Mentre c’è chi si indigna che, in tempi di pandemia, possa aver luogo, in Italia, una crisi di governo, la domanda che sorge spontanea è se, la suddetta, già non esista da tempo e non sia dovuta, piuttosto, ad una incapacità dell’azione esecutiva percepita da un numero sempre più crescente di italiani.
Che, d’altronde, la compagine guidata da Conte sia “artificiale”, ossia che non rispecchi la volontà elettorale, è fatto noto. Così come sono conosciuti i suoi fallimenti tanto in politica interna che estera: dalla gestione del piano pandemico alla trattativa per riportare i pescatori sequestrati a inizio del settembre scorso da miliziani libici fedeli al generale Haftar, uscito rinvigorito dall’improvvida trattativa condotta dal duo Conte-Di Maio, con tanto di stretta di mano, alla vicenda Regeni.
Ma se la narrativa di governo è puntuale nell’insistere, anche attraverso vari suoi esponenti, diretti o indiretti, ospiti in varie trasmissioni televisive, a parlare di guerra al virus, per giustificare delle misure che, nel migliore dei casi tardive, sono spesso anche inefficaci per la loro intrinseca natura e, comunque, sempre più invise alla maggior parte del popolo (chi era costui?), almeno di quello afferente al mondo dell’imprenditoria e delle partite iva, sembra però ignorare quella che potrebbe definirsi la causa di questo “conflitto” (ove la responsabilità della divulgazione del virus possa ad essa attribuirsi) o di altro ancora che, lungi dall’essere simmetrico o asimmetrico, per usare due categorie in voga nell’ambito bellico e del diritto internazionale umanitario, ha caratteristiche, invece, “virtuali” o, come ha sostenuto qualcuno, “ibride”1: la Repubblica Popolare Cinese.
È ben ipotizzabile, infatti, che costei, o, forse, per meglio dire, il Partito Comunista Cinese, abbia iniziato una guerra per l’influenza ed il controllo globale, strumentali ai suoi progetti espansionisti, e che cambia forma a seconda dei contesti, tutte, però, in sinergia tra loro: quella militare, quella economica, quella informativa, quella politica, aventi come obiettivo il “vincere senza combattere”2.
In tal ottica, passano inosservate ai più - forse anche allo stesso nostro governo - importanti acquisizioni societarie da parte cinese, nonostante l’allarme lanciato nelle settimane scorse dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che, in un apposito addendum sulla “penetrazione di capitali cinesi nel tessuto economico italiano” collocato a margine della relazione sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo, abbia denunciato, con preoccupazione, un aumento di flussi di investimenti diretti esteri provenienti da quel Paese (Cina, per l’appunto) ma anche la percentuale di proventi finanziari, derivanti da imprese italiane a controllo cinese che l’azionista di riferimento decide di reinvestire nel nostro Paese, invece che rinviare lì (in Cina).
Il che vuol dire, sostanzialmente, che gli investitori cinesi si stiano radicando sempre più nel nostro tessuto produttivo nazionale, a vari livelli, decidendo di reinvestire da noi i proventi delle loro attività. Senza considerare le rimesse inviate dall’Italia verso la Cina, spesso, frutto - ma il discorso vale per tutte quelle dirette dal nostro Paese verso Paesi terzi - di economia sommersa (attività lavorativa in nero ovvero proventi non dichiarati al fisco), ovvero di attività criminali e successivo riciclaggio di denaro contante.
Tra le suddette acquisizioni, spicca quella che sta tentando, proprio in questi giorni, il gruppo Faw nei confronti della Cnh Industrial riguardo la nota Iveco: al di là del dato occupazionale, che, nell’immediato, è certamente quello che potrebbe destare maggior preoccupazione, quello che, pure, dovrebbe spingere il governo a studiare un intervento teso a scongiurare il tutto, dovrebbe essere proprio il timore di un ennesimo tassello industriale che finirebbe in mano ai cinesi, che compirebbero così un ulteriore ed importante passo nella loro opera di colonizzazione italiana e del mondo, dal momento che per la suddetta (Faw) “si tratterebbe di mettere la mani su una quota notevole di mercato sia in Europa che in Sud America entrando in due mercati in cui non è sostanzialmente presente”3.
Senza considerare che la cessione di Iveco a Faw potrebbe non costituire “un problema solo italiano o degli italiani, ma di tutto il settore europeo. Far entrare un competitor cinese sul mercato continentale significa spostare gli equilibri minacciando le posizione di tutto il settore per chiunque ne faccia parte”4.
Quindi, è auspicabile che “nessun dorma” e che il governo, tanto solerte a ordinare limitazioni al popolo italiano, a colpi di DPCM, della cui legittimità, pure, si potrebbe discutere, prenda atto del pericolo cinese (non se ne vogliano i tanti cittadini di quel Paese che vivono da noi, ma qui si parla di interessi nazionali) e, oltre a fermarne, o comunque meglio controllarne o bilanciarne, l’avanzata, anche attraverso i poteri derivantegli dal Golden Power (volti, come noto, a garantire e tutelare gli assetti proprietari delle società strategiche e d’interesse nazionale, e che possono essere esercitati in determinati settori dell’economia, tra cui, per l’appunto, quello dei trasporti), appoggi, ed anzi esorti, una commissione di inchiesta internazionale proprio sull’origine della pandemia, che, per altro verso, potrebbe, come detto, essere un altro aspetto di questa guerra ibrida, che ha portato ad un rivoluzionamento anche dei mercati e delle economie mondiali. Anche per garantire simbolicamente un po’ di ricerca di verità e di giustizia a tutte quelle persone che, a causa della stessa, abbiano perso la vita, il lavoro, la serenità.
Perché la Cina, al contrario, non aspetta, e non ha remore, continuando, da una parte, la sua espansione nel globo, dall’altra la sua campagna di disinformazione sulle origini del virus, cercando di sfruttare le fisiologiche incertezze scientifiche per accreditare l’ipotesi secondo cui il patogeno potrebbe essere arrivato a Wuhan dall’estero, magari attraverso dei prodotti surgelati importati. I vari piccoli focolai che stanno spuntando in Cina vengono sistematicamente ricondotti dagli scienziati e dalla stampa di regime a questo canale, mentre viene dato grande risalto a ogni studio che all’estero “arretra” la data di inizio dell’epidemia prima di quella ufficialmente riconosciuta dalla Cina, cioè dicembre 20195, anche facendo passare il nostro Paese come untore del mondo.
Fatto sta che, le immagini dei grandi festeggiamenti svoltisi a Wuhan il Capodanno appena trascorso, hanno fatto il giro del mondo, suscitando, da una parte, simpatia per la popolazione in sé, che ha probabilmente sfogato nel modo più ovvio l’angoscia ed il terrore vissuto per mesi, dall’altra, però anche tanta rabbia, per quello che è sembrato, per altri versi, uno spregio, da parte del governo di quel Paese, alla sofferenza che la quasi totalità del mondo sta vivendo, proprio a causa del maledetto virus (e/o di come esso viene affrontato).
La via da percorrere è altra, non certo quella della seta: almeno, non alle condizioni finora poste in essere.
2 Ibidem.
4 Ibidem.
5https://www.repubblica.it/esteri/2021/01/06/news/cina_oms-281343059/
Foto: Twitter (Farnesina)