Occupandosi abitualmente di terrorismo, controterrorismo e forze speciali una persona è portata ad osservare il mondo da un punto di vista molto ampio, drammatico, concentrandosi spesso su azioni eclatanti, vissute da terzi, che sollevano l’indignazione o l’orgoglio di intere nazioni. Finisce che perdi il contatto con la realtà quotidiana, anche la più piccola. Sono oramai anni che i quotidiani e finanche la storiografia militare e geopolitica si concentra sulle solite tematiche le quali, purtroppo, continuano a tenere banco con una raffica di avvenimenti sempre più teatrali. Da diversi mesi però in Italia l’attenzione è riversata sul più grande amico/nemico che l’uomo possa avere: la natura. Il terremoto, che da mesi scuote il Centro Italia è un incubo ininterrotto che sta mettendo in ginocchio alcune delle regioni più belle e produttive del nostro paese. In questi ultimi giorni, manco fosse un complice ben addestrato, il maltempo ha peggiorato la situazione provocando ancora morte e sciagure. Nel mezzo di tutto questo nascono diversi filoni di storie che toccano la vita delle vittime, il dramma di chi ha perso tutto, storie di inefficienza e fascicoli aperti dalle varie procure per cercare chi ha mancato al suo dovere e dove. Un capitolo speciale è quello dedicato ai soccorsi e al sistema “volontari” che solo l’Italia riesce a mobilitare ogni volta ve ne sia bisogno. La cosa che però stupisce – e scusate il gioco di parole – è che i mass media continuino a stupirsi. Quanto sta accadendo, vedi lo spiegamento della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco (volontari e non), dell’ANPAS (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze), Soccorso Alpino, Croce Rossa e mille altre realtà, rappresenta il movimento di un ingranaggio che non si arresta mai, e che si olia soprattutto quando l’emergenza è meno sotto gli occhi di tutti.
Questo articolo nasce da un’esperienza diretta ed è quella del volontariato nelle Pubbliche Assistenze, principale supporto del servizio 118 nazionale. Una logica operativa che, bene o male, è mutuata da altre associazioni che offrono servizi simili, improntati sull’emergenza in qualsiasi situazione e che impieghi personale non regolarmente stipendiato.
L’intero sistema di soccorso sanitario cittadino poggia interamente sulle prestazioni volontarie di molti giovani i quali pensano sia più utile trascorrere qualche ora con una divisa arancione luminescente piuttosto che sprecarla da qualche altra parte con cuffiette e cellulare. La tradizione delle Pubbliche Assistenze parte dalla metà dell’Ottocento. Ancora oggi diverse Misericordie o Croci espongono nella loro sede una sorta di carretto in legno, coperto da una logora tendina sulla quale vi è ricamato un simbolo: erano queste le prime ambulanze, sospinte solo dalla forza umana. Da quegli anni pionieristici di tempo ne è trascorso. La guerra in Crimea e la Prima Guerra Mondiale hanno migliorato – sulla pelle dei soldati – sia la medicina d’urgenza, sia l’intero sistema di primo soccorso i cui benefici hanno avuto una ricaduta tra i civili. A fare scuola furono gli americani che negli anni Sessanta fondarono l’EMS (Emergency Medical Service) con l’adozione della celebre Star of Life, contrassegno mondiale di tutte le ambulanze. In Italia abbiamo atteso fino agli anni Novanta quando a Bologna fu attivato il primo numero di emergenza indipendente, il celebre 118 (nel 1992 Cossiga lo eleverà a riferimento nazionale). Malgrado le continue mutazioni, ancora oggi fare soccorso volontario è fondamentalmente una vocazione. Non tutti lo fanno, non tutti lo sanno fare, ciò nondimeno il livello di preparazione di chi oggi viaggia su un’ambulanza ha fatto passi da gigante. Tra i volontari non esistono gerarchie come nell’ambito militare, non ci sono limiti di età – se non quelli imposti dalla propria forma fisica – tutti sanno fare qualcosa e anche chi non se la sente di salire nel vano posteriore con malcapitato e barella, può dare il suo contributo sotto qualsiasi altra forma. Il nostro sistema differisce da quello di altri paesi, soprattutto per quanto concerne quello che un volontario può o non può fare. In Italia non esiste la figura del paramedico come nell’EMS americano: ad esempio un soccorritore italiano non può somministrare farmaci poiché non previsto dalla legge. Dal punto di vista qualitativo il livello di un soccorritore nostrano equivale ad un primo livello EMT (Emergency Medical Technician) statunitense con un periodo formativo di 180 ore di lezione, entrambi con la possibilità di eseguire le tecniche BLS-BLSD e BLS pediatrico. Il personale dell’Emergency Ambulance Crew (EAC) di Londra, ad esempio, si abilita dopo un periodo di 22 settimane di addestramento nel quale impara ad assistere i paramedici.
