Ha fatto molto discutere in questi ultimi giorni l’invito rivolto ai paesi NATO da parte Jens Stoltenberg di rimuovere le restrizioni che finora hanno imposto all’Ucraina in merito alla possibilità di utilizzare i sistemi d’arma donatele per colpire anche obiettivi militari in territorio russo. Invito formulato tramite un’intervista rilasciata all’Economist. Modalità comunicativa che chi scrive ritiene decisamente poco ortodossa per un argomento del genere.
Subito si è parlato (a vanvera, secondo chi scrive) di bellicismo da parte dell’Alleanza e di intenzione della NATO di elevare il livello di scontro con la Russia.
Personalmente, direi invece che la frase di Stoltenberg è sintomatica dell’assoluta irrilevanza dell’Alleanza Atlantica in relazione al conflitto in Ucraina.
Altro che il tanto citato “abbaiare della NATO” cui fece riferimento Pontefice! L’Alleanza di fatto non ha un ruolo nel conflitto e le ripetute dichiarazione apparentemente belliciste del segretario generale in carica sono probabilmente indicative solo della sua personale frustrazione nel riscontrare tale ruolo marginale.
Riepiloghiamo alcuni fatti...
Ruolo della NATO nel conflitto
Al di là dell’apparente protagonismo del segretario generale, l’unico “reale” intervento della NATO in relazione alla crisi ucraina è stato, sinora, il sacrosanto rinforzo della frontiera orientale dell’Alleanza, attuato esclusivamente all’interno del territorio dei paesi membri, senza alcuno sconfinamento. Schieramento di assetti (aerei, terrestri e navali) aventi l’obiettivo di dissuadere ed eventualmente contrastare possibili sconfinamenti di forze russe/bielorusse in paesi NATO e di dimostrare la coesione militare dell’Alleanza in caso di aggressioni. Attività in piena coerenza con i compiti di “difesa e deterrenza” che sin dal 1949 hanno rappresentato il “core business” dell’Alleanza.
Tutto il resto (sanzioni economiche contro la Russia, sostegno economico all’Ucraina, cessione di sistemi d’arma e munizioni alle forze armate ucraine) è stato deciso altrove (a Washington, in ambito UE o nelle singole capitali europee). In particolare, la cessione di aerei, artiglierie, mezzi corazzati, sistemi contraerei, munizioni ecc è stata decisa di fatto dalle singole nazioni che li hanno resi disponibili. Attività che viene nominalmente coordinata a Ramstein (nell’ambito dell’Ukraine Defence Contact Group), dove 50 paesi (molti non NATO) si riuniscono, sotto direzione USA e non sotto direzione NATO, per coordinare i propri aiuti militari all’Ucraina. L’ultima riunione di tale gruppo di contatto (la 22^) si è tenuta il 20 maggio scorso, online, sotto la presidenza del ministro della difesa USA Lloyd Austin. La NATO in questo processo ha al massimo il ruolo di monitorare e possibilmente coordinare l’afflusso di quanto reso disponibile sino ai paesi confinanti con l’Ucraina. Tutto però in base a quanto deciso a monte individualmente dai singoli paesi donatori, paesi che non sono solo membri NATO.
Opportunità di una simile intervista in relazione al ruolo rivestito
A parte il ruolo sussidiario della NATO sulla materia specifica, cui si è fatto cenno, l’invito alle nazioni a fare di più per l’Ucraina formulato a mezzo stampa è stato poco opportuno anche per altri motivi. Il segretario generale non è un capo di governo nazionale né è in alcun modo paragonabile al presidente della Commissione UE. Nei confronti dei media il segretario generale della NATO è fondamentalmente solo il portavoce del Consiglio Atlantico! Testualmente, la politica in materia della NATO prevede che: “Il segretario generale è il principale portavoce dell’Alleanza, rappresenta l’Alleanza di fronte al pubblico in nome dei paesi membri, esprimendo le loro posizioni comuni sulle questioni politiche”1.
La NATO è un consesso politico, prima che militare, ove le decisioni sono assunte esclusivamente all’unanimità. Pertanto, nel rivolgersi alla stampa, in relazione ad argomenti così sensibili per alcune nazioni, soprattutto in prossimità delle elezioni europee, il segretario generale avrebbe dovuto limitarsi a riportare le posizioni condivise da tutti i 32 alleati. I commenti non proprio entusiastici formulati da diverse cancellerie europee in relazione alla sua intervista indicano che tali posizioni, invece, non erano interamente condivise (o se anche lo fossero state, si preferiva che non venissero portate a conoscenza degli elettori alla vigilia delle elezioni europee).
