Crisi del grano e politica degli stretti

(di Filippo Del Monte)
31/07/23

La conquista da parte della Russia dei porti di Melitopol e Berdyansk all'inizio della guerra ha praticamente causato la fine della flotta di superficie ucraina. Eppure, con un sapiente utilizzo della strategia A2/AD, Kyiv è riuscita ad impedire che i russi potessero sfruttare la loro superiorità navale nel Mar Nero.

L'uscita di Mosca dalla “Black Sea Grain Initiative” e l'annuncio di voler usufruire del "diritto di visita" per tutte le navi neutrali dirette verso i porti ucraini o provenienti da essi, hanno riaperto la delicata questione degli equilibri politico-militari nel Mar Nero.

Nei rapporti dell'intelligence britannica si legge che la Flotta russa del Mar Nero, pur tenendosi fuori dalla portata dei missili antinave ucraini, ha assunto uno schieramento idoneo ad imporre un blocco navale dalla Crimea ai Dardanelli.

L'elevata quantità di mine che la Russia sta posizionando lungo le rotte mercantili da e per Odessa servono ad interdire la navigazione agli ucraini e scoraggiare la presenza di naviglio civile neutrale.

Il blocco navale può essere effettivamente realizzato in un'area limitata che va da Odessa alla foce del Danubio e, secondo l’esperto di guerra marittima del Royal United Service Institute, Sidharth Kaushal, il minamento offensivo di quel tratto di mare rappresenta un pericolo che può potenzialmente bloccare qualsiasi traffico commerciale.

Nel 1877 l’Impero ottomano, impegnato in guerra contro la Russia, godeva della superiorità navale nel Mar Nero ma non la sfruttò, evitando di attuare il blocco navale Odessa-Danubio. L'errore fu pagato caro e fu uno di quelli che condannarono Istanbul alla sconfitta.

Oggi i russi ritengono che la superiorità navale convenzionale di cui godono possa essere ben sfruttata solo mettendo in crisi politicamente l'Ucraina, mostrando la sua incapacità di garantire la sicurezza delle rotte del grano ed aizzandole contro anche una parte della Nato, persino alleati di ferro di Kyiv come la Polonia. Alla questione prettamente militare - nel momento in cui a terra la controffensiva delle truppe ucraine sta accelerando, specie di fronte a Bakhmut - va a sommarsi quella politica quando si parla del “Grain Deal”.

Il Fondo Monetario Internazionale stima che il prezzo globale del grano possa aumentare del 10-15%, mentre l’Unione europea sta cercando un sistema per garantire le esportazioni di grano ucraino via terra. Ci sono Paesi come Polonia, Romania e, in misura minore Bulgaria, Ungheria e Slovacchia, che hanno subito danni economico-produttivi a causa della massiccia presenza di grano e cereali ucraini nei propri mercati. Per accettare il "piano terrestre" del grano di Bruxelles, questi Paesi hanno chiesto garanzie per i propri agricoltori. Zelensky ha protestato, ma questo allungherà i tempi della reazione europea di fronte al blocco navale di Putin.

Il grano ucraino è di alta qualità ed economico, ma solo se viene trasportato via mare o per distanze relativamente brevi nell'entroterra. Trasportarlo per grandi distanze via terra diventerebbe antieconomico e nessuno vuole tentare l'impresa senza contropartite.

Se da un lato il blocco navale russo risponde alle esigenze politico-militari del Cremlino, dall’altro non potrà provocare una escalation al di fuori del Mar Nero, proprio grazie alla scelta turca di “tenere il punto” su questo.

Quale controllore dei Dardanelli, Ankara gioca una partita fondamentale per gli equilibri politici e militari della guerra russo-ucraina. I tentativi di mediazione di Erdogan tra Kyiv e Mosca e la stipula dell’accordo sul grano nel 2022 hanno rafforzato il ruolo dei turchi nella regione.

Da quando la Russia ha annunciato il suo ritiro dal “Grain Deal”, i future sul grano a Chicago sono aumentati del 20% ma non hanno ancora toccato i livelli del 2022, che spinsero in fretta e furia l’Onu ad intervenire per negoziare l’accordo di Istanbul.

Restando fedeli alla classica concezione politica e strategica ottomana degli Stretti, all’inizio della guerra i turchi avvertirono “tutti i paesi litoranei e non litoranei di non attraversare gli Stretti con le navi da guerra", con l’obiettivo di limitare la dimensione marittima del conflitto e preservare, così, la stabilità del Mar Nero e garantire i propri interessi.

Sia la Russia che la Nato rispettarono integralmente il dettato di Montreux; Mosca perché convinta del fatto che la sua sicurezza potesse essere maggiormente garantita dal controllo turco dei Dardanelli e gli occidentali per evitare una escalation e, in un certo senso, “chiudere” la flotta russa entro quelle acque.

Del resto, sotto il profilo logistico, all’Alleanza atlantica la chiusura del Mar Nero non ha impedito di rifornire anche via mare gli ucraini dal porto greco di Alessandropoli e per le vie di terra in Polonia, Bulgaria e Romania.

Fin dalla conquista di Costantinopoli nel 1453, i turchi hanno considerato gli Stretti come il Kilid-i Bahr (catenaccio del mare) per garantirsi la sicurezza ed il controllo dei commerci. Per i sultani il principio della chiusura del Mar Nero e la regolazione del commercio straniero in quelle acque erano pilastri della politica estera dell’Impero.

Al contrario, la Russia di Pietro il Grande pose, per prima in epoca moderna, il problema della libertà di navigazione nel Mar Nero, che equivaleva, nei desideri della corte pietroburghese, a sostituirsi ad Istanbul nell’egemonia regionale su quel tratto di costa.

L’idea del Mar Nero “chiuso” è stata sponsorizzata nel corso dei secoli da potenze come Francia e Gran Bretagna e Italia (vedasi le condotte di queste potenze sia nel 1853-1856 con la guerra di Crimea che nel 1877-1878 durante la guerra russo-turca), ma anche dagli Stati Uniti (benché non abbiano aderito alla Convenzione di Montreux), mentre solo in tempi recenti anche la Russia ha ritenuto più conveniente disporre di una navigazione regolamentata è controllata dai turchi che non una totale libertà di solcarne le onde.

Niente fa pensare che, di fronte all’attuale crisi del grano, la Turchia possa cambiare politica. Anzi, l’aver fissato fin dall’inizio i propri paletti ha reso più forte Ankara.

Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri