Quando usi un’arma o applichi una tattica in guerra, lo fai per un solo motivo: ti porta dei vantaggi nel vincere o, se sei messo male, nel contenere meglio il nemico. Questo è l’approccio con cui nelle nostre teste abbiamo cercato di razionalizzare l’assedio di Mariupol da parte delle forze russe: in tre mesi l’artiglieria e i sistemi missilistici del Cremlino hanno praticamente raso al suolo o reso di fatto inagibili tutti gli edifici residenziali, amministrativi ed industriali su un territorio di 166 chilometri quadrati, vale a dire poco più di Bologna. Nel fare ciò hanno causato la morte di almeno 22.000 persone e deportato quasi 50.000 persone, di molte delle quali si sono perse le tracce.
Oggi, dei 430.000 abitanti presenti il 23 febbraio rimangono all’incirca 100.000 persone, prive di acqua corrente, assistenza medica e dei più elementari servizi. Ma tant’è, l’orrore si può ancora razionalizzare: non trasforma una guerra barbara e la conseguente pulizia etnica in un qualcosa di accettabile, ma ci fa pensare che l’hanno fatto per conquistare un pezzo di territorio. Il vuoto ci fa spavento: dobbiamo riempirlo con la ragione.
Lo stesso vale per la battaglia per la conquista dell’oblast di Luhansk, che è ancora in corso: città come Rubizhne, Stara Krasnianska e Severodonetsk sono state rase al suolo. L’area martirizzata non arriva alla superficie di Lodi, che è la quinta provincia più piccola d’Italia, ma ha interessato più di mezzo milione di residenti, con un numero di morti civili inferiori a Mariupol solo perché la popolazione ha avuto il tempo di scappare.
Qui, il nostro “schema mentale” entra un po’ in crisi perché l’annientamento di tutti gli edifici e delle strade in aree come Rubizhne non ha corrisposto ad alcuna attività miliare in loco: in pratica, la cittadina - poco più di 50.000 abitanti un anno fa, più o meno quanto Siena - oggi non esiste più, cimiteri compresi, ma non è stata di alcun vantaggio a chi l’ha voluta devastare. L’hanno fatto perché gli andava di farlo… Proprio per questo, parliamo più volentieri di Severodonetsk, sede di scontri veri, che di Rubizhe, così irrazionale e illogica da farci spavento.
Poi, ti rendi conto che ogni giorno l’artiglieria ma soprattutto i sistemi missilistici russi colpiscono di tutto, senza una logica apparente, ma soprattutto senza - ci si passi il termine - neppure il dubbio che potesse trattarsi di un edificio a uso “duale”, come potrebbe essere il caso di una fabbrica o di un deposito. Sì, perché è ovvio che in guerra - anche se proprio ai Russi non piace usare questo termine… - è normale colpire una ex scuola piena di soldati in quanto adibita a caserma o una fattoria stipata di munizioni invece che di foraggi. Lo stanno facendo in questi giorni gli stessi Ucraini, “esercitandosi” a usare le nuove armi occidentali capaci di colpire a distanza. Ma non si capisce come mai un allevamento di bovini sia stato bersagliato in modo intensivo, pur essendo solo un recinto con gli animali e il fieno: in Italia abbiamo preso in giro i soldati che in Friuli durante una famigerata esercitazione hanno “attaccato” un pollaio.
Ma qui la cosa non fa nemmeno ridere i polli… O forse sì, se pensiamo che all’inizio di giugno, forse mirando sui primi bagnanti, un missile da mezzo milione di dollari ha colpito e annientato al primo colpo… un bagno pubblico sulla spiaggia a Odessa. Ma se qui siamo stati un po’ sul faceto, non ce la sentiamo di ridere per i missili lanciati contro ai condomini o i centri commerciali affollati di gente negli ultimi giorni.
Le mappe satellitari mostrano chiaramente che il condominio colpito a Kiev nel weekend era in una selva di altri palazzi, in una zona densamente abitata, mentre il centro commerciale - trasformato in un mare di fuoco domenica - era un colossale shopping mall isolato da tutto il resto. Insomma, chi li ha colpiti li voleva colpire e sapeva che erano pieni di civili.
Si tratta di crimini di guerra? La probabilità che lo siano è altissima, ma il punto è un altro: che vantaggio hanno portato dal punto di vista militare? Paradossalmente, si riescono a “razionalizzare” persino pulizie etniche e annientamenti delle città, che sono, azioni esecrabili e punibili, ma per un ufficiale incallito dalla violenza della guerra urbana sono consequenziali alla ricerca del successo. Ma i missili sui civili, no. Non portano alcun beneficio: anzi, sottraggono armi che potevano essere usate altrimenti.
Ora, il fatto è che o gli ufficiali e il loro staff pianificano male o queste azioni hanno un mandante che sta molto in alto ed è abbastanza potente da ritenersi impunibile e poter costringere i sottoposti a compiere azioni abominevoli. Sapete di chi parlo…
Allora, come valutare queste azioni? Sono crimini, ma non solo. Sono atti di terrorismo? Sì, lo sono. Ma l’uso del terrore a scopo politico-militare non li contiene, perché la popolazione non reagisce chiedendo ai propri leader di capitolare davanti ai Russi, anzi chiede vendetta.
Di che cosa si tratta, in conclusione? Siamo italiani. Noi conosciamo bene che esiste un’organizzazione che pratica l’uso della violenza a scopo punitivo e di reazione, anche senza ottenere un beneficio: basta colpire la vittima, non serve neppure cercare un vantaggio. L’importante è far vedere che tu puoi colpire quando vuoi, dove vuoi e con i mezzi che vuoi. E che non esiti a farlo. Questa organizzazione è criminale e si chiama mafia. Ecco, a noi questo comportamento intimidatorio e violento, manifestatosi nel colpire i civili con i missili in modo vasto e deliberato, a seguito di azioni militari di successo degli ucraini nel Donbass meridionale con le nuove armi, pare dannatamente simile agli attacchi ai Georgofili, al Laterano e alle altre scellerate azioni della Piovra siciliana.
Insomma, è il tentativo del regime russo di confermare il proprio dominio col solo strumento in suo possesso: la violenza. E nel farlo non serve un motivo: quella è roba per i propri militari, dei quali al Cremlino importa meno che dei civili stranieri.
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