Intendiamoci, il segretario generale ha un compito improbo e mettere d’accordo 32 capitali, ognuna con la sua propria ed egoistica agenda domestica, è impresa quasi impossibile (anche per questo, George W Bush quando volle attaccare l’Afghanistan, prima, e l’Iraq, poi, preferì ricorrere alle ben più malleabili “coalizioni di volenterosi”).
L’uso di sistemi d’arma di paesi NATO per colpire obiettivi in Russia
Sicuramente l’invito di Stoltenberg agli Alleati a rimuovere alcuni discutibili vincoli posti all’uso dei sistemi d’arma inviati a Kiev è sensato da un punto di vista militare. Peraltro, a parere di chi scrive, il segretario generale avrebbe dovuto limitarsi a fare le sue raccomandazioni a ministri e ambasciatori dei paesi NATO, senza lasciarsi andare a dichiarazioni alla stampa non condivise dagli Alleati!
Sotto il profilo militare, ha sicuramente poco senso donare armi all’Ucraina e nel contempo vietarne l’uso contro quegli stessi territori russi da cui partono molti degli attacchi che gli ucraini quotidianamente subiscono.
Peraltro, se in ragione di paure recondite, una nazione che decide di donare delle armi a un paese che considera di fatto “alleato” (perché, se non lo si considerasse “alleato”, le armi gli verrebbero vendute e non regalate) ha certamente il diritto di vietargli di usare tali sistemi d’arma al pieno delle loro potenzialità. Ne ha il diritto, certo, ma ciò non significa che tale scelta sia logica.
Checché ne dica qualche politico (presumo con l’occhio ai sondaggi elettorali), considerando la nostra politica dichiaratamente filo-ucraina, l’adozione nei confronti della Federazione Russa di sanzioni economiche (spesso di dubbia efficacia pratica ma grande risonanza mediatica), il sequestro/congelamento di beni statali o anche di privati russi, la fornitura a titolo di assistenza militare di armamenti (anche sofisticati come il SAMP-T), si può facilmente ritenere che l’Italia, come quasi tutti i paesi UE, sia di fatto “in guerra” contro la Russia da oltre due anni.
Da un punto di vista storico potrebbe aver senso disquisire sul fatto se la posizione assunta dalla UE a guida Von der Leyen e supportata dal governo Draghi nel 2022 e poi da quello Meloni fosse davvero nel migliore interesse della UE e dell’Italia. Però, questo lo valuteranno gli storici di domani.
A questo punto, limitarsi a fornire un supporto “ingabbiato” all’Ucraina non potrà più migliorare le nostre relazioni con Mosca ma potrebbe compromettere quelle future con Kiev. A meno che non si dia per scontato l’imminente (peraltro possibile) crollo totale delle ormai esauste difese ucraine.
Tutto ciò comunque è, per l’Italia, una disquisizione abbastanza accademica. Per tranquillizzare il dibattito domestico, infatti, basterebbe ricordare che per il momento il pezzo più pregiato tra quelli inviati ufficialmente dall’Italia in Ucraina è il SAMP-T (sistema di difesa aerea prettamente difensivo) e che non risulterebbe che il nostro Paese abbia fornito sistemi missilistici a lunga gittata che potrebbero essere usati dall’esercito di Kiev per colpire all’interno del territorio russo. Quindi, per noi un falso problema, ma utile ugualmente per ammantarsi nella bandiera della pace nel corso dei accalorati comizi elettorali.
Lasciando da parte il “particolare” italiano, a livello generale, come già scritto, ogni nazione ha diritto di porre tutte le limitazioni che ritiene opportune (sensate o meno che possano apparire) agli aiuti che fornisce volontariamente ad un “semi-alleato” come potrebbe essere considerata l’Ucraina. Ricordiamoci, però, che è stato l’Occidente a trattare Kiev da “alleato” sin dall’inizio dell’invasione russa e a promettere agli ucraini aiuti militari perché resistessero all’attacco russo anche in nome di “nostri valori”, o almeno così dicevamo loro. Come ai tanti che l’Occidente a guida USA ha illuso negli ultimi 80 anni, promettendo di restare al loro fianco “sino alla vittoria” (anticastristi cubani, sud vietnamiti, afghani, iracheni, curdi, eccetera) anche agli ucraini, novelli David, l’Occidente ha promesso aiuto sino “alla sconfitta del Golia russo”. In tale contesto, se da un lato non si era tenuti a fornire aiuti militari a Kiev, dall’altro, se si concedono ha poco senso fornirli se li si vincola a restrizioni che ne rendono decisamente poco efficace l’impiego.
