Consentendo alle truppe russe di invadere l’Ucraina dall’interno della Bielorussia nel febbraio 2022, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha legato il suo destino a quello della Russia. Ciò significa che, quando le fortune della Russia diminuiranno, anche la fine di Lukashenko si avvicinerà.
Da quando è diventato presidente della Bielorussia nel 1994, poco dopo la sua indipendenza dall’Unione Sovietica, Lukashenko ha costantemente rafforzato la sua presa sul potere. Di conseguenza, ha avuto un rapporto teso con l’Occidente. Dal 1997, la Bielorussia è stata soggetta a varie sanzioni dell’Unione Europea in risposta a ricorrenti violazioni dei diritti umani, elezioni fraudolente e repressione politica.
Dopo la prima invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2014, Lukashenko non ha perso tempo e si è proposto come mediatore tra Russia, Ucraina e Occidente. Ha promosso la sua nazione come l'equivalente della Svizzera in Europa orientale, posizionando il suo governo come un'entità neutrale nelle controversie regionali.
Di conseguenza, questa presa di posizione ha portato ad un disgelo nelle relazioni, favorendo l’obiettivo di mantenere un equilibrio tra Russia e Occidente. Il rilascio dei rimanenti detenuti politici nel 2016 da parte di Lukashenko ha portato l’Unione Europea a rimuovere la maggior parte delle sanzioni precedentemente imposte.
Il presidente bielorusso è stato attento ad aggirare in punta di piedi l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, rifiutandosi di esprimere un giudizio sulla legalità dell’occupazione della Crimea da parte della Russia nel 2014.
In seguito all'annessione illegale della Crimea, Lukashenko si è anche detto contrario all'utilizzo, da parte della Russia, della Bielorussia come trampolino di lancio per invadere l'Ucraina. Sembrava riluttante a permettere alla Russia di ottenere un punto d’appoggio militare all’interno del suo Paese.
In forza di questa posizione, Minsk è diventata il luogo chiave per ampi negoziati in seguito all’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia nel 2014, che ha portato per l'appunto ai cosiddetti "accordi di Minsk".
Nel 2014 Lukashenko ha pronunciato il suo primo discorso in lingua bielorussa dalla metà degli anni '90. La posizione del governo sull'uso dei simboli nazionali si è ammorbidita, favorendo una rinascita dell'identità bielorussa. Questo cambiamento nelle strategie ideologiche e culturali dello Stato è stato definito dagli studiosi bielorussi “soft-bielorusianizzazione". Ha comportato la riabilitazione e l’approvazione di simboli bielorussi e di narrazioni storiche precedentemente soppresse. L'obiettivo era rafforzare le politiche di Lukashenko volte a mantenere un certo livello di autonomia dalla Russia attraverso il rafforzamento dell'identità bielorussa.
Per molti anni, Lukashenko si è abilmente mantenuto in equilibrio tra l’apertura verso l'Occidente e gli accordi con il Cremlino, i cui sussidi sono risultati indispensabili per sostenere l’economia bielorussa.
Tutto è cambiato per la Bielorussia in seguito alle elezioni fraudolente del 2020 e alla spietata repressione delle proteste democratiche. La Bielorussia si è trovata sempre più isolata sulla scena globale, diventando la Corea del Nord d’Europa. È diventata sempre più dipendente dalle ancore di salvezza - economiche e di sicurezza - lanciate dalla Russia. Lukashenko, nel tentativo disperato di salvarsi dalla disfatta, ha dovuto abbracciare pienamente la Russia.
Vladimir Putin ha persino istituito un'unità esclusiva di polizia russa designata ad assistere Lukashenko, laddove necessario.
Inoltre, in risposta allo sciopero del personale giornalistico bielorusso, la Russia ha schierato giornalisti finanziati dal Cremlino per ricoprire le loro posizioni e mantenere un flusso costante di propaganda mentre il popolo bielorusso tentava di rimuovere “l’ultimo dittatore d’Europa”. La Russia ha anche concesso un prestito di 1,5 miliardi di dollari alla Bielorussia.
La repressione ha avuto successo. Il presidente bielorusso per il momento si è salvato.
