Il dibattito che ha accompagnato le celebrazioni del 75^ anniversario della NATO, e soprattutto le polemiche successive, tutte centrate sui (necessari e dovuti) contributi alla difesa comune contrapposti ai limiti di spesa nazionali, hanno fatto perdere di vista l’essenza dei problemi, il futuro che vorremmo.
Ci siamo dimenticati quanto è costato e chi ha pagato veramente il relativo benessere attuale dell’Occidente ed in particolare dell’Europa, quell’Europa che comprende(va) gli sconfitti, gli ex “nemici”.
L'Occidente è radicato nella democrazia, nelle libere elezioni, nella libertà dei media, nello Stato di diritto, nell'indipendenza della magistratura e nella responsabilità, e quindi nello “stato sociale”, seppur con diverse interpretazioni secondo la latitudine e la cultura...
Si tratta di una prospettiva e di un sistema che sono contrari all'autoritarismo.
Se non fosse attraente come sistema come si spiegherebbero le pressioni delle ondate migratorie? Come si spiegherebbero, nel particolare, l’origine e la moltiplicazione in tutto il mondo delle proteste e per i diritti umani e civili?
Diritti che sono universali, non sono intrugli occidentali come sostengono gli avversari, si tratta di quanto deve essere difeso, con costanza e con fiducia.
Difendere ciò che l'Occidente e l'Europa rappresentano è collegato a non solo quanto sta accadendo negli Stati Uniti, ma soprattutto a quanto sta accadendo agli Stati Uniti.
Difendere ciò che l'Occidente e l'Europa rappresentano significa anche identificazione e condivisone di valori, identificazione e coerenza nelle alleanze, identificazione completa e non di comodo, opportunistica a fasi alterne, o su segmenti di interesse.
La leadership degli Stati Uniti è messa in discussione dalla Cina, soprattutto in Medio Oriente, soprattutto quando ci si rende conto che la guerra di Hamas contro Israele non si limita a Gaza, è una guerra per procura collegata ad un asse che parte dall’Ucraina.
In questo quadro dov’è l’Europa, che pur ha e vive una guerra alle porte?
L'Europa è pronta per una nuova era transatlantica?
Non sono certo un estimatore e sostenitore di Biden (e meno di Trump, e da questo un profondo dilemma...) ma l'uscita di Joe Biden dalla corsa presidenziale, e la forma in cui è avvenuta (da cupola di interessi) crea incertezze dul futuro dei legami tra Stati Uniti e UE.
Ci sarà ancora una piena identificazione di radici, di valori, di interessi tra le due sponde dell’Atlantico?
Biden è stato nel 2017 insostenibile come candidato presidenziale, quale espressione di un artifizio di una “cupola di potere”, spendibile e mandato allo sbaraglio in una contesa dagli esiti incerti, è poi stato sintomo di debolezza durante tutto il suo mandato, per diventare infine motivo di imbarazzo, politico e di credibilità, ragioni per le quali - quando si è ritirato dalla corsa presidenziale degli Stati Uniti - c'è stato un sollievo palpabile, non solo negli USA ma anche nella maggior parte delle capitali europee.
Ci si è però dimenticati che Biden è l'ultimo presidente degli Stati Uniti di matrice atlantista: la sua carriera, la sua esperienza in politica estera e la sua età lo hanno reso un atlantista che credeva nei legami duraturi tra gli Stati Uniti e l'Europa.
Una generazione più giovane non ha quella memoria istituzionale o quel legame con l'Europa, basti pensare non solo alle dichiarazioni della nuova icona artificiale, la Harris, ma – andando poco più indietro, alle esperienze e frequentazioni dello stesso Trump e del suo seguito ...
Gli impegni atlantici – esemplificabili dopo il 1945 nelle istituzioni multilaterali guidate dagli Stati Uniti come la NATO, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le Nazioni Unite e tutti i suoi organismi sussidiari – sono in cattive condizioni: le epoche post-1945 e post-Guerra Fredda in cui l'Occidente credeva ingenuamente di poter prevalere in perpetuo si sono rivelate un’illusione e se non sono già finite stanno finendo.
Il sollievo dell'Europa per l'abbandono di Biden dalla corsa è fuori luogo: l'esito delle elezioni statunitensi rimane incerto in un panorama, interno ed internazionale, poco chiaro.
E ancora una volta, indipendentemente dall'esito, gli europei sono impreparati per i cambiamenti tettonici che avranno luogo negli Stati Uniti.
Questa dovrebbe essere l'occasione per l'Europa, quella stessa Europa che avrebbe dovuto essere pronta a farsi carico della propria sicurezza e dopo 25 anni di assestamento (una generazione !!!) dovrebbe saper trattare (alla pari) con gli alleati atlantici.
Con il calo del sostegno a Biden, a cominciare dall'interno del suo stesso partito ed evidenza di debolezze e fratture nello stesso, i commentatori e i leader di tutta Europa sono sempre più in ansia per il potenziale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ma dovrebbero esserlo anche per l’eventuale ascesa della Harris.
