La premessa di quello che stiamo per scrivere è che, se guardate questa mappa, sarete indotti a pensare che gli Ucraini dal 24 febbraio abbiano perso quasi un quinto del loro territorio nonostante l’eccezionale resistenza all’invasione russa.
Così, però, fate torto a Putin, che non cessa di ripetere che Russi e Ucraini sono vissuti insieme, come fratelli per secoli. Non come fratelli, preferiamo dire, ma come camerati! Sì, perché gli Ucraini sono cresciuti militarmente alla vecchia scuola russa, quella che insegna a non sprecare risorse scarse nel tenere territori obiettivamente indifendibili, quella che invita l’aggressore esterno ad avanzare perché le sue linee di rifornimento diventino insostenibili e, infine, quella che ti concede di perdere città che per un occidentale rappresentano dei simboli ma per uno stratega militare dell’Impero russo zarista o dell’Unione sovietica sono solo strumenti per logorare le forze del nemico mentre questi avanza. A questo, però, le forze di Kiev hanno aggiunto quello che manca a Mosca:
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partner esterni disponibili e rapidi nel rifornire munizioni, equipaggiamenti e sistemi d’arma tecnologicamente avanzati,
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una rete ferroviaria costruita in epoca sovietica per reggere a un assedio (anche se immaginato da Ovest, non da Est),
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un’organizzazione militare riformata per essere efficiente anche se non necessariamente snella,
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delle forze armate - militari e paramilitari - in quantità abbondante e ben addestrate, spesso secondo standard NATO.
A questo, dobbiamo aggiungere che Mosca patisce l’handicap di una leadership accentrata e autoritaria, spesso rancorosa, che non ammette i propri errori ed è continuamente a caccia di colpevoli da punire. Insomma, i Russi hanno un boss in stile “armiamoci e partite”, gli Ucraini una squadra che li guida.
Il generale col cuore matto
Dicevamo che Putin non smette mai di cercare responsabili per i suoi insuccessi. Sarà un caso che il “fedelissimo” Shoigu da quasi due settimane non si mostra in pubblico, fa circolare voci di una sua sofferenza cardiaca e, quando appare in una teleconferenza col Cremlino, è in un video vecchio di molte settimane. Soprattutto, fa credere agli occidentali che il Pentagono sappia tutto, per filo e per segno e in anticipo, sulle operazioni russe grazie a leakage del FSB, mentre chi, fino allo scorso febbraio, aveva una linea diretta con Washington erano lui e il suo staff. Insieme col capo di stato maggiore interforze Gerazimov, il ministro della difesa pare più interessato a legare la sua immagine al fallimento di un blitz per prendere Kiev e le città dell’Ucraina orientale, piuttosto che al lavoro da beccai che stanno portando avanti i suoi sottoposti, immaginiamo agli ordini diretti di Putin, in quest’ultimo periodo.
Pulizie etniche in corso?
Centomila a Mariupol, duecentomila a Kherson. I civili ucraini stanno fra i piedi ai “beccai” del Cremlino, contribuendo alla difesa della “città di Maria” e protestando ogni giorno nella cittadina a nord della Crimea. Si ricorrono le voci di una prossima deportazione, al di là del confine russo, di entrambe le popolazioni, allo scopo di punire la cocciuta resistenza di questi russofoni alla campagna di “liberazione” condotta dal fratello maggiore di Mosca. Ricordiamo che la Russia ha adottato, da meno di due mesi, una legislazione piuttosto inquietante in materia di sepolture di massa e di trasferimento di popolazioni da un territorio all’altro. Qui di seguito, trovate la copertina della legge e una descrizione, infantile ma efficace, di come si possono seppellire fino a 800.000 corpi.
Mariupol: il mestiere dell’assediato in una città destinata a cadere
Cancella le scritte sui muri graffitate dalla quinta colonna di Mosca negli ultimi mesi: non sono segnali per attacchi missilistici o colpi di artiglieria, ma indicano percorsi agevoli per penetrare nel cuore della città. Approfitta di ogni maceria: un palazzo in piedi non serve a nulla e con le strade attorno facilita il passaggio dei tank e i loro cannoneggiamenti; un palazzo crollato con le strade ingombre di calcinacci è una barriera insuperabile per i carri anche nel XXI secolo, specie se la guerra ricorda quelle di inizio Novecento. Passa i mesi precedenti il conflitto ad addestrare le tue truppe e i volontari, a raccogliere scorte di acqua e cibo non in grandi stoccaggi ma in mille posti diversi, ad accumulare munizioni e armi per un lungo assedio e per il modern urban warfare. Ciò fatto, attendi che il nemico avanzi. Tienilo impegnato per settimane, se possibile per mesi. Distrailo con obiettivi simbolici che a te non servono a niente ma a lui possono costare un intero battaglione in poche ore. Approfitta del fatto che il nemico spesso non segue le regole basiche della guerra ma si dispone in colonna, magari alle spalle di un minaccioso TOS-1, dimenticando che un’arma micidiale che spara solo in una direzione e ha tre fianchi sguarniti non è decisiva. Non sprecare colpi: affondare una nave che porta riferimenti o annientare una squadra di elicotteri a terra vale come abbattere un generale. Se non di più. Addestra decine di cecchini, perché anche il giorno in cui l’ultimo combattente sarà stato eliminato, loro continueranno a far sanguinare l’invasore. Non pensare nemmeno se hai davanti ceceni o russi: il miliardario Kadyrov fa più rumore sui giornali che sul campo. Ripeti tutto questo ogni giorno e, come quelle divisioni che coprirono la ritirata di Dunkerque, non considerare nemmeno la possibilità di poter essere messo in salvo: i tuoi nemici hanno l’obiettivo di prendere la tua terra, a te basta prendere la loro vita.
Kiev: persa un’offensiva, se ne fa un’altra
Non ci facciamo illusioni: il costo della vita umana per le forze armate di tutti i Paesi ex sovietici è inferiore a quello dei proiettili. Questo vale per gli aggressori russi e, pur con qualche distinguo, per i difensori ucraini. Truppa e ufficiali sono carne da cannone e lo sanno bene: sono stati addestrati a non curarsene. Per questo, tradizionalmente lo stato maggiore russo, come appare sempre più nei media, non investe nel vitto, nella qualità della vita, nella sicurezza dei mezzi e nemmeno nel miglioramento dell’assistenza medica per i propri combattenti. Così, una volta ridotta al lumicino una forza della consistenza in 60-70 km di mezzi e uomini messi in colonna, ecco che si preparano a lanciarne un’altra su Kiev. Partirà di nuovo dalla Bielorussia e forse coinvolgerà anche soldati di Minsk guidati da ufficiali e sottufficiali russi, perché non si sa mai che una volta entrati in territorio ucraino si consegnino al nemico pur di non combattere. L’offensiva sarà preceduta da bombardamenti paragonabili a quelli che hanno martellato Mariupol, perché al Cremlino non importano certo i capolavori architettonici e d’arte custoditi nella capitale ucraina. Se Washington farà a tempo a consegnare a Kiev sistemi antimissile efficaci, la storia di Mariupol, di fatto ridotta in macerie, non si ripeterà pari pari. Quanto all’avanzata via terra, la larga gola a sud dell’aeroporto Antonov, la città di Chernihiv e l’area di Brovary stanno ancora ad aspettare di essere espugnate. Magari stavolta i Russi ci riusciranno. O magari no. Quanto ai missili, sembra che fra il 50 e il 60% di quelli russi non colpiscano il bersaglio: in queste condizioni, riempiranno le strade di macerie come i difensori ucraini cinicamente (ma realisticamente) si augurano.