Stoltenberg e Macron: similitudini e differenze
Alcuni oggi tendono ad abbinare le ultime dichiarazioni di Stoltenberg con quelle di Macron di marzo scorso, quando il presidente francese ipotizzava la possibile futura esigenza di invio di militari francesi e di altri paesi NATO a combattere in Ucraina. Tenuto conto dell’andamento tutt’altro che favorevole per Kiev delle operazioni sul terreno, Macron aveva lanciato un allarme serio, cui sarebbe stato onesto attribuire la giusta attenzione anche se, in prossimità delle elezioni, si tratta di un allarme indigesto per buona parte degli elettori che non si sono resi conto o che fingono di non essersi accorti che “a loro insaputa” sono già in guerra contro la Russia.
Macron, in sostanza, ha avuto l’onestà intellettuale di dirci che in un futuro ormai imminente potrebbe non essere più sufficiente limitarsi a fornire supporto agli ucraini staccando sì assegni ma standosene seduti in salotto di fronte alla televisione con un drink in mano. A quel punto o si decide di schierare i nostri soldati sul terreno o si obbliga di fatto Kiev a trattare e accettare la pace. Pace che non potrà essere né “giusta” né “ingiusta”, come pontificano alcuni “soloni da talk show”, bensì, come sempre è stato, sarà dettata solo dalle posizioni sul terreno. In pratica, Macron, crudamente, ha chiesto agli europei: “Siete pronti a combattere per i vostri ideali?”. Personalmente, penso che la risposta sia negativa, ma allora sarebbe più onesto dichiararlo subito agli ucraini.
Quindi, Macron come Stoltenberg? Assolutamente no! Macron è un capo di Stato che, fino a ché rimane in carica, ha il diritto e il dovere di esprimersi in merito alla politica estera e di difesa del suo paese. Ha una delega in bianco dall’elettorato e ne risponderà nel bene o nel male alle prossime elezioni nazionali. Stoltenberg è un funzionario a cui gli azionisti (i governi delle 32 nazioni NATO) non hanno mai concesso alcuna delega in bianco.
Le dichiarazioni di Stoltenberg in merito alla Cina
Abbastanza discutibili appaiono anche le recenti accuse di Stoltenberg alla Cina in relazione al sostegno militare fornito alla Russia (sostegno militare peraltro mai ufficialmente dichiarato da Pechino, a differenza del sostegno politico a Mosca più volte rivendicato dalla leadership cinese).
Il segretario generale ha deprecato tali aiuti quale elemento di destabilizzazione del conflitto in atto in Ucraina. Dichiarazione che certamente ci si potrebbe attendere dal Sommo Pontefice, meno dal segretario generale di un’Alleanza la quasi totalità dei cui membri (ovvero tutti tranne Turchia, Islanda e Ungheria) sostiene militarmente in maniera ufficiale l’altro belligerante, con supporto intelligence, addestramento e invio di carri armati, missili, aerei, munizioni, ecc.
Il futuro di Stoltenberg
Nel ribadire che tentare di dettare, a mezzo stampa, direttive in questa materia esula dalle competenze del segretario generale della NATO, si potrebbe anche pensare che Jens Stoltenberg non si sia affatto lasciato andare a dichiarazioni non ponderate. Qualche maligno potrebbe addirittura pensare a una sua ricerca di occupazione dopo l’ormai prossima fine del suo ormai decennale mandato (finora rinnovato aldilà di qualsiasi precedente e in scadenza il 1 ottobre prossimo). D'altronde, il suo predecessore, il danese Anders Fogh Rasmussen, dopo aver lasciato l’incarico di segretario generale della NATO nel 2014, nel 2016 è diventato consulente del presidente ucraino Poroshenko (sì proprio del predecessore di Zelensky). Ma no... Sono solo malignità!
1 “Manuel de l’OTAN”, Division de Diplomatie Publique de l’OTAN, Ed 2006, Pag 80
Foto: NATO