Presidente, se gli altri non riescono a fare i politici, almeno lei faccia il capo dello Stato...

(di David Rossi)
07/05/18

Dove eravamo rimasti? Sembra ieri, ma è passata già una settimana dal mio ultimo articolo sul presidente del consiglio dimissionario Paolo Gentiloni che ha “volutamente cessato di svolgere - come avevano fatto tutti i governi… fino a oggi, la funzione di… colui che trattiene… le forze soverchianti dell’euroburocrazia e delle altre potenze regionali europee… (cioè) ha deliberatamente innescato… l’ordigno fine del mondo” per bloccare il quale “le forze politiche dovranno coalizzarsi oppure accettare che il Paese sia travolto dall’immane esplosione”.

Ecco, una settimana dopo il presidente Sergio Mattarella paventa uno scenario in cui “non ci sarebbe tempo per scongiurare l’aumento dell’Iva, di varare la manovra finanziaria entro la fine dell’anno e scatterebbe di conseguenza l’esercizio provvisorio per il 2019” oltre a paventare una sterile partecipazione italiana al Consiglio europeo di giugno in cui si gioca il futuro dell’Unione europea e la stessa governabilità del sistema economico e politico italiano. Lo fa lasciando il Paese nelle mani di quelle stesse forze politiche che da due mesi tengono l’Italia in ostaggio, a causa di veti assurdi, frutto di una propaganda nevrastenica, di uno spirito settario anti-italiano e di una campagna elettorale che non si esaurisce ormai dal 4 dicembre 2016: Berlusconi no, Renzi no, Di Maio no…

Il capo dello stato non ha voluto, per così dire, togliere lo smartphone a dei ragazzini drogati di social media che confondono la realtà virtuale con la realtà vera e hanno più che mai bisogno di disintossicarsi: pur riconoscendo, giustamente, che “è doveