Quanta paura fa Kursk nei palazzi romani?

(di Antonio Li Gobbi)
14/08/24

Nel caldo torrido di questa estate lasciano perplessi alcune reazioni della politica e di parte della stampa in relazione alla puntata offensiva ucraina nell’Oblast di Kursk. Puntata offensiva, certo dagli esiti operativi incerti, che però, secondo chi scrive, dovrebbe ricevere un ben più caloroso supporto da parte di esponenti di spicco di un governo che non ha mai lesinato le sue dichiarazioni di sostegno “senza se e senza ma” a Kiev.

L’azione ucraina

Senza voler né esaltare (come fanno alcuni organi di stampa) né dileggiare (come fanno altri) l’azione ucraina, penso che occorra fare almeno alcune rapide considerazioni terra terra. Certamente, non si tratterà di un “game changer” che possa radicalmente modificare l’andamento generale delle operazioni sul terreno. Andamento delle operazioni che il Donbass vede da mesi una molto lenta ma comunque sistematica avanzata russa. Questa azione certo non contribuirà a colmare la grande differenza in “manpower” cui i due eserciti possono attingere per alimentare i propri sforzi e non compenserà le perdite che Kiev fatica a ripianare

È una operazione che potrebbe anche costare all’Ucraina perdite ingenti tra il suo personale più addestrato e quella di alcuni dei mezzi migliori sinora ricevuti dalle forze di terra. Ma è un’operazione che si prefigge di ottenere un grande impatto mediatico e psicologica, in Ucraina, tra i civili russi e nelle capitali dei paesi che sostengono Kiev.

Il bilancio costi/benefici probabilmente ci lascerà perplessi, ma non sarebbe la prima volta che Kiev fa scelte che comportano elevatissimi livelli di perdite nel tentativo di conseguire risultati che possono essere giudicati poco significativi dal punto di vista operativo. Kiev ce lo ha già dimostrato con l’ostinazione (o secondo alcuni la testardaggine) con cui ha impegnato forze in operazioni sanguinose e con scarse possibilità di successo (l’acciaieria di Mariupol o Bakhmut) ma di grande richiamo mediatico. Secondo i suoi numerosi detrattori, che lo chiamano ingiustamente “il macellaio di Bakhmut”, Oleksandr Syrsky, che da sei mesi ha sostituito Valery Zaluzhnyi alla guida delle forze ucraine, non esiterebbe ad accettare livelli di perdite elevate per conseguire risultati operativi importanti.

In questo caso, dopo una settimana, parrebbe che li stia ottenendo. Non mi riferisco ai circa mille chilometri quadrati che sembra siano al momento sotto controllo ucraino. Terreno che domani mattina potrebbe essere di nuovo sotto controllo russo. No. Ha ottenuto un risultato, non militare, molto più importante. Ha inferto un grave colpo alla credibilità della capacità di prevenzione e di reazione russa.

È stata già una falla non giustificabile il fatto che i russi non si siano resi conto, prima dell’inizio dell’operazione, dell’inevitabile ammassamento di unità ucraine in prossimità del confine e in zona lontana dai combattimenti. Peraltro, anche volendo giustificare la sorpresa iniziale, considerando la superiorità aerea e di fuoco e la maggior disponibilità di forze da parte russa, ci si sarebbe aspettati che una forte reazione fosse avviata entro 24 ore dall’inizio dell’incursione ucraina e che le forze, in fondo abbastanza contenute, penetrate in territorio russo venissero “neutralizzate” entro al massimo 72-96 ore. Ciò non è avvenuto neanche dopo una settimana, denotando scarsa reattività della catena di comando e, verosimilmente, mancanza di una benché minima autonomia decisionale ai singoli livelli.

Ancor più grave, per la credibilità russa, è stato dover prendere atto dell’impossibilità di una rapida soluzione del problema ed aver avviato l’evacuazione ad oggi di circa centotrentamila persone. Fatto che non può non lanciare al fronte interno russo il messaggio che, nonostante le roboanti promesse del Cremlino, dopo esattamente due anni e mezzo l’operazione militare speciale non solo non è ancora riuscita ad aver ragione di quei “quattro scalzacani nazisti e depravati” che si dovevano scacciare dall’Ucraina, ma addirittura le forze armate di Kiev sono riuscite, sia pure a caro prezzo e sia pure solo per una settimana, eccetera eccetera, a “violare l’integrità territoriale” del sacro suolo russo.

È vero, la Storia non si ripete, le culture di ogni popolo sono diverse e qualsiasi paragone con il Secondo Conflitto Mondiale non regge. Però, guardando alla nostra Storia nazionale, consideriamo le folle urlanti in Piazza Venezia il 10 giugno 1940 e poi pensiamo quale fosse invece lo stato d’animo di quelle stesse persone esattamente tre anni dopo, quando nel luglio 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia e Roma subì il pesante bombardamento di San Lorenzo. La credibilità di fronte ai propri civili di un apparato governativo che basa molto della sua propaganda interna sul patriottismo e sulla sua forza militare può essere scossa in maniera non indifferente anche da una “puntata offensiva” sul suolo patrio di una sola settimana, se la Russia non sarà in grado di ottenere rapidamente successi significativi contro gli ucraini, tali da far dimenticare l’onta subita.