Sebbene agli antipodi del soccorso la base fosse “prendi il paziente e portalo in ospedale il più presto possibile”, ora il sistema punta maggiormente sull’effettiva competenza di chi effettua materialmente il servizio. Bene inteso, un intervento di emergenza non implica sempre situazioni al limite, ma si basa anche su una serie di manovre e tecniche fondamentali tendenti a mettere in sicurezza il paziente per poi trasferirlo nel più vicino P.S. In sostanza esistono urgenze più o meno semplici, ma la cosa importante è capire che una situazione apparentemente tranquilla può volgere velocemente al peggio e in gioco c’è la vita di una persona. Tutte le decisioni prese sul mezzo di soccorso sono costantemente monitorate dai medici della Centrale Operativa i quali dispensano istruzioni risolvendo qualsiasi interrogativo degli operatori. Medici e infermieri del 118 sono, infatti, troppo pochi e non possono essere mandati ovunque: la loro presenza viene vagliata, caso per caso, dalla C.O. secondo la gravità e i codici assegnati (Verde, Giallo o Rosso). Un volontario deve imparare le varie procedure del soccorso e della sicurezza: immobilizzazione con i vari presidi disponibili, il trattamento di ustioni, ferite lacero contuse o fratture, estricare una vittima da un veicolo, somministrare ossigeno al bisogno e persino intervenire su un arresto cardiaco grazie all’utilizzo dei Defibrillatori automatici d’emergenza (DAE). L’apporto di un soccorritore tocca sovente la sfera emotiva di una persona in difficoltà: il sostegno morale ed emozionale è una cosa che spesso i medici non possono fare, ma che si rivela utile quanto una medicina. I corsi d’abilitazione – la cui frequenza varia secondo le risorse e la prassi Regionale - sono a cura del reparto 118 il quale rilascia un attestato di alto valore, tuttavia la maggior parte della preparazione ricade sul personale “veterano” della P.A. il quale mette quotidianamente a disposizione la sua esperienza acquisita “on the road”. Sulla predisposizione a soccorrere e sulla tenuta nervosa di un individuo non può intervenire nessuno, non esistono di fatto corsi che preparino alla vista di certe situazioni spiacevoli che possono accadere durante il servizio.
Quando al centralino di una P.A. squilla il telefono non è solo per chiamate di emergenza, poiché i soccorritori si occupano di una serie infinita di mansioni: trasporto di pazienti dializzati o di persone con difficoltà motorie, il rifornimento di sangue e plasma per gli ospedali o semplicemente le coperte per chi ha freddo sono solo una piccola parte di quanto richiesto. Esistono poi alcune convenzioni private che portano i volontari a girare anche per le strade d’Europa per effettuare il trasferimento di pazienti che necessitano di cure particolari. A tutto questo dobbiamo aggiungere la costante formazione e le sempre più frequenti esercitazioni volte a comprendere gli ambiti, sempre più complessi, in cui si potrebbe svolgere un servizio di emergenza.
Diverse P.A. hanno la continua esigenza di conformare e rinnovare le loro dotazioni, sia del parco automezzi sia dei presidi medico sanitari. I soldi che entrano nelle casse servono all’evoluzione delle prestazioni e allo stipendio delle poche aliquote di personale fisso che garantisce i servizi di base (sempre sovraccarichi di lavoro) 24 ore su 24.
La motivazione, l’amicizia e la consapevolezza dell’importanza di ciò che si fa è il principale collante che lega i rapporti di quanti trascorrono il loro tempo tra poche chiacchere, molto lavoro e l’emergenza nella giungla urbana. Giovani e meno giovani mescolano le loro esperienze: in una P.A. non esiste il dato anagrafico, ognuno impara dall’altro. Le analogie con il mondo militare sono diverse, ma forse la più importante di tutte è lo spirito di appartenenza che ciascuno riversa nella propria divisa e nel colore della propria Croce. Una volta, nel bene e nel male, c’era la leva che inculcava certi valori che alcuni bollavano con stolto disprezzo come “militaristi”.
Purtroppo una realtà così importante spesso è costretta a confrontarsi con leggi e burocrazie che non agevolano l’assoluzione dei compiti prefissi. I tagli alla sanità di ciascuna regione forzano molte P.A. a chiudere o a dimezzare i servizi. Ovviamente dobbiamo fare i conti anche con una crisi vocativa tra i giovani, indotta da stili di vita in cui le parole “sacrificio” e “altruismo” non fanno tendenza. Certe Società di vecchia data non hanno la forza di eseguire lavori strutturali di adeguamento e per questo devono smobilitare. Vista l’interazione delle P.A. con il tessuto cittadino, superiore a qualsiasi altra istituzione statale o addirittura comunale, ogni serrata corrisponde a un duro colpo per il pubblico benessere.
Le immagini di questi giorni – tristi e spiacevoli – devono fare riflettere su quanto significhi il volontariato nel sistema Italia, ma soprattutto ad indagare sulla forza motrice che sospinge l’animo di queste persone. Il fatto grave è che proprio lo Stato, che in materia di soccorso sanitario e non solo potrebbe intervenire in modo più energico, valorizza i suoi uomini fintanto che ne sussiste il bisogno (mi ricorda qualcosa riguardo l’esercito). Cessata l’emergenza, ogni piccola P.A. presente sul territorio torna anonima, in mezzo alle sue difficoltà di tutti i giorni e al crescente bisogno di veder riconosciute le sue virtù.
È il solito valore dell’Italia che nasce sempre dal basso.
(foto: ANPAS)