Chi scrive - come tutti i lettori che hanno partecipato a questo articolo - si è posto una domanda: il nonnismo può definirsi un autentico elemento creante di un sano spirito di corpo? Senza niente togliere ai “nonni”, cioè ai soldati più anziani ed esperti e in quanto tali portatori di una missione “educativa” verso le reclute, dobbiamo siamo seri e non nascondiamoci dietro a un dito: è stato ed è solo un rimasuglio di arcaici riti tribali che, in alcuni casi, nasconde dietro un dito il fallimento di trasformare soldati, avieri o marinai in una squadra. Spesso è stato tollerato con motivazioni selettive, con la scusante di servire a “scacciare le femmucce” o i “femminielli” dalle Forze Armate, potenziali vigliacchi in caso di scontri col nemico. Chi lo ha praticato, a conti fatti, sono spesso stati dei repressi sessuali o dei veri e propri delinquenti alla ricerca di facili soddisfazioni.
Al di là del nonnismo, come fenomeno patologico e criminale, un vero e proprio cancro dell’alta dignità delle Forze Armate, esistono dei riti di iniziazione che all’inizio del XXI secolo forse andrebbero ripensati, quando mettono a rischio l’immagine e, di conseguenza, la libertà e il ruolo strategico del mondo militare. Insomma, in un contesto, quello italiano, in cui i media e una buona parte della classe politica spaccano il capello in quattro pur di danneggiare gli uomini e le donne in divisa, sarebbe il caso di essere prudenti, questo sì per spirito di corpo.
In attesa che nelle scuole per ufficiali e sottufficiali si insegni anche il self management, ci piace sentire, qui di seguito, che cosa ne pensano i lettori, nessuno dei quali, francamente, se l’è sentita di prendere la parte dei nonni “nonnistici” (cioè di quelli che compiono abusi, non di quelli che sono tali per l’esperienza nel mondo militare). E non è venuto fuori un solo autore di veri atti di nonnismo che, anche a distanza di tempo e dietro anonimato, avesse le p..le di parlarne. Evidentemente, erano coraggiosi solo quando facevano scorribande in gruppo: presi di persona, sono delle…ehm… dei fanciulli spaventati.
Franco: uno schiaffo in faccia al nonnismo
Io credo che il nonnismo, che è il termine corretto ed è ben diverso dal cameratismo e molto più simile al bullismo, sia sempre esistito in ambito militare. Credo anche che non aggiunga nulla allo spirito di corpo. Semmai passando attraverso tali, spiacevoli, esperienze si può valutare quale sia la propria tempra e la capacità di occupare un ruolo dignitoso che qualche bullo vorrebbe mettere in dubbio. Ricordo che, da marinaio si aggirava nella camerata del Maridepocar un gruppetto di bulletti. Una notte giunsero presso la mia branda e mi chiesero di mostrargli i piedi. Io mi alzai a sedere sul letto (ero al secondo piano) e mollai un manrovescio al capomanipolo (un sardo). Gli altri rumoreggiarono ma io gli chiarii che ce n’era anche per loro. Tornarono brontolando alle loro brande e non mi importunarono più. Con questo non voglio invitare tutti a scazzottarsi ma solo far riflettere che il mestiere di soldato è ruvido, irto di pericoli. Non è per tutti.
Marco: le testimonianze di un alpino
Sono orgogliosamente un alpino, meglio, un trasmettitore alpino. La mia naja è iniziata il 12 di aprile del 1983 a Salerno presso l'86 esimo btg. fanteria Salerno. L'unico episodio di violenza psicologico / fisico, è stato a pochi giorni dall'arrivo a Salerno, quando noi 8 alpini non sapevamo come mai eravamo lì; un caporale mi ha minacciato cercando di farmi la schiuma nel letto. Di tutta la mia naja è l'unico episodio che ricordo con angoscia poiché ho visto nei suoi occhi la cattiveria. Fortunatamente il mio caporale istruttore (alpino di Brunico) è arrivato dalla licenza, dopo qualche giorno, e oltre che a istruirci ci ha anche protetto.
