Slogan e propaganda sull’introduzione della leva: siamo davvero pronti alla guerra?

(di Gianluca Celentano)
30/05/24

Si dice che tra le qualità o i difetti degli italiani ci sia la memoria corta, persino verso la propria storia. Forse è un metodo intelligente per esorcizzare e uscire indenni dalle tante inefficienze del Paese o dai suoi fiumi di ipocrisia. Fatto sta che, con l'avvicinarsi delle elezioni, le amministrazioni e la politica diventano più comprensive, parlano un linguaggio più vicino al sentire comune e, inoltre, si riducono le multe. Il modus operandi non si discosta molto dai simpatici artefici del gioco delle tre carte che incontriamo per strada; basta non ricordare di aver perso qualche euro e il gioco è fatto...

Dimentichiamo facilmente anche il dramma della guerra, quello raccontato con precisione dai nostri nonni. Oggi siamo nell'anticamera di un nuovo conflitto, ma basta cambiare canale e il problema è rimosso, seppur solo mediaticamente.

La sospensione della leva

Siamo ormai abituati agli slogan demagogici che la politica ci ha sempre più propinato dagli inizi del terzo millennio tramite tv e social. È quindi bene fare un passo indietro e ricordare come sono andate le cose. Il servizio di leva è stato sospeso (e non revocato) dal 1° gennaio 2005, con un anticipo di due anni durante il governo Berlusconi. Tuttavia, l'iniziativa parte dal 1999, quando fu presentata l'istanza di sospensione dal primo governo di Massimo D'Alema e dal ministro della Difesa Carlo Luigi Scognamiglio.

Tutte le forze politiche erano d'accordo, inclusa la Lega. Gli obiettivi erano soprattutto di risparmio: riduzione delle spese per la buffetteria individuale, trattamento economico (decadi, vitto, alloggio, ecc.), chiusura (e vendita...) delle caserme e riduzione dei costi di mantenimento formativo annuale di un cittadino chiamato alle armi. Tuttavia, le forze armate non se la sono passata molto meglio economicamente con la sospensione della leva, essendo obbligate a stipulare contratti esterni per i servizi di caserma e non solo, eliminando la gratuità di alcuni servizi interni.

La leva

Il servizio militare, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stato progressivamente ridotto da 24 mesi fino a 10, attestandosi dal '76 al '97 ai famosi 12 mesi per la truppa e 14 anziché 15 mesi per gli AUC (allievi ufficiali di complemento, ndr). I veri professionisti erano gli ufficiali e i sottufficiali, mentre la truppa rappresentava poco più di un comodo contorno numerico.

Oggi sei mesi di servizio militare non servirebbero a nulla, sarebbe un oneroso college intriso dai capricci delle giovani leve e rischi d’immagine per l’amministrazione. Avrebbe costi colossali, mancanza di strutture e personale altamente specializzato, ormai lontano dalle capacità di imporre sonori "cazziatoni". Inoltre, le opportunità temporanee e poco impegnative di arruolamento esistono da tempo, ad esempio i VFI, così come il servizio civile nella Protezione civile o nelle organizzazioni su base volontaria. Quindi non è stato inventato nulla di nuovo.

Scarsa motivazione

Un tema attuale e poco conosciuto è che, tra le migliaia di giovani che con una certa fatica si cerca di avvicinare ai RAV, un’aliquota inferiore raggiunge (e permane) nei reparti finali di assegnazione. Le motivazioni sono varie: trattamento economico inadeguato, una vita con troppi sacrifici e le distanze. Molti dei rinunciatari cercano comunque di ottenere specializzazioni dalle forze armate, ma al congedo optano per impieghi civili più allettanti.

L’educazione parte da casa e scuola

Il nodo cruciale è un altro: l’educazione dei figli. Ormai è troppo impegnativo educare i figli, meglio essergli "amici" e assecondarli; molte famiglie si ergono a paladini in difesa di ogni malefatta dei loro ragazzi. La cronaca è colma di notizie di atti intimidatori verso presidi e professori e comportamenti delinquenziali talvolta suggeriti dal web o da qualche rapper di successo.

Le forze armate non sono responsabili dell’educazione dei figli degli italiani. Delegare ulteriori responsabilità ai nostri militari sulle inefficienze di una società che da oltre un ventennio è stata educata a vedere lo Stato come un nemico non è compito della difesa, ma della coerenza, credibilità e concretezza di una classe politica.

Richiamo alle armi

Visto il minaccioso quadro geopolitico e i non brillanti numeri di soldati che le nostre forze armate possono mettere in campo, c’è da domandarsi come si potrà procedere eventualmente a richiamare con gradualità alle armi, i militari in congedo. Il richiamo potrebbe interessare per primi i cittadini in congedo da cinque anni, scansionando la popolazione fino al quarantacinquesimo anno di età. Ricordiamo che l’art. 52 della Costituzione sancisce che "La difesa della patria è sacro dovere di ogni cittadino".

Il governo di Kiev, per sopperire alla mancanza di soldati, ha imposto agli uomini tra i 18 e i 60 anni di circolare con una carta d’identità militare. La Russia ha previsto da subito una mobilitazione di 300 mila riservisti, numeri simili per Israele. In Italia, invece, la riserva è sempre stato un argomento tabù... siamo quindi pronti a un ipotetico conflitto?