Negli ultimi mesi il tema della difesa e della sicurezza europea è tornato centrale nell’agenda dei governi e nelle riflessioni di analisti ed esperti del settore: prima Brexit, poi la recente elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, hanno fatto tornare prepotentemente alla ribalta la questione della creazione di un esercito comune che possa porre l’Unione Europea in un ruolo veramente complementare e, all’occorrenza, alternativo alla NATO o alle Nazioni Unite (per le quali, pure, manca un esercito “comune”).
Forse sul punto non si potrà più tergiversare dal momento che lo scenario globale è cambiato rispetto al passato in maniera drastica: le guerre non sono combattute solo tra eserciti regolari, i blocchi di potenze non esistono più e le minacce che gli Stati devono affrontare sono spesso di altra natura (in primis, gli attacchi terroristici all’interno dei propri confini).
Questo non comporta in automatico la perdita di ruolo di alcune organizzazioni, ma è indubbio che l’Europa debba iniziare a camminare con le sue gambe perché, come la letteratura c’insegna, “di doman non v’è certezza”.
E quel domani, forse, non è poi così tanto lontano, se è vero che, almeno da quanto affermato dal tycoon americano in campagna elettorale, uno degli obiettivi della sua azione politica sarà proprio quella di rivedere il ruolo degli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza Atlantica. Come ciò avverrà (se avverrà) è ancora un punto interrogativo: quel che è certo è che, sin dagli anni 50, i presidenti Usa che si sono succeduti hanno tutti, seppur con sfumature diverse, lamentato lo scarso impegno degli alleati nel finanziare le spese destinate alla sicurezza comune, ed in tale solco (sebbene in maniera più marcata) sembra porsi il neo-eletto alla Casa Bianca.
Sul versante europeo ci sono Paesi che alla Difesa dedicano meno dell’1% del proprio PIL (il nostro è tra questi) e nonostante da anni si discuta di un esercito comune, non si sono raggiunti risultati concreti.
Alcuni sostengono che il veto principale a questo progetto lo abbia sempre posto il Regno Unito, geloso delle proprie prerogative e del ruolo egemone che ha sempre saputo ritagliarsi nei contesti internazionali. L’uscita di Londra dallo spazio comune europeo (anche qui: quando avverrà e, vista la recente decisione dell’Alta Corte di Giustizia, come avverrà…) se da una parte potrebbe costituire un fattore di sblocco in tale ottica, dall’altra comporterebbe una grave perdita sia sotto il profilo militare (non ultimo, il fatto che la Gran Breatagna è una potenza nucleare) sia sotto il profilo diplomatico (ilRregno Unito è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite).
Al netto di queste riflessioni, in un contesto in cui sembra essere tutto molto incerto (anche se chi scrive ritiene esagerati certi proclami votati al catastrofismo e al disimpegno degli Stati Uniti dalla NATO), per capire meglio i possibili sviluppi in tema di sicurezza e difesa comune riguardanti il vecchio continente, potrebbe risultare interessante analizzare le prospettive rinvenibili nel documento programmatico "A Global Strategy for the European Union's Foreign And Security Policy" che, a firma del “Ministro degli Esteri” dell'UE, Federica Mogherini, illustra le linee guida e gli obiettivi che l’Unione dovrà seguire e perseguire nel settore.
Soprattutto permette di anticipare quelli che saranno almeno nelle intenzioni i rapporti tra la futura forza di difesa comune europea e l’organizzazione transatlantica a guida americana, fermo restando che uno dei principali motivi di discussione (se ne è parlato proprio nella recente riunione a Bruxelles tra i ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi dell’Unione) è legato alla forma che la suddetta forza potrà o dovrà avere. Saranno tenute in considerazione le resistenze di molti membri al concetto di “integrazione” e si opterà presumibilmente per un più accettabile concetto di “cooperazione” (un nodo importante questo, su cui già ad agosto scorso presero posizione i ministri italiani degli Esteri Paolo Gentiloni, e della Difesa Roberta Pinotti, con una lettera pubblicata da “Le Monde” e “la Repubblica” in cui si sosteneva che “non si tratterebbe di creare una ‘armata europea’ che raggruppi la totalità delle forze nazionali degli Stati partecipanti, ma di costituire una ‘forza europea multinazionale’, con funzioni e un mandato stabiliti insieme, dotata di una struttura di comando e di meccanismi decisionali e di budget comuni”).
