Cento giorni di guerra in Ucraina sono già passati. Parliamone guardando tre (più una) foto simbolo

(di David Rossi)
03/06/22

È arrivato, oggi 3 giugno quello che il 24 febbraio sembrava impossibile: il centesimo giorno della guerra di aggressione della Russia all’Ucraina o, come la vuol chiamare il Cremlino, “operazione militare speciale”. Credo che dei potenti simboli di quanto è accaduto e sta accadendo siano in tre piccoli eventi delle ultime 24 ore, a loro volta rappresentati da tre foto: questi eventi non cambieranno il corso del conflitto ma ci aiutano a capire come siamo arrivati dove siamo e in che direzione stiamo andando.

Ieri, questo messaggio (immagine apertura) è stato trasmesso via Telegram da Olexandr Kamyshin, CEO delle ferrovie di stato ucraine. In pratica, ha comunicato agli utenti che due ore dopo un attacco missilistico partito dal Mar Nero e rivolto a uno snodo delle linee ferroviarie ucraine nell’Oblast di Leopoli, al confine con la regione dei Carpazi, la circolazione dei treni merci rimasti bloccati era stata ripresa dopo due ore e che dopo tre ore anche quella dei treni passeggeri era tornata normale, sia pure con un certo ritardo. Non è la prima volta che succede: potremmo dire che avviene quasi ogni giorno e che non è “marketing di guerra” lo si può vedere dai tabelloni nelle stazioni e che se lo fosse verrebbe scoperto facilmente, dato che trarrebbe in inganno gli stessi viaggiatori.

Perché un semplice messaggio su Telegram ha valore simbolico? Perché la ricostruzione e la conseguente riattivazione di una rete ferroviaria richiede che i Russi non siano in grado - per la scarsa disponibilità di missili e per la pericolosità di usare la forza aerea in profondità - di impedire agli Ucraini di compiere operazioni atte al mantenimento della funzione logistica, quanto mai strategica al fine del trasporto di armamenti dagli alleati occidentali, ma anche di personale e mezzi. Nonostante Mosca abbia sempre dichiarato di avere la supremazia o, giocando coi termini, almeno la superiorità aerea, tale affermazione di potenza è contraddetta dal perdurare del trasporto su rotaie in Ucraina. D’altronde, quanti missili e quanti aerei dovrebbero essere impiegati per rendere non operativa una rete di 23.000 chilometri, cioè la tredicesima al mondo per lunghezza? Certamente più di quanti Mosca si possa permettere di investire. Ed è la rete ferroviaria uno dei segreti dietro alla eccezionale resilienza degli Ucraini.

Di oggi, invece, la seconda foto simbolo di questi cento giorni di guerra.

Quelli che vedete sono dei pontoni, vale a dire dei contenitori cilindrici fatti di metallo, cavi all’interno e utilizzati come base per un ponte temporaneo o un pontile galleggiante.

Le truppe russe hanno subito, di recente, ingenti e ripetute perdite nell’attraversamento del Sivirskyi Donets, un affluente occidentale del Don che ha reso spesso difficoltoso per i Russi muoversi nella parte dell’oblast di Luhansk al confine con quello di Kharkiv.

Abbiamo già parlato della perdite di molte centinaia di uomini e mezzi all’inizio di maggio in uno solo di questi scellerati tentativi (vedi articolo). Ora, di nuovo, lo stesso fiume maledetto si viene a frapporre davanti all’avanzata dei Russi verso Ovest: si frappone fra Severodonetsk e Lysychansk e minaccia di costare caro ai temerari che oseranno ancora attraversarlo, anche considerando che in quest’ultima cittadina, posta su un’altura, gli Ucraini godranno del vantaggio di poter colpire dall’alto verso il basso. Proprio lì sono diretti i pontoni avvistati nelle foto.

La terza foto simbolo rappresenta la visita del presidente del parlamento e - de jure - vicepresidente dell’Ucraina, Stefanchuk, al cancelliere tedesco Scholz. Non è un caso che una delle rare apparizioni all’estero degli “alti papaveri” di Kiev abbia luogo in Germania, uno dei Paesi europei con più interessi in comune con la Russia e meno propensi a cercare soluzioni che mettano in crisi la leadership di Mosca.

Esiste un gruppo di Stati che non sono condizionati dalle relazioni economiche con la Russia: Regno Unito, Stati Uniti, Baltici, Polonia, Giappone ecc. Questi percepiscono la sfida lanciata da Putin il 24 febbraio in modo molto diverso da un altro gruppo, sempre di Paesi occidentali ma con interessi, per così dire, pesanti col Cremlino: parliamo, per esempio, di Germania, Italia, Ungheria ecc. Questi non vedono l’ora di tornare al “business as usual”. E Berlino è il primo fra questi.

Nella seconda metà del 2022 il sostegno occidentale all’Ucraina si misurerà nella forza con cui i primi sapranno dettare la linea ai secondi, come è accaduto fino ad oggi, per 100 giorni appunto.

Infine, una digressione. Questa foto (in basso) - con tanto di dito del fotografo in mezzo - è di oggi e ritrae il padre padrone della Cecenia pacificata, Ramzan Kadyrov, durante una visita ufficiale - e amichevole, sembra proprio - al ministro della difesa Shoigu. È la prima volta, francamente, che gettiamo un occhio in largo nella sala da dove il fedelissimo ministro di Putin gestisce le forze armate russe. Ci ha colpito il gran numero di soldatini e modellini presenti: ci ha fatto venire in mente il potešnye o “esercito giocattolo”, un corpo militare perfettamente equipaggiato secondo i canoni più moderni dell'epoca, utilizzati per inscenare esercitazioni militari e finte battaglie nei giardini della residenza di Pietro il Grande. Considerati il corpo militare più fedele allo zar, dopo la piena ascesa al trono di Pietro nel 1689 i potešnye costituirono la base per la formazione della guardia imperiale russa. Ma tanti “soldatini” fanno anche venire alla memoria il breve regno di Pietro III, lo sfortunato marito di Caterina II, zar più appassionato del gioco che della pratica della guerra, che perse il regno (e la vita) per uno scellerato trattato di pace con la Prussia.