Poi ho fatto 4 mesi di corso a Napoli alla SCUST, e quando sono arrivato a destino avevo già quasi sei mesi di naja sulle spalle, per cui gli anziani non mi hanno considerato più di tanto. Inoltre, il mio reparto era costituito da pochi elementi, quasi sempre in missione di supporto agli altri reparti per cui il nonnismo era una cosa superflua. L'unica cosa che ricorso con tenerezza è una missione alla 106 mortai dell'allora Btg. Saluzzo (ora secondo reggimento alpini). Ho dormito in una camerata con solo effettivi del 7° / 83 miei padri, io ero il solo figlio. La notte appena partiti, un Caporal maggiore mi ha detto: "la piastra la porti tu perché sei figlio, io porto la radio". Quando siamo arrivati al punto in cui la marcia si faceva pesante per via della salita mi ha detto: "meglio che porto la piastra io, tu sei troppo figlio". L'ho presa come un segnale di protezione. Si tenga conto che loro erano quasi congedanti.
Infine, segnalo che, alla faccia dell'anzianità, ho montato di guardia a 15 giorni dal mio congedo alla base logistica di Busson i primi di marzo del 1984 a - 25° e nel turno peggiore dalla 4 alle 5 del mattino. Non è stata "pista" la guardia era tutta del 3° scaglione 83 abbiamo tirato a sorte i turni.
Andrea G: una serena vita militare
Ho servito il Paese in Marina Militare: un mese a Maricentro, La Spezia poi 60 gg. di formazione radar e telecomunicazioni presso le scuole CEMM a C. San Vito (Taranto) e finalmente la destinazione: nave Carabiniere. 18 mesi di esperienza assoluta durante i quali non ho mai visto alcun accenno ad episodi di nonnismo ma sempre e solo cameratismo, lealtà e correttezza da parte di tutti e nei confronti di tutti.
Certamente ebbi modo di vivere momenti poco piacevoli dovuti spesso alla mia giovane età e alla conseguente esuberanza e strafottenza ma, ripeto, mai e poi mai vissi o vidi episodi di nonnismo.
Molto probabilmente la non facile vita a bordo (tante settimane in mare, poca acqua per lavarsi, poco spazio personale, il mangiare che era quello che era) aiutava molto la coesione tra gli elementi dell’equipaggio e si concretizzava in un senso di solidarietà e cameratismo non comune.
Dispiace leggere che ancora oggi ci siano degli episodi poco eleganti. Una volta accertate le responsabilità, il primo che dovrà risponderne sarà sicuramente il Comandante della scuola che non doveva permettere o tollerare certe pratiche; ormai certi riti d’ iniziazione fanno parte del passato e lì devono rimanere confinati; a nulla serve richiamare la tradizione; non si devono più mettere le mani addosso a nessuno se non consenziente e se una collega dice “NO” è “NO” e tu devi fermarti.
Andrea S.: un’analisi approfondita
Se siamo ancora qui a scrivere di nonnismo ecc., cercando ancora di contestualizzarlo, secondo il mio modesto parere significa che più di qualcosa è mancato sia concettualmente che sociologicamente nell'organizzazione di quello che il professionismo dovrebbe prevedere e significare, in qualsiasi ambito delle discipline lavorative e didattiche, e segnatamente nell'accezione del contesto militare. Questo (e mi rattrista molto doverlo scrivere) è certificato da chi dimostra non solo di non sapere e di non aver capito, e forse di non aver voluto capire, cosa significa il termine PROFESSIONISMO, nelle sue varie declinazioni. E la cosa mi lascia francamente perplesso perché più di altri alcuni dovrebbero sapere cos'è un professionista del "Mestiere delle Armi".
