Un anno e mezzo fa non serviva certo una mente illuminata per profetizzare che “… il declino delle nostre Forze Armate continuerà inarrestabile …” (Difesa Online del 14/01/2019). La cronaca di questi giorni costringe tuttavia a tirare nuovamente in ballo De Gaulle e riesumare la sua “virtù della disobbedienza”. L’oggetto del contendere questa volta non è la sindacalizzazione delle Forze Armate, figlia dell’ex ministro Trenta, ma la nuova mobilitazione dell’Esercito per “l’emergenza” rifiuti in quel di Reggio Calabria, che fa seguito alle operazioni “ecoballe di Napoli”, “G8 di Genova” e altre similari.
Appare utile una premessa. In Italia si contano, con beneficio di inventario, circa 3.500.000 statali (con competenze e mansioni ben definite), 1.200.000 percettori di reddito di cittadinanza (molti dei quali, come noto, “arrotondano” con attività in nero) e un numero prossimo alle 100.000 unità di immigrati nullafacenti mantenuti e assistiti dallo stato (resta sconosciuto il numero degli … sconosciuti che vagano clandestinamente nel nostro paese). Infine sono da mettere in conto circa 96.500 uomini e donne inquadrati nel nostro Esercito con compiti anche per loro ben definiti e tra questi, per usare una dizione generica, la difesa degli interessi nazionali.
È da sottolineare l’anomalia, divenuta ormai norma, di impiegare le Forze Armate nel loro insieme non per la famigerata “salvaguardia dei sacri confini” ma come parte attiva, in concorso con le forze di polizia, nella gestione del flusso clandestino che viola le nostre coste e i nostri confini terrestri, rappresentando quindi frequentemente l’involontario anello finale della catena alimentata dai mercanti di uomini e dalle varie ONG.
A questo punto entra in gioco la nuova “operazione monnezza” di Reggio Calabria per la quale il ministro Guerini ha dichiarato che “da parte della Difesa non c’è alcun problema. Il dispositivo è quello di Strade Sicure gestito dal ministero dell’interno, noi metteremmo a disposizione le risorse”. Va da sé che le risorse non sono quelle intese “alla Boldrini”, cioè gli immigrati più o meno clandestini, ma i militari dell’Esercito. Non è dato sapere se, considerata la carenza di discariche e di inceneritori e al fine di rendere il servizio pienamente soddisfacente, sia previsto anche lo stoccaggio dei rifiuti all’interno di caserme dismesse o di poligoni sottoimpiegati per motivi ormai noti.
La domanda che si pone ancora una volta è: perché affidare all’Esercito questa nuova missione “Strade Pulite” di competenza di una massa di addetti ai lavori che se ne potrebbe e dovrebbe occupare?
Altra domanda: perché riesumare De Gaulle e la sua virtù della disobbedienza? Qui una risposta c’è: perché non è affatto vero che l’ottemperare a un ordine (politico o militare che sia) dipenda da chi lo impartisce ma (ed è inevitabile!) da chi lo esegue o dovrebbe eseguirlo. E tra gli esecutori sono da considerare sia le figure di vertice sia tutti i militari di qualsiasi livello: dal numero uno al novantaseimilacinquecentesimo uomo della Forza armata. Se infatti uno solo di questi anelli della catena si spezza, che si tratti di un soldato o di un generale, la catena si interrompe e l’ordine non viene eseguito.
In altre parole, visto dal basso: io ho scelto di fare il soldato anche per fronteggiare emergenze vere ma non per fare l’operatore ecologico o il tappabuchi di comodo all’altrui inconcludenza-inadeguatezza-incapacità.
Visto invece dall’alto: quando un superiore impartisce un ordine, nella realtà è sufficiente che chi lo riceve dichiari di ritenerlo immorale o incompatibile con i propri compiti, e quindi irricevibile, perché (incredibile auditu!) basta questo per far desistere il superiore, il quale nella generalità dei casi non riterrà conveniente impiantare “una grana” che finirebbe per nuocere anche alla sua azione di comando o alla sua immagine politica.
Certamente a non pochi comandanti sarà capitato di vivere e trovare gratificanti esperienze di questo genere, così come anche a chi scrive è capitato di dover rispondere con un banale signornò a un comandante di divisione che pretendeva che la Bandiera del battaglione non sfilasse col reparto, oppure, in altra più pesante circostanza, di indirizzare un poco garibaldino non-obbedisco a un capo di Stato Maggiore dell’Esercito che aveva disposto lo scioglimento della Brigata di cui al momento ero comandante. Fu sufficiente la frase “Se lei vuole sciogliere la mia brigata, prima deve sostituirmi come comandante. Io mi rifiuto di farlo” perché l’ordine di scioglimento fosse revocato. E la “Sassari” oggi è ancora lì! È evidente che non c’è eroismo né insubordinazione nel disobbedire a un ordine ritenuto non giusto-o-sbagliato (valutazione che compete a chi lo impartisce) bensì irricevibile secondo la coscienza di chi dovrebbe eseguirlo. Non è in ballo l’insubordinazione ma l’orgoglio del soldato.
Morale: pur confessando di provare ammirazione per i maestri della disobbedienza (ma ammetto di aver preferito sempre De Gaulle a Gandhi e a Don Milani) non vorrei che queste considerazioni incentivassero l’insubordinazione, ma solo inducessero a fare scelte che possono giovare sia alla propria dignità sia al prestigio dell’istituzione di cui si fa parte. E grave sarebbe farsi carico delle “operazioni monnezza” dietro la prospettiva di un compenso (come gli esempi pre-elettorali di questi giorni insegnano), nello stile portiamo da 40 a 70 le ore mensili di straordinario previste per “Strade Sicure… e Pulite”. Resta il fatto che quello del trattamento economico è un aspetto che i vertici militari dovrebbero caldeggiare, a prescindere dalle 29 sigle sindacali che oggi arricchiscono il mondo delle Forze Armate, facendo pressione su un mondo politico che spende prioritariamente cifre folli ed assurde semplicemente per …noleggiare lussuose navi da crociera per la quarantena dei clandestini che continuano ad arrivare dal continente nero.
Il militare di qualsiasi grado che comunque si dichiarasse disponibile a prestare, su base del tutto volontaria, la sua meritoria collaborazione come operatore ecologico o per altre rispettabili attività di manovalanza o di facchinaggio dovrebbe prestare la sua opera indossando non una mimetica da combattimento ma una onesta tuta da lavoro. Senza stellette ... e, sia detto per inciso, mai sotto l’occhio vigile di un solerte carabiniere, come hanno mostrato sul web le imbarazzanti sequenze di carico-scarico dei camion impiegati per il trasporto dei famosi banchi monoposto. Un soldato dell’Esercito Italiano non può essere un “controllato”, e se un carabiniere viene inviato sul posto… che dia una mano, altrimenti rientri pure in stazione!
Foto: ministero della difesa