“Ti è arrivata la cartolina!” Questa frase è riecheggiata in tutte le famiglie italiane, che avevano almeno un discendente maschio dall’unità d’Italia, ovvero 1861 fino al 2005, quando è partito l’ultimo contingente di leva.
La tanto temuta cartolina per 144 anni ha annunciato a tutti i maschi italiani che erano stati precettati per andare al distretto militare per la visita dei “tre giorni”, che per molti ragazzi diventava la prima occasione di viaggio, ma soprattutto di screening generale. Dopo i tre giorni li aspettava il C.A.R. (Centro Addestramento Reclute, ndr) il giuramento e l’incorporo al reggimento, poi una routine giornaliera fatta di sveglia, cubo, marce, nonni, azzurrine, consegne, licenze, corvè e via dicendo. Insomma si veniva catapultati appena diciottenni in un mondo di responsabilità a differenza di quello ovattato della famiglia e che per molti figli maschi d’Italia è stata una scuola di vita e un passaggio dall’essere ragazzi all’essere uomini.
La chiamata di leva ha sempre suscitato amore e odio, per alcuni era la possibilità di una vita diversa e un’opportunità di lavoro, per altri un’esperienza da raccontare come tutti i maschi della famiglia e per altri ancora una scocciatura che faceva perdere un anno di università e via dicendo. Insomma la naja era un insieme di cose che provocava sensazioni contrastanti, ben sintetizzate da una frase scritta nel mio armadietto da militare cioè: “la naja è come una cortigiana molti la fanno ma nessuno la ama!”.
Lo scorso luglio trascorrevano quindici anni dalla fine della leva obbligatoria, ma cosa è stato il servizio militare obbligatorio?
Anzitutto dobbiamo dire che la coscrizione obbligatoria di una classe è iniziata con l’unita d’Italia, e con essa si sono combattute campagne coloniali, due guerre mondiali, la guerra fredda fino alla caduta del muro di Berlino, per arrivare ad essere messa in discussione all’incirca nei primi anni 90.
Il servizio militare è stato per molti anni uno strumento sociale, infatti dopo aver riunito l’Italia facendone una nazione bisognava fare gli italiani, che fino ad allora erano stati sudditi del Regno delle due Sicilie, di Sardegna, ecc. La coscrizione è stato un segno tangibile di uno stato unitario, che si avvaleva dei propri cittadini obbligandoli a prestare servizio per esso giurandogli fedeltà. Ulteriore segno della presenza dello stato italiano nella vita dei suoi cittadini, fu quello dell’adozione della lingua italiana a discapito dei vari dialetti, infatti i distretti militari per velocizzare l’adozione della lingua e per inculcare un senso d’identità nazionale, avevano molta cura di destinare un ragazzo del sud al nord e viceversa, eccezion fatta per i reggimenti alpini, cosi che anche la barriera linguistica cadesse.
Il dibattito sulla possibilità di abolire la leva obbligatoria nasce agli inizi degli anni novanta, dal cambiamento nell’uso della struttura militare, il quale iniziava ad essere sempre più strumento di politica estera e organo operativo di organismi internazionali (ONU, NATO, UE, ecc.). La discussione sul proseguire con un esercito di leva o passare a un modello di esercito di professionisti, fu alimentata sia da una parte dall’opinione pubblica sempre più divisa sull’utilità di precettare i giovani, dubbi alimentati anche dai numerosi atti di nonnismo che hanno portato anche a noti fatti di cronaca e dall’altra dagli assetti geopolitici, che all’indomani della caduta del muro di Berlino si andavano delineando. Gli organismi internazionali erano sempre più proiettati ad un impiego operativo di missioni di peacekeeping della Forza Armata.
Questo dibattito si concluse con l’adozione della legge 14 novembre 2000 n° 331, detta anche legge Martino, che ha sospeso la naja riformando la forza armata con l’istituzione dei volontari in ferma prefissata. La legge quindi non abolisce la leva obbligatoria bensì la sospende prevedendo di poterla riattivare in casi eccezionali quali guerre e grave crisi. Tra le nazioni del continente europeo esiste ancora il servizio di leva per molte realtà nazionali quali: Grecia, Austria, Norvegia, Danimarca, Svizzera, Estonia, ecc.
L’adozione di un esercito di professionisti voleva innalzare di molto il livello operativo, cosi da diminuire gli organici della Forza Armata e di conseguenza abbassando i costi. Ma è stato proprio così?
In realtà se è vero che molti reparti di leva avevano un livello operativo basso, vi erano molti in grado di operare egregiamente in ambienti multinazionali ad alto livello operativo.
Ad oggi la ventennale esperienza di missioni all’estero, il sempre maggiore utilizzo dell’esercito per usi civili (basti pensare all’ormai decennale operazione Strade Sicure che raccoglieva l’eredità delle “missioni domino” o l’impegno in Protezione Civile nelle calamità che hanno colpito il nostro paese), la carenza infrastrutturale, per non parlare dell’innalzamento dell’età media dei nostri soldati, ci suggeriscono che una FF.AA. totalmente di professionisti ha i suoi limiti.
Sulla base di queste esperienze si dovrebbe prevedere una qualsivoglia forma militare transitoria, da poter essere impiegata in compiti che non richiedono elevati doti militari e che abbia un costo ridotto, ma sicuramente di elevata utilità sociale. La creazione di una riserva di personale prontamente impiegabile, potrebbe risolvere molti problemi come del resto avviene in altre nazioni europee e non.
Immagini: ministero della difesa