Sembra continuare la serie di recriminazioni nazionali per la mancata assegnazione dell’incarico di rappresentante speciale del segretario generale della NATO a un italiano. Al riguardo, eravamo stati facili profeti scrivendo già all’indomani del Summit NATO di Washington: Si assisterà alla solita corsa dei politici per “piazzare” nell’incarico un italiano piuttosto che un francese o un turco, ma ci si preoccuperà anche delle competenze assegnate all’incarico? Temo di no (leggi articolo "La NATO ha 75 anni. Purtroppo non se li porta benissimo").
Purtroppo, le reazioni italiane sembrano dare l’impressione di un malinteso senso di quale debba essere il ruolo dei funzionari internazionali nell’ambito di un’organizzazione sovranazionale. Certo, questi possono e devono anche essere occhi e orecchie della propria nazione nell’ambito dell’organizzazione in cui operano, in questo caso della NATO, ma poi devono agire sulla base delle indicazioni della NATO e non di quelle della propria Capitale.
Chi scrive non ritiene che Stoltenberg sia stato un buon segretario generale dell’Alleanza e ha già denunciato come abbia spesso travalicato il proprio ruolo, ad esempio rilasciando dichiarazioni sull'Ucraina non condivise tra gli Alleati (come evidenziato anche su questa testata (leggi articolo "Stoltenberg, la NATO e le armi occidentali in Ucraina - Difesa Online")
Però, questa volta probabilmente Stoltenberg non ha travalicato il proprio ruolo. Si trattava, infatti, della nomina, come dice l’incarico stesso, di un “rappresentante speciale del segretario generale”, ovvero un funzionario che deve essere l’interprete delle indicazioni politiche del segretario generale (ripeto: non di quelle della sua nazione di provenienza).
La nomina dieci settimane prima di lasciare l’incarico potrebbe essere stata uno sgarbo nei confronti di Rutte (non l’unico sembra), ma certamente non nei confronti dell’Italia perché non era scritto da nessuna parte che tale carica dovesse per forza essere ricoperta da un italiano.
Peraltro, la successiva reazione un po’ sopra le righe italiana potrebbe far pensare che si volesse la nomina di un “rappresentante speciale” che, sotto la copertura NATO, prendesse in realtà ordini da Roma. In tal caso, non ci faremmo una bella figura.
Comunque, la nomina dello spagnolo Javier Colomina come rappresentante speciale del segretario generale per il “Southern Neighborood” può trovare una sua logica nel fatto che Colomina (alla NATO dal 2017) è attualmente il deputy assistant secretary general “Political Affairs and Security Policy” (la divisione dell'International Staff che già si occupa tra le altre cose delle relazioni con i paesi "non Nato", inclusi quelli del Mediterraneo) ed è già rappresentante speciale del segretario generale per il Caucaso e l’Asia Centrale.
Peraltro, il punto non è, secondo chi scrive, se una certa posizione venga o meno assegnata a un italiano, bensì quale sia l’attenzione dell’Alleanza a problematiche di sicurezza che per la nostra nazione sono vitali.
La NATO non è attenta al fianco Sud? È verissimo, ma non da adesso. Da quando il Mediterraneo non interessa più agli USA, i paesi del Sud Europa non sono stati capaci o non hanno veramente voluto portare l’attenzione dell’Alleanza sul problema dell’instabilità in Nord Africa e Medio Oriente.
Addirittura nel 2011 l’Italia ha acconsentito e si è supinamente accodata a una operazione NATO in Libia (Unified Protector) palesemente contraria ai propri interessi economici e di sicurezza.
In tutti questi anni la NATO non ha prestato la dovuta attenzione alla crescente instabilità del Nord Africa e del Medio Oriente (instabilità favorita anche da alcune discutibili iniziative statunitensi, quali l’abbattimento del regime, dittatoriale ma laico, di Saddam Hussein e il supporto fornito alle “primavere arabe”). Non vi è stata attenzione da parte della NATO all’instabilità in Libia né alla crescente influenza russa e cinese in Nord Africa. Né la NATO è mai intervenuta in relazione a politiche mediterranee di un suo stato membro (la Turchia) che danneggiavano costantemente e proditoriamente gli interessi di altri Alleati (Grecia e Italia). Il tanto sbandierato Hub Strategico per il Sud, costituto nel 2016, non è mai stato posto realmente in condizione di essere efficace.