Nel documento in esame, dopo aver chiarito lo scopo dell’Unione in tale ambito, ossia quello di promuovere la pace e la sicurezza dei propri cittadini sia dentro che fuori i confini (come si accennava sopra, i mutati scenari geopolitici e le nuove minacce cui far fronte, non sono più solo esterne ai singoli Stati, ma potenzialmente anche interne), viene affermata la necessità (o consapevolezza) di una maggior responsabilizzazione nel campo della sicurezza (“As Europeans we must take greater responsibility for our security. We must be ready and able to deter, respond to, and protect ourselves against threats”), nella convinzione che, per essere davvero importanti sotto tutti i punti di vista, l’Europa debba poter contare su una propria forza militare, pronta ad intervenire in tutti i contesti di crisi, interni ed esterni (“An appropriate level of ambition and strategic autonomy is important for Europe’s ability to foster peace and safeguard security within and beyond its borders. Europeans must be able to protect Europe, respond to external crises, and assist in developing our partners’ security and defence capacities, carrying out these tasks in cooperation with others. Alongside external crisis management and capacity-building, the EU should also be able to assist in protecting its Members upon their request, and its institutions”).
Più oltre si elencano le nuove minacce cui bisognerà fare fronte comune, tra cui, oltre al terrorismo, anche le cosiddette hybrid threats, la sicurezza cibernetica e quella legata alle fonti energetiche (cyber and energy security ), senza dimenticare il target delle missioni in ambito “Common Security and Defence Policy” (CSDP) volte alla salvaguardia dei confine marittimi dell’Unione ed al contrasto dei crimini internazionali, legati soprattutto ai fenomeni migratori (“This means living up to our commitments to mutual assistance and solidarity and includes addressing challenges with both an internal and external dimension, such as terrorism, hybrid threats, cyber and energy security, organised crime and external border management. For instance, missions and operations can work alongside the European Border and Coast Guard and EU specialised agencies to enhance border protection and maritime security in order to save more lives, fight cross-border crime and disrupt smuggling networks”).
Tutti temi in realtà già affrontati nel vertice NATO di Varsavia dello scorso luglio, ad ulteriore testimonianza della stretta simbiosi in cui potranno e dovranno operare l’Unione e l’Alleanza Atlantica, come meglio specificato proprio nel documento in esame: “When it comes to collective defence, NATO remains the primary framework for most Member States. At the same time, EU-NATO relations shall not prejudice the security and defence policy of those Members which are not in NATO. The EU will therefore deepen cooperation with the North Atlantic Alliance in complementarity, synergy, and full respect for the institutional framework, inclusiveness and decision-making autonomy of the two”.
Per quanto riguarda i rapporti che l’UE intenderà avere con la NATO, sulla carta le linee programmatiche sembrano sufficientemente chiare e delineate, ma occorrerà vedere nei fatti quelli che saranno gli sviluppi alla luce non solo delle recenti elezioni americane e al ruolo che gli Stati Uniti decideranno di avere nell’organizzazione, ma anche quello che riusciranno a ritagliarsi i membri dell’Unione Europea, ancora spesso troppo distanti tra loro o timorosi di dover far fronte ad ulteriori gravosi investimenti.
Iniziare a camminare con le proprie gambe è con ogni evidenza un rischio che genera paure: quel che risulta evidente è che quanto affermato dal nuovo inquilino della Casa Bianca, era già scritto nel documento a firma Mogherini: “While NATO exists to defend its members – most of which are European – from external attack, Europeans must be better equipped, trained and organised to contribute decisively to such collective efforts, as well as to act autonomously if and when necessary”.
(foto: web)