulla Marna fece ricredere il governo Salandra circa l’invincibilità tedesca, Pollio peraltro era morto ed il suo successore, il Generalissimo Cadorna, con il suo “libretto rosso delle giovani marmotte” spingeva per affrontare il conflitto con napoleonica baldanza, probabilmente senza ricordare che fine avesse fatto napoleone a Waterloo cento anni prima, a ciò va aggiunto un consociativismo ante litteram che vide uniti assieme sindacalisti e liberali, socialisti e nazionalisti tutti a chiedere l’intervento in nome di una Italia che nel conflitto avrebbe potuto salvaguardare la propria statura internazionale, certo con un Sovrano e Capo dello Stato come Vittorio Emanuele III forse la statura sarebbe stato meglio lasciarla da parte e poi in Europa non pochi, primo tra tutti lo Zar, avevano vivissimo il ricordo dell’avventura di Crimea, a proposito di politiche internazionali ambigue.

La guerra però è cosa troppo seria e nel 1914 fu il Kaiser stesso a garantire per l’alleato italiano che, a guerra vinta si badi bene, le ragioni di Roma avrebbero trovato ampio riscontro, peraltro sarebbe stato sufficiente che l’Italia rimanesse neutrale; diciamoci la verità i tedeschi non è che si fidassero molto dell’ex nemico ora alleato e probabile futuro nemico, ma anche questo non bastò per far desistere Orlando e Salandra dai propri propositi, fu così che a fine aprile del 1915 venne firmato in gran segreto il patto di Londra.

I cinici inglesi compresero che agli italiani occorreva, per usare una formula dialettale tutta borbonica, far buttare il sangue, per garantire che rimanessero fedeli, pertanto non solo non bastò l’alleanza e l’impegno nella partecipazione attiva al conflitto, ma fino al fatidico 24 Maggio restò ben visibile la spada di Damocle del blocco navale, poiché, come si riteneva a Londra, senza farne palese menzione, l’Italia aveva tutte le carte in regola per venire meno agli accordi, in tal caso grano, carbone e tutto quanto proveniva dai traffici marittimi sarebbe venuto conseguentemente meno grazie all’azione poderosa della marina di Sua Maestà britannica.

Arrivò così il 24 Maggio con la Domenica del Corriere ad immortalare la famiglia reale sventolare il Tricolore sul balcone del Quirinale, mentre il primo colpo verrà sparato da una pattuglia di finanzieri lungo la linea dell’Isonzo, nei pressi di Monfalcone non ancora italiana, una mobilitazione difficile e macchinosa, le truppe poco addestrate, una linea del fronte dall’Adamello all’Adriatico che al solo guardarla dava l’impressione di essere una linea di difesa ed invece sarebbe dovuta essere la linea di partenza per un grosso balzo offensivo, tutto molto molto complicato; si potrà ancora obiettare che si sta utilizzando il senno del poi e che comunque alla fine la guerra fu vinta, tutto vero, ma resta il dubbio che il 24 Maggio, in fondo in fondo, si celebri, come forse l’intero Primo conflitto mondiale, sull’onda emotiva delle strofe di E.A. Mario, un impiegato delle poste che certamente più del Governo e dello Stato Maggiore è riuscito a fissare nella storia gli eventi della storia patria, tuttavia se ciò fosse vero resta un amaro quesito: perché in Italia tutto deve assumere la dimensione della canzonetta?

Lettera a firma: L’homme qui va