Più recentemente, anche in relazione alla grave minaccia Houthi nel Mar Rosso, minaccia che dal punto di vista economico colpisce seriamente l’Italia1 più di molti altri paesi alleati, la NATO in quanto tale non è intervenuta e l’UE si limita a condurre una operazione reattiva di limitata efficacia. Al riguardo chi scrive si augurava in tempi non sospetti che l’Italia aderisse alla missione navale a guida USA “Prosperity Guardian” che è l’unica che va a colpire i punti di lancio dei terroristi (leggi articolo "Gli Houthi ci tagliano le rotte vitali: che ci pensi lo Zio Sam!") altrimenti continueremo a fornire costosissime scorte per decenni.
Cosa è stato fatto dall’Italia in tutti questi anni per forzare la NATO a guardare anche a Sud oltre che alla Russia e alla Cina? Forse troppo poco, visti i risultati.
Certo, si sarebbe potuto e forse dovuto con più energia vincolare il nostro contributo a operazioni NATO in Afghanistan o in Iraq e, oggi, il nostro sostegno alla difesa a Est a un maggior “reale” impegno della NATO in Medio Oriente e Nord Africa. Ma non lo si è fatto.
Per contro, ipotizzare eventuali “ripicche” oggi (come fanno alcuni organi di stampa) per via di un incarico, per quanto importante, non assegnatoci non ci farebbe fare bella figura.
Aver pubblicizzato la posizione di rappresentante speciale come italiana, prima ancora che venisse assegnata, sicuramente non è stata una mossa felice. I vittimisti in servizio permanente effettivo italiani dovrebbero tener conto che, come nazione, occorre valutare con lungimiranza ed in maniera complessiva le posizioni che si intendono acquisire nei consessi sovranazionali.
In ambito NATO, l’Italia esprimerà il prossimo chairman del comitato militare della NATO (l’ammiraglio Cavo Dragone). L’Italia esprime anche un assistant secretary general, carica importantissima perché il livello immediatamente subordinato al segretario generale, ma è l’ASG “Executive Management”, ovvero si occupa prioritariamente della gestione del NATO HQ. Forse poteva tornare politicamente più utile puntare a un assistant secretary general o anche a un deputy assistant secretary general in aeree come “Political Affairs and Security Policies””, ”Defence Policies and Planning”, “Intelligence and Security”, “Operations, “Defence Investment”, “Innovation Hybrid and Cyber” ,“Pubblic Diplomacy” che sono tutte aree che consentono veramente di incidere sulla politica dell'Alleanza. Ma le scelte sono scelte, avremo avuto delle buone ragioni. Abbiamo già anche una italiana come special representative del segretario generale per “Women Peace and Security”. È tutta questione delle nostre priorità nel fissare gli incarichi che vorremmo essere assegnati ad italiani e delle relative scelte..
Forse, prima di vittimizzarci, attività in cui noi italiani siamo bravissimi, dovremmo guardare al quadro complessivo e comunque ricordarci che i funzionari di una organizzazione sovranazionale devono operare con onestà gli interessi di tale organizzazione (e non solo per il proprio paese) per rispetto di tutti i paesi membri. Anche del proprio!
1 Si tenga conto che dal Mar Rosso, prima della crisi, transitava tutto l’interscambio marittimo di merci (incluse critiche componentistiche elettroniche) dell’Europa con Cina, Taiwan, Sud Corea, Giappone ed il subcontinente indiano, circa il 30% dei volumi mondiali di spedizione di container, circa 220 mila tonnellate di granaglie al giorno e, soprattutto, e circa 7 milioni di barili di greggio al giorno (greggio il cui prezzo è già in evidente ascesa). Un rifornimento indispensabile per le energivore società europee (specie dopo aver tagliato i nostri rifornimenti dalla Federazione Russa in risposta alla crisi ucraina). Per la sola Italia si calcola che il valore dell’import-export transitante annualmente attraverso il Mar Rosso superi i 150 miliardi di euro e che rappresenti circa i quattro decimi del nostro commercio marittimo, ovvero oltre 80 miliardi di euro l’anno. Per l’Italia il problema è anche più grave rispetto ad altri paesi europei. Non solo buona parte del nostro interscambio commerciale utilizzava quella rotta, ma le infrastrutture portuali italiane, soprattutto nel Nord Italia, servono da punto di arrivo e partenza di merci destinate o provenienti dal Nord Europa. Merci transitanti da Suez e dal Mar Rosso. Peraltro, se il naviglio dovesse dirottare sulla rotta del Capo di Buona Speranza sarebbe più agevole ed economico prevedere l’utilizzazione delle ben superiori capacità portuali nordeuropee (Amburgo e Rotterdam ad esempio) che di quelle italiane, con buona pace dei porti di Genova e Trieste e dei relativi indotti.
Foto: NATO