In conclusione, quella ucraina è una operazione costosa, che potrebbe comportare perdite non irrilevanti, con l’acquisizione del controllo di aree russe che verosimilmente potrà essere solo temporaneo. Infatti, per gli ucraini potrebbe essere troppo oneroso mantenerne il controllo in vista di un futuro scambio di territori e per i russi lasciare agli ucraini tale controllo sarebbe un’onta che non sarebbero disposti a tollerare a costo di fare della riconquista il proprio obiettivo principale.

A livello prettamente militare, quindi, niente di risolutivo. A livello di comunicazione, invece, gli ucraini hanno inferto un grave colpo alla credibilità militare russa. Buona notizia per noi che, come ripetutamente assicurato dai nostri governi, saremo a fianco di Kiev sino alla pace (c’è chi ha dichiarato sino “alla vittoria”, ma lì siamo nel campo della fantasia pura).

Una buona notizia sia perché rappresenta un pur piccolo bilanciamento a favore del “nostro alleato”, sia perché le eventuali difficoltà interne russe possono avvicinare anziché “allontanare” (come qualcuno ipotizza) l’avvio di una mediazione che porti al cessate il fuoco e a un possibile accordo futuro. Ove, invece, si mettesse in dubbio l’assunto che solo armando e aiutando la “parte più debole” e consentendole di meglio contrastare la parte che riteniamo “più forte” si possa arrivare ad un negoziato il meno sfavorevole possibile per gli ucraini1, ci si potrebbe chiedere la ratio della politica italiana al riguardo degli ultimi 30 mesi, da “scegliete tra l’aria condizionata e la pace” sino ai più recenti invii di sistemi missilistici Storm Shadow.

La nostra posizione politica nei confronti del conflitto

Chi scrive pensa che nel 2022, tenendo conto della nostra dipendenza energetica dalla Russia e dell’influenza russa in Nord Africa forse all’Italia poteva convenire tentare di assumere una posizione più neutrale rispetto al conflitto, che ci consentisse eventualmente di proporci in veste di negoziatore tra le parti (come ha fatto la Turchia). Forse si sarebbe potuto tentare, senza danni eccessivi in relazione all’indiscussa credibilità che veniva riconosciuta a livello europeo al capo di Governo dell’epoca e, forse, UE, Francia e Germania sarebbero state moderatamente condiscendenti con tale governo.

Una volta però schieratici convintamente dalla parte dell’Ucraina e avendo abbandonato la posizione terza del mediatore, occorre essere consequenziali con le scelte sinora fatte.

Di fatto già siamo in una situazione conflittuale con la Russia, avendo adottato severe sanzioni economiche, dichiarandoci in tutti i consessi sovranazionali (NATO, UE, G7) a fianco dell’Ucraina, inviando armi e aiuti finanziari per supportare lo sforzo bellico di Kiev. Quindi, personalmente, ritengo che sì, siamo ormai in guerra contro la Russia, come lo sono USA e UE, e ove quanto sinora fatto non risultasse sufficiente il passo successivo (a meno di un poco dignitoso voltafaccia) potrebbe essere solo quello evocato dal tanto deprecato presidente Macron, ovvero, l’invio di al fronte anche di personale militare da parte dei paesi che dichiarano di sostenere Kiev (opzione che comprendo non sia piacevole dichiarare agli elettori).

L’azione di Kiev a Kursk trasforma l’Ucraina nell’”aggressore”?

A parte la stantia frase “c’è un aggredito e c’è un aggressore”, che non significa nulla perché tende a cristallizzare in un singolo evento una crisi che potrebbe avere radici più remote e tra loro intrecciate, quello che è avvenuto a Kursk è una semplice puntata offensiva in un territorio controllato dai russi. Una volta che due nazioni siano in guerra tra di loro e una abbia occupato manu militari un quinto del territorio che in origine apparteneva all’altra, parlare di inviolabilità dei confini mi pare utopico.

In guerra, il controllo del territorio viene acquisito e viene perso in relazione all’andamento delle operazioni. Che i territori che passano di mano prima del 2022 fossero ufficialmente russi o ucraini è in fondo poco significativo finché non si giunga a un cessate il fuoco. Quando si giungerà a un cessate il fuoco e a un negoziato le parti discuteranno del destino dei territori che durante il conflitto sono passati di mano e, eventualmente, si procederà a degli scambi, a delle restituzioni e a dei ritiri sulla base del principio della cessione di territori per ottenere un accordo. È sempre stato così!

In quest’ottica, territori “già russi” che al momento del cessate il fuoco siano controllati dagli ucraini sarebbero un’utile merce di scambio per ottenere indietro territori “già ucraini” controllati dai russi.

In quest’ottica i vincoli che si intendano porre all’Ucraina in merito al divieto di utilizzare in territorio russo le armi che gli inviamo, appaiono poco comprensibili da un punto di vista militare ma soprattutto non possono non essere percepiti come indicatori di una politica debole, incapace di prendere posizione chiare e di sostenere le proprie ragioni anche nei confronti della propria opposizione interna. E di questo la nostra credibilità internazionale non può non soffrirne.

L’equilibrismo è un’arte difficile, non si può improvvisare! Purtroppo, nei confronti della crisi russo-ucraina rischiamo di perdere credibilità con Kiev, UE e USA senza migliorare la nostra posizione nei confronti di Mosca (e dei suoi satelliti in Nord Africa e nel Sahel).

1 Lasciamo perdere le fiabe su “pace giusta” un qualcosa che la Storia e il pragmatismo ci dicono chiaramente che esiste solo nelle dichiarazioni dei politici

Foto: MoD Ukraine