Gli accordi con la Cina sollevano non pochi dubbi per gli interessi nazionali italiani

(di David Rossi)
25/03/19

“A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina” diceva la buon’anima di Giulio Andreotti: un toscanaccio diffidente come lo scrivente se l’è segnata, come citazione. È domenica mattina e oggi, in mancanza della Serie A, la prima notizia sono i 29 accordi (non erano MoU?) sottoscritti tra il Governo italiano e quello della Repubblica Popolare Cinese. Roba grossa, da due o anche da venti miliardi secondo il vicepremier Luigi Di Maio.

Ascolto alcune considerazioni per strada...

“Che idea ti sei fatto, amico mio, degli accordi per la Nuova Via della Seta firmati dal Governo?”

“Né buona né cattiva. Piuttosto, si tratta di un MoU, come ha detto Di Maio, non di un accordo vincolante, un semplice accordo quadro che non ci lega le mani...”

“A parte che un accordo quadro è un Framework Agreement, cioè una base giuridica per futuri accordi, un Memorandum of Understanding è poco più che una lista di elementi di un futuro accordo su cui si è d’accordo al momento della firma. Ma…”

“Ma cosa?”

“La mia azienda ha firmato decine di MoU e spesso abbiamo loro dato esecuzione come fossero contratti sanciti. Specie se hai organizzato una cerimonia, come la pomposa visita di Xi Jinping in Italia e hai reso noti a tutti i termini, poi o ti rimangi l’accordo tout court inimicandoti la Cina o lo trasformi in un contratto vero e proprio così com’è. Quello che mi preoccupa è altro…”

“Che cosa ti preoccupa?”

“Un MoU non è soggetto ad alcuna ratifica in Parlamento, quindi a nessun dibattito pubblico, almeno finché resterà tale. Insomma, non sai mai se le parti che hanno sottoscritto un MoU, siano esse Stati sovrani o imprese o cittadini gli daranno implicita esecuzione in segreto… E nel segreto…”

“Calma, amico mio. Qui non parliamo del protocollo segreto Sykes-Picot o di quello Molotov-Ribbentrop: l’Italia e la Cina non devono spartirsi niente. Tantomeno il Medio Oriente o l’Europa Orientale. Non ci sono sfere di influenza da dividere in segreto…”

“È vero. Ma un’implicita applicazione di un MoU è sempre possibile. Ma soprattutto parliamo di un Paese, l’Italia, i cui governanti da quarant’anni hanno una sfrenata bulimia di fondi. E ora i soldi sono sempre meno. Ogni anno dobbiamo piazzare trecento o quattrocento miliardi di titoli di Stato e quelli non si vendono da soli. Soprattutto ora, alla fine della presidenza dell’italiano Mario Draghi alla Banca Centrale Europea. E alla fine del suo quantitative easing…”

“Spiegati meglio!”

“Vedi, l’Italia è il terzo Paese al mondo, dopo Stati Uniti e Germania, come riserve auree: ne abbiamo 2.450 tonnellate. In linea teorica, è un vero tesoro. Solo in teoria perché, per quanto l’Italia abbia quasi il 10% delle riserve auree mondiali, il loro valore (quasi 100 miliardi di dollari) è di entità non significativa rispetto alla dimensione delle attività economiche di oggi. Il debito pubblico del nostro Paese supera i 2.300 miliardi di euro. E se anche lo vendessimo, il prezzo e dunque il suo valore effettivo, crollerebbe e ci guadagneremmo poco o nulla. Stiamo messi meglio quanto a riserve valutarie, dato che abbiamo oltre 140 miliardi, che ci collocano nella top 20 mondiale dei Paesi detentori di Forex, cioè di valute estere. Tuttavia, la Cina è il primo Paese e ha accumulato negli ultimi tre decenni la bellezza di 3.015 miliardi di dollari!”

“Ci può comprare all’incirca venti volte!”

“Di più, perché le quattro maggiori banche al mondo sono cinesi, sono ampiamente controllate da Pechino e hanno asset per la bella cifra di 13.000 miliardi. Per fare un paragone, le prime quattro italiane - compresa la statale Cassa depositi e prestiti - non arrivano a 2.000 miliardi.”

“Ho capito. Ma che male c’è se tanto ben di dio viene un po’ anche da noi, comprandoci il debito?”

“Ti ricordi la crisi del debito sovrano italiano cominciata nel 2011?”