In ambedue i casi dovrebbero ricordare le caratteristiche delle precedenti presidenze, con Obama orientato al “pivot to Asia”, senza sconti e senza accordi con la UE, e con Trump che tra il 2017 e il 2021 non faceva sconti ma non chiudeva alla U.E (“solo” chiedeva, in primo luogo chiarezza e poi impegni certi).
Cosa ha fatto Trump, e cosa si teme che torni a fare:
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ha attaccato l'Europa (in particolare e con qualche ragione la Germania, per le ambiguità della Merkel, filorusse e filocinesi);
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ha attaccato la NATO (per cosa? per efficienza? per una valutazione costi/benefici tipica di un impresario?);
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ha criticato duramente il soft power dell'UE e i suoi valori (preferendo di gran lunga i leader che difendono i principi conservatori, che sono contrari all'immigrazione, che difendono la sovranità nazionale: l'ungherese Viktor Orbán era, ed è, uno dei suoi grandi fan).
I leader europei hanno ricevuto in tal modo molti avvertimenti sullo squilibrio nelle relazioni transatlantiche.
Trump non è stato l’origine del distanziamento (occorre riflettere, e molto, su Obama/Hillary Clinton...) ma solamente ha amplificato ciò che le precedenti amministrazioni avevano detto all'Europa:
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Deve smettere di dare per scontato l'ombrello della sicurezza americana.
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Deve spendere di più per la difesa e prendere sul serio la propria sicurezza.
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Deve smettere di fare il free-riding sul suo alleato transatlantico.
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Deve far corrispondere la sua forza economica all'ambizione politica.
I leader europei, forse nella falsa percezione di una pace raggiunta e di un possibile equilibrio giocato su due o tre fronti, non hanno valutato nè la situazione strategica a lungo termine né la necessità di schieramenti, a partire da chiare definizioni: solo il presidente francese Emmanuel Macron (anche in questo caso un mio dilemma di simpatia ed affinità ...) ha capito quei messaggi; più e più volte, a costo di rimanere isolato ed essere ancora più impopolare ed arrogante di quanto lo sia di natura, ha detto agli europei di essere preparati per il "Day After", e magari l’ha detto nelle forme e nei momenti sbagliati, con la stessa veemenza ed arroganza che gli europei addebitano a Trump.
Macron, purtroppo ondivago e condizionato dalla sua debolezza intrinseca, non è stato apocalittico. Nei suoi discorsi e interviste, ha sempre messo in guardia sulla vulnerabilità dell'Europa in termini di valori, democrazia ed Europa come idea.
Il suo messaggio implicito è che l'Europa doveva difendersi dalle minacce interne ed esterne e dai partiti politici che cercavano di sfidare l'architettura essenziale dell'UE.
Nessun altro leader europeo è stato così schietto e lucido riguardo alle debolezze dell'Europa, quale entità eterea incamminata come sonnambula verso la crisi, piuttosto che proteggere ciò che la stessa Europa – come parte dell'Occidente – rappresenta.
Anche questo deve permetterci una lettura diversa degli avvenimenti: non solo gli azzardi, i traumi e problemi interni di Macron, la negativa eredità della Merkel che tarpa ali e credibilità ai tedeschi, ma lo stesso ritiro di Biden dalla corsa presidenziale racchiudono ed evidenziano la vulnerabilità dell'Europa.
Guerra ucraina (con grandi responsabilità europee, soprattutto tedesche) e conflitto ormai diffuso ed oserei endemico del Mar Rosso sono la cartina di tornasole della stabilità e credibilità occidentali.
In Medio Oriente, lasciando per un momento da parte l’Iran, scheggia impazzita ma utile strumento sia per la Cina che per la Russia, non è messa in discussione la leadership degli Stati Uniti, ma è messa in discussione (soprattutto dalla Cina) la credibilità e la fragilità di tutto l’Occidente, in particolare di quella linea di frattura che è l’Europa divisa, quasi su tutto.
Il presidente della Commissione europea - Ursula von der Leyen, con troppe ombre alle spalle (sia per l’Europa che per gli USA) - vuole che l'UE abbia un capo della difesa e una politica di spesa collettiva per la difesa: a sostegno di tale necessità porta la guerra della Russia contro l'Ucraina, ma non tutti gli Stati membri ne sono convinti.
Alcuni Stati membri vogliono un'unione che elimini l'unanimità e i diritti di veto sulle questioni di politica estera. Vogliono un'Europa più integrata invece di un'U.E. “legata” agli Stati membri ed alla “piccola” politica interna degli stessi.
Essenzialmente, si parla e si tratta della stessa sopravvivenza, se non rifondazione dell’Europa: i ventisette Stati membri dell'UE non sono d'accordo sulla gestione dell'Unione, proprio quando avrebbe senso una maggiore integrazione politica ed economica.
Diversi governi vogliono riconquistare più sovranità, ipotizzando un "dopodomani" a scapito della possibilità/necessità, in emergenza conclamata, di rendere l'Europa più capace e pronta.