La Bielorussia si è opposta a lungo all'integrazione nella Russia sotto lo Stato dell'Unione. Negli ultimi anni, quel progetto sta però cominciando a prendere nuovamente forma, così come voleva Putin. La Bielorussia ha sempre più subordinato i propri interessi economici a lungo termine a quelli della Russia.
Ora la Russia lancia missili contro l’Ucraina dal territorio bielorusso. Verso la fine del 2021 e l’inizio del 2022, la Bielorussia ha permesso alle truppe russe di iniziare il loro attacco a Kyiv dal territorio bielorusso. Ciò ha consentito alla Russia di tentare di raggiungere rapidamente Kyiv da nord, per cercare di circondare la capitale ucraina e garantire una rapida resa del presidente Zelenskyy. Ma ciò non è accaduto: le forze russe hanno perso la battaglia di Kyiv e si sono dovute ritirare.
Al momento, Lukashenko ha il sostegno di circa il 20-30% della sua popolazione, in seguito alla brutale repressione delle proteste democratiche nel 2020. La Russia può, e finché servirà gli interessi russi, continuerà a sostenere il dittatore bielorusso. Ma ciò non significa necessariamente che Lukashenko continuerà a restare al potere a lungo.
La Russia potrebbe decidere di completare l’acquisizione della Bielorussia trasformandola in uno Stato dell’Unione come previsto in precedenza. Secondo quanto riferito, la Russia ha anche dispiegato armi nucleari tattiche all’interno della Bielorussia, intrecciando ulteriormente i destini delle due nazioni.
Nel febbraio 2023 è trapelato un documento del Cremlino che delineava la strategia di annessione della Bielorussia alla Russia entro il 2030. Non sorprende che Putin non ritenga necessario che Lukashenko rimanga al potere indefinitamente. Potrebbe spingere per insediare un governo più leale in qualsiasi momento nel prossimo futuro.
Se le cose diventassero insostenibili per la Russia sul campo di battaglia, la Russia potrebbe fare pressione affinché la Bielorussia si unisca alla guerra come ultimo atto di disperazione. Se Lukashenko schierasse le truppe, potrebbe indurre la società civile a insorgere e tentare di rovesciarlo nuovamente mentre le sue forze vengono inviate all’estero a combattere.
A questo punto Lukashenko si trova messo alle strette anche dal suo principale alleato a Mosca. Nel settembre 2023, i parlamentari dell’UE hanno chiesto alla Corte penale internazionale di incriminare e arrestare Lukashenko per aver consentito “l’ingiustificata guerra di aggressione della Russia”. Di conseguenza, Lukashenko è direttamente responsabile della distruzione e dei danni causati all’Ucraina dalla guerra russa.
Un segno dei tempi si è manifestato quando Lukashenko ha promosso l’idea di continuare a rafforzare la cooperazione con Russia e Corea del Nord. È più isolato che mai e incapace di raggiungere l’equilibrio che gli ha permesso di sfruttare gli impegni sia con l’Europa che con la Russia.
Nel caso di una decisiva sconfitta russa in Ucraina, con conseguente indebolimento politico di Putin, Lukashenko potrebbe ritrovarsi senza un potente alleato, rendendolo suscettibile al malcontento della sua popolazione e alle conseguenti proteste. Al contrario, se la Russia emergesse vittoriosa in Ucraina, ciò potrebbe accelerare l’integrazione della Bielorussia nello Stato dell’Unione, ed è improbabile che la presenza militare russa in Bielorussia finisca.
La migliore strategia di Lukashenko sembra essere quella di sperare in una situazione di stallo, che potrebbe far guadagnare più tempo al suo regime. Tuttavia, le prospettive appaiono fosche per Lukashenko. Sembra inevitabile che una rivolta interna metterà in discussione il suo governo o che la Russia affermerà un controllo diretto sulla Bielorussia.
In ogni caso, il regime di Lukashenko si trova ad affrontare una crisi imminente, indipendentemente dalla traiettoria della guerra. Sembra inevitabile che, a tempo debito, andrà incontro alla sua rovina.