Gli ultimi dispacci parlano di una controffensiva ISIS nella sacca di Hama, dove i miliziani del Califfato ormai circondati, utilizzano anche donne e bambini per attacchi suicidi contro le forze siriane. Gli scontri più duri riguardano la città di Uqayrbat, ultima roccaforte islamista nella Siria centrale destinata a cadere nelle prossime ore.
Il fronte decisivo rimane però l’area di Deir Ezzor, con i siriani a meno di 50 km dall’Eufrate e dal tanto agognato capoluogo assediato dalle orde dello Stato Islamico. Tra la città di Al Sukhna e Deir Ezzor continuano ad ammassarsi truppe in vista di quella che si prevede essere la battaglia decisiva per gli esiti della guerra: con gli iracheni che continuano a liberare le aree a ovest di Mosul a ridosso della frontiera siriana, il governatorato di Deir Ezzor è di fatto l’ultimo lembo di territorio organizzato e strutturato a suo tempo autodefinitosi Stato Islamico.
Man mano che Damasco chiude i fronti nella parte centrale del Paese, truppe fresche e paramilitari vengono inviati verso est, lasciando ai reparti territoriali (soprattutto le Forze di Difesa Nazionale) la ”pulizia” e la messa in sicurezza delle aree liberate. Com’è facile prevedere non c’è da aspettarsi troppa clemenza nella neutralizzazione delle ultime sacche islamiste. Ad accrescere il livello di violenza c’è la resistenza incredibilmente tenace delle milizie del Califfato e la rabbia profondamente radicata nella popolazione per sei anni di indicibili atrocità.
Riguardo questo tema va espressamente citato il ruolo delle milizie locali che affiancano i reparti regolari siriani. Lo Stato Maggiore di Damasco affida ai clan tribali localizzati a est una parte considerevole dello sforzo bellico, sfruttando la conoscenza del territorio e soprattutto il desiderio di riscatto delle popolazioni indigene. Va citata la comunità degli Shaitat, che nell’estate del 2014 subirono uno dei più grandi massacri del conflitto, passato sotto traccia dai media occidentali: tra 700 e 900 civili furono decapitati o crocifissi dai terroristi. Fonti locali annunciano che quando arriverà il momento, la vendetta degli Shaitat contro i miliziani ISIS sarà terribile.
La violenza e le atrocità commesse nel conflitto siriano sono già parte dei conteggi del dopoguerra, per certi versi già iniziato. Per ora la comunità internazionale si è mossa soprattutto per individuare responsabilità lealiste. È curioso notare ad esempio come l’Unione Europea abbia preso per il momento solo provvedimenti legali contro generali siriani per presunte violenze commesse all’inizio della guerra. Con la resa dei conti prevedibile nei prossimi mesi contro i miliziani ISIS, non c’è da escludere ulteriori passi contro Damasco.
Intanto la guerra continua.
Nella sopracitata offensiva verso Deir Ezzor, un ruolo decisivo lo svolgono le forze aeree russe, arrivate a circa 30.000 missioni per 90.000 attacchi contro obiettivi dello Stato Islamico in due anni di guerra. In queste ore gli aerei di Mosca continuano ad accanirsi soprattutto contro infrastrutture e convogli di rifornimenti del Califfato, facendo tabula rasa in vista dell’arrivo delle forze di terra siriane.
In sole 48 ore i Sukhoi 34 e 35 impegnati sul fronte orientale avrebbero distrutto 20 autocisterne cariche di petrolio, vitale per la sopravvivenza del Califfato. La battaglia è però ancora lunga, essenzialmente per i canali di rifornimento che da sud (governatorato di Anbar in Iraq e frontiera giordana) continuano ad arrivare allo Stato Islamico. Proprio dalla fetta di frontiera siro-giordana non ancora controllata dai lealisti (la ben nota area di Al Tanf), si parla di fruttifera vendita di armi al Califfato da parte dei miliziani legati alla galassia Free Syrian Army. La notizia non sorprende, ma conferma che il futuro della Siria e gli equilibri geopolitici che ne scaturiranno, continuano ad interessare a molti.
(foto: SAA)