“Chi se la può dimenticare?”

“Ebbe iniziò quando Deutsche Bank mise sul mercato meno di dieci miliardi in titoli. Lo fece per motivi non solo finanziari ma, per così dire, di politica economica. Insomma, voleva che il Governo italiano facesse determinate riforme e per convincerlo usò le maniere forti. Vedi, Deutsche Bank è una realtà da meno di 2.000 miliardi di asset. Ti immagini se pestassimo i piedi agli interessi di Pechino, avendo loro una potenza di fuoco tanto più grande? Questo nell’ipotesi che comincino a fare acquisti massicci di nostri titoli, magari “stimolati” da un’intesa per così dire… non alla luce del sole!”

“E lo faranno?”

“È più che probabile, anche perché chi altro comprerà il nostro debito nel prossimo futuro? Di certo, gli Europei adesso vorranno dimostrare il loro scarso gradimento per un’iniziativa così scoordinata dal resto dei Paesi, oltre per il fatto che abbiamo ignorato gli ammonimenti loro e degli Americani! Se saranno molto duri, finiranno col gettarci tra le braccia dei Cinesi. Che poi è l’obiettivo…”

“Sei troppo negativo. Ho letto di un accordo sottoscritto per noi dal Ministero della Salute per l’esportazione di prodotti agricoli. Questo vuol dire fare il bene del Sistema Paese!”

“Già. Peccato che, tra questi, figurino soprattutto la carne di maiale e il seme bovino. A proposito di quest’ultimo, si saranno “ricordati” di escludere la possibilità della clonazione, anche solo col giustificativo della ricerca sulla salute? Ma soprattutto non è che ci troveremo delle razze per noi strategiche, come la Chianina e altre, prodotte in Cina? E magari pure vendute in tutto il mondo come carne italiana?”

“Non mi vorrai dire che la fettina di “bovino italiano” che servo ai miei figli potrebbe essere fatta in Cina!”

“Se non escludi di reimportarla, certamente. Non potrà fregiarsi dei loghi ufficiali, però costerà meno per la grande distribuzione! Considera, poi, che ci siamo impegnati a vendere ai Cinesi tonnellate di carne di maiale congelata, nonostante sia ben noto che la produzione nazionale non copre il fabbisogno. Prova tu, ora, a immaginare le conseguenze!”

“Non ne ho il coraggio…”

“Facile: la carne suina italiana prende la via della Cina, mentre per produrre i salumi italiani non protetti dai consorzi si importa dall’Est Europa. Insomma, il prosciutto cotto che dai ai bambini potrebbe essere di squisita carne di maiale della Bielorussia o della Bulgaria”.

“Tu esageri. L’accordo o MoU è una grande opportunità commerciale…”

“Non ho sentito parlare per niente della tutela del Made in Italy in Cina. Ho fatto una ricerca su Google e non se ne parla proprio, relativamente agli accordi tra Italia e Cina. Non è il Paese asiatico la “fabbrica” dei falsi che danneggiano le nostre imprese? Non mi dire che se ne sono dimenticati…”

“Beh, almeno la Cultura con la C maiuscola ne esce più tutelata!”

“Si parla di restituzione di alcune centinaia di reperti archeologici alla Cina: avevano avviato un processo? O semplicemente abbiamo stilato una lista di oggetti legittimamente importati quando avevamo la Concessione a Tientsin e ora svuotiamo i musei per far piacere al nostro nuovo socio?”

“Ma alla fine il bilancio per le aziende sarà positivo!”

“Amico mio, ci siamo messi contro la UE e gli Stati Uniti, che da soli comprano il 50% del Made in Italy, per compiacerne uno che compra un decimo di tanto e ci fa pure concorrenza sleale coi falsi. Siamo sicuri che Conte e Di Maio sono più intelligenti di tutti gli altri?”

“Non so che dirti. Però, per lo meno, abbiamo dimostrato al mondo che l’Italia può prendere una decisione strategica ed indipendente come uno Stato sovrano!”

“O che intendiamo fare da cavallo di troia dei Cinesi all’interno dell’Unione europea, per minarla dall’interno? E poi non hai avuto l’impressione di un’Italia genuflessa, come un venditore di tappeti davanti al turista?”

“Non so. E tu, David, dicci che cosa ne pensi invece che armeggiare con carta e penna!”

Foto: presidenza del consiglio dei ministri