Attacco a Ovest
E se le truppe di Minsk - integrate da uomini e mezzi russi - e quelle della Transnistria fossero lanciate in una manovra a tenaglia da nord (in direzione sud-est) e da sud (in direzione nord-ovest) sull’Ucraina occidentale, per tagliare i rifornimenti che dalla frontiera polacca giungono a Kiev? Se a guidarle ci fosse Guderian e se la distanza fra i due estremi non fosse di oltre 700 km, tutti all’interno dell’area più ostile e densamente popolata dell’Ucraina, la cosa potrebbe anche funzionare. Tuttavia, per scendere da Brest, dove si trova l’armata del sud della Bielorussia, fino all’oblast di Lusk puoi attraversare solo due o tre gole, dove l’orografia non gioca a favore degli attaccanti. Diverso è il caso della penetrazione in direzione nord nord-ovest dalla Transnistria: potrebbe avanzare abbastanza da creare un ostacolo, anche se rischierebbe l’insaccamento e si troverebbe con linee di rifornimento poco sostenibili. Sempre i separatisti russi della Moldova potrebbero essere diretti in direzione sud-est verso Odessa. Tuttavia, la città ha ottime artiglierie a difenderla.
Attacco alla Polonia
Una volta arrivati al periodo a cavallo fra il primo e il nove maggio, Festa del Lavoro e anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale, se i Russi non avranno occupato stabilmente Kiev e gli Ucraini avranno ancora una capacità di combattere sufficiente ad infliggere danni importanti alle forze di Mosca, allora il Cremlino potrebbe prendere la decisione di allargare la guerra alla Polonia, colpendo con missili convenzionali o con testate nucleari tattiche le basi al confine fra Polonia e Ucraina. Sì, ciò rappresenterebbe una escalation del conflitto e comporterebbe una reazione della NATO. Tuttavia, è probabile che Putin creda che detta risposta non sarebbe diretta contro la Russia, per non scatenare una guerra nucleare, ma interesserebbe solo il territorio dell’Ucraina e forse della Bielorussia. Un allargamento del conflitto potrebbe giustificare, sul fronte interno, le misure liberticide e il perdurare della censura, oltre a ulteriori impieghi dii armi nucleari tattiche sul territorio ucraino allo scopo di indurre il governo di Kiev alla resa.
Prima di finire, non dimentichiamo che la Russia ha dei limiti legati anche all’economia del Paese, indipendentemente dalle sanzioni. Un’analisi comparata la dice lunga sulle debolezze del gigante euroasiatico:
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il bilancio federale ha le dimensioni di quello spagnolo, cioè un quindicesimo degli Stati Uniti, un nono della Repubblica popolare cinese e un quarto della Germania,
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le spese militari sono tredici e quattro volte inferiori a quelle di Washington e Pechino,
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il PIL russo è inferiore a quello di Italia, Canada e Corea del Sud: pur avendo meno di un terzo della popolazione russa, il PIL spagnolo è di appena il 10% più basso,
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il PIL pro capite russo è inferiore a quello della Cina popolare, della Romania e dell’Iran, più o meno come quello della Bulgaria, cioè del Paese più povero dell’Unione europea: riferendoci solo alla “vetrina” della Russia, cioè a Mosca, il PIL pro capite dell’oblast della capitale russa è paragonabile a quello del Montenegro mentre molte province non raggiungono la “ricchezza” di Gibuti e del Bhutan,
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l’aspettativa di vita di un uomo adulto in Russia è inferiore a quella di uno in Moldova, Guatemala e Nepal, di quasi 14 anni inferiore all’Italia,
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la spesa pro capite in salute del governo russo è inferiore a Bulgaria, Montenegro e Romania,
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il governo russo offre questi servizi e investimenti a una popolazione di 145 milioni di abitanti, la nona più grande al mondo.
La conclusione di questo nostro ragionamento è che nelle prossime 5-6 settimane la guerra si dovrebbe spostare dal quadrante sud-orientale a quello settentrionale e occidentale, stante la doppia mission di Mosca di prendere la capitale ucraina e di interrompere i rifornimenti. Se nessun obiettivo importante sarà raggiunto e la leadership di Putin sopravviverà, l’allargamento della guerra sarà inevitabile.