Non esiste contesto più rappresentativo di CONCETTO di LAVORO di SQUADRA di quello MILITARE. Questo è un dato di fatto. In quest'ambito il risultato del lavoro svolto determina spesso la vita e/o la morte propria e di altri. Non c'è prova più specifica di questa. La strada verso la costruzione di ciò che oggi si tende a definire Team Working, è data da quelli che sono definiti come " I Percorso dei Quattro Pilastri" che sono: GERARCHIA, DISCIPLINA, ADDESTRAMENTO, MOTIVAZIONE.
Essi rappresentano appunto un percorso, e sono il fulcro di ogni struttura umana che veda il LAVORO di SQUADRA come la compartecipazione di persone unite, amalgamate, coese al fine di raggiungere uno scopo comune, che in questo nostro caso è rappresentato da una missione (grande o piccola, tattica o strategica non fa differenza) che vede militari di ogni ordine e grado, dai plotoni alle compagnie, dalle divisioni alle armate, fino agli eserciti e alle nazioni intere, in proiezione, come i migliori esempi da seguire in quello che significa davvero ESSERE (una) E FARE (una) SQUADRA.
Ma purtroppo questo concetto è minato e messo in discussione e pericolo da tutto ciò che non rientra dalla creazione della coscienza etica, sottolineo ETICA, di ogni singolo elemento della squadra stessa, ancora di ogni ordine e grado. Il singolo essere umano è, deve essere un componente prezioso e essenziale di un insieme coeso, strutturale, che basa il suo impegno sul concetto di moltiplicazione della forza (L'UNIONE FA ed È FORZA) data da ogni componente del team, dalla sua valorizzazione e dalla sua profonda comprensione del concetto di INSIEME, che formeranno una struttura omogenea, simile ad un legame metallico, una trama di fibre, un'unione solida e inscindibile. Questo il segreto dei team vincenti, dai più piccoli ai più grandi. Ovunque e in qualsiasi ambito, e specialmente tra soldati.
I riti, le prove goliardiche, le iniziazioni... Non hanno mai fatto di nessuno un amico più fidato, e non servono a creare alcun concetto di team, anzi. Sono parzialissimi e alquanto discutibili accessi a "club di iniziati" che vedono sempre e comunque il singolo individuo, di solito un presunto capo, come il fulcro della struttura, non il gruppo. L'appartenenza si basa su un concetto di legame che nulla ha a che spartire con la preparazione psico-fisica, nulla di professionale, e spesso è usata a fini corporativi e di tutela di interessi privati discutibili. Ci sono ampissime PROVE SCIENTIFICHE che certificano devianze e distorsioni della psiche a breve, medio e lungo termine causati da questo comportamento, a livello individuale e di gruppo, oltre a fatti di penosa cronaca giudiziaria.
Un soldato, per diritto professionale e umano, ha (e vorrei precisare che, per legge, queste cose avrebbe dovuto SEMPRE averle, anche quando vigeva la coscrizione):
- il diritto/dovere di sapere dal primo istante in cui entra in una caserma chi ha AUTORITA' LEGALE (e non per anzianità o tradizione) per comandarlo, addestrarlo e istruirlo al suo compito di servizio (che non significa mai vessarlo o maltrattarlo). Anzi, questa autorità prevede conseguentemente RESPONSABILITA' (nei limiti previsti dalle leggi vigenti) della sua incolumità personale (dato che si troverà ad avere a che fare con armi e persone armate), oltre la tutela dei suoi diritti di cittadino. Le caserme non sono luoghi di extraterritorialità legale: è anzi vero semmai l'esatto contrario. Bisogna farsene una ragione.
- il diritto/dovere di conoscere REGOLE SCRITTE in appositi MANUALI (e non quelle della "tradizione" tramandata da "nonni" e "parenti" vari ed eventuali) che determinano e determineranno il suo lavoro e la convivenza con gli altri soldati, e saranno la base di riferimento legale come in ogni contesto di lavoro. E chi non rispetta le regole se ne va e ne risponde davanti a un giudice. Bisogna farsene una ragione (2).