La difesa rimane pertanto una questione nazionale e sovrana, la sua evoluzione impone tempi lunghi incompatibili con le necessità, con il risultato di una debolezza intrinseca e solo la NATO può offrire soluzioni nel quadro attuale.
I problemi e le minacce, con rischi enormi di tenuta collettiva, sono di oggi, non di domani o dopodomani e lo dimostra il percorso con “distinguo” dei paesi occidentali nei confronti delle guerre in corso.
La sovrapposizione dei conflitti e l’acuirsi del Medio Oriente dove l’impegno dei paesi occidentali è diretto, anche se variegato, ha favorito la Russia e messo in difficoltà l’Ucraina, con dubbi sul supporto incondizionato di cui ha sinora goduto.
La politica dei “distinguo” vale per l’Ucraina ma è massima nei confronti di Israele, dimenticando troppo spesso – addirittura negli USA, tanto da farci dubitare sui candidati – che Israele è un paese occidentale, un avamposto unico, isolato in un’area tanto critica quanto fondamentale non solo per lo sviluppo ma per la stessa sopravvivenza dell’Occidente ed in primo luogo dell’Europa.
La guerra di Hamas contro Israele non si limita a Gaza, ed in fondo non è di Hamas.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu considera e segnala da tempo l'Iran come la più grande minaccia per il suo paese: la sua decisione di bombardare nello Yemen obiettivi Houthi sostenuti dall'Iran non è una forzatura, è un segnale di implicazioni regionali più ampie della guerra a Gaza.
Contenere il conflitto richiederà la leadership degli Stati Uniti e di alcuni paesi arabi, in un nuovo quadro di equilibri e rapporti di potere, senza contare sull'UE, ridotta a rango di spettatore nella regione.
In un momento praticamente di vuoto al vertice, i dipartimenti di Stato e della Difesa degli Stati Uniti si trovano a dover mediare anche se il paese è completamente occupato e preoccupato per le questioni interne.
Quegli impegni sugli strumenti creati nel primo dopo guerra come istituzioni multilaterali guidate dagli USA, già citati (NATO, BM,FMI, ecc.) hanno perso smalto, prestigio e credibilità: anche su questo l’Europa non è preparata: né i paesi europei, né la U.E. né gli Stati Uniti si sono impegnati ad adeguare queste istituzioni; è la Cina, sostenuta dalla Russia, che sta cercando di rimodellarli, sostituirli o distruggerli.
È difficile capire se e come l'Europa possa rispondere, per quanto riguarda gli Stati Uniti non solo non si possono dare risposte immediate, per la focalizzazione su un fosco 5 novembre, ma non sembra che la materia sia priorità nei (vaghi) programmi dei candidati: l’ordine mondiale non sembra rientrare nella mentalità e nella tradizione degli stessi.
L'Europa avrebbe la possibilità di farsi avanti, in un quadro di una nuova intesa (e nuova intesa con concreti apporti reciproci, anche in termini di difesa e di coerenza) ma - purtroppo - con l'eccezione di un presidente Macron indebolito, i leader in Europa, in particolare in Germania, non hanno il coraggio di spiegare e fare ciò che è necessario.
Non si parla di coesione, non si parla di ricostruire – aggiornata – quella matrice che aveva portato alla rinascita postbellica (coesione e matrice che avevano reso possibile la vittoria nei momenti più gravi del conflitto), non si parla di investimenti per la libertà e per la possibilità di sviluppo, ci si limita polemizzare sui costi e le spese per la difesa quando in gioco c’è il futuro, ci si arrocca su rapporti sterili pensando ad uno “Zio Sam” che ha già passato la mano ad una nuova generazione di politici, che non capiamo e non facciamo nulla per capirli, per creare una nuova coesione transatlantica creata su affinità e (perché no?) nuovamente valori comuni, compreso il decisionismo e la ragion di stato (e su questo, anche se a malincuore, devo riconoscere che Macron aveva ed ha ragione).
Difendere ciò che l'Occidente e l'Europa rappresentano significa anche identificazione e condivisone di valori, identificazione e coerenza nelle alleanze, identificazione completa e non di comodo, ricerca di affinità tra le nuove generazioni politiche delle due sponde atlantiche: per rispondere alle domande (i ...”deve”...) espresse veementemente ma anche sinceramente da Trump ma già latenti negli indirizzi delle precedenti amministrazioni, Obama in particolare, occorre certamente riconsiderare e collegare l’attuale frammentazione delle alleanze che hanno al centro gli USA.
La comunanza dei valori, le priorità globali, che riguardano l’Indopacifico quanto il Mediterraneo e il Medio Oriente devono ritrovarsi nella NATO ma diventare base comune con la U.E., anche nel delicato e doloroso tasto dei contributi, con un maggior investimento (e non spesa) della stessa, quale parte attiva e non passiva dell'ombrello per una sicurezza collettiva, in un’alleanza senza sudditanze né elargizioni.
Foto: Élysée