- il diritto/dovere di addestrarsi al meglio delle sue possibilità fisiche, intellettuali e psicologiche, in modo professionale e con i mezzi più idonei disponibili, e ad essere seguito nel percorso didattico e di addestramento da istruttori e personale preparato e possibilmente certificato (e non da ANZIANI ancora vari ed eventuali che NESSUN DIRITTO LEGALE e DIDATTICO hanno di istruire, addestrare e formare chicchessia. Magari potrebbero, questo sì, sostenere e consigliare amichevolmente dei commilitoni).
Il soldato di professione deve essere sempre conscio che sarò sottoposto a test costanti di validazione delle sue capacità, che potranno prevedere la sua esclusione dalla professione militare operativa e non, ma mai a quelle che qualcuno ancora, e sottolineo ancora e purtroppo, prova a descrivere come "prove di passaggio, rituali di iniziazione vari, ecc.", a cui consiglio caldamente l'espatrio in qualche tribù del quarto mondo all'uopo predisposta. Vorrei inoltre specificare che è anche diritto/dovere del militare, in addestramento e durante l'eventuale servizio operativo, dare le dimissioni se ritenute opportune e motivate, proprio al fine di tutelare se stesso e soprattutto gli altri da sue eventuali problematiche.
Questo diritto/dovere non deve prevedere disonori vari o punizioni o forzature a restare o a resistere (cose inutili, dannose, pericolose) e non deve essere una macchia di alcun tipo nel CV di nessuno. Anche questo fa parte del concetto di Team Working. Bisogna farsene una ragione (3)
Se questo percorso sarà svolto in maniera professionale e corretta, il militare professionista si troverà nelle condizioni migliori per ottenere quella che da sempre è la chiave del successo in tutti gli ambiti del LAVORO di SQUADRA: stiamo quindi parlando del punto d'arrivo, la MOTIVAZIONE.
Un soldato inserito in un contesto gerarchico preciso, strutturato, disciplinato, che sarà ben addestrato e sperabilmente ben equipaggiato, sarà altamente motivato. È e sarà un'ARMA PRONTA e MICIDIALE, un ASSET STRATEGICO, oltre che una PERSONA PREZIOSA e un VALORE UMANO INESTIMABILE DURANTE e DOPO il suo servizio, in quella che si chiama NAZIONE (che per chi non se ne fosse ancora accorto è cosa diversa da una tribù).
Lasciamo il nonnismo ai nonni e ai bisnonni, appunto, e consegniamolo alla storia (spesso nient'affatto gloriosa) definitivamente. Voltiamo una volta per tutte pagina.
Luca: il nonno come educatore, non prevaricatore
Nonnismo… Il primo mattone della gerarchia militare, quello che dovrebbe creare il primo "essere" di un soldato. Purtroppo, strumento formativo mal utilizzato, nell'isteria totale di un mondo folle; personalmente lo reprimerei all'istante. È troppo facile scivolare, scaricare le proprie frustrazioni su dei poveri novellini. I soldati sono comunque degli uomini, quando escono dalle caserme si trovano in un mondo esasperato che cambia troppo velocemente, questa società non può più gestire il nonnismo perlomeno come era una volta, non si possono più umiliare delle vite perché fuori è peggio. Il nonnismo non può più esistere come lo conosciamo, dovrebbe tramutarsi in uno strumento motivazionale, dove il nonno deve "allevare" nel vero senso della parola la recluta, deve fare il nonno nel senso paternale del termine; a spremerlo devono pensarci i sottufficiali e ad "affilarlo" gli ufficiali, utopia o sogno del passato? Di sicuro non ho mai visto rincoglioniti diventare dei fenomeni grazie all'ignorante arroganza dei nonni; al contrario caricare, aiutare e sostenere un rincoglionito evita almeno che non ti spari addosso.
Foto: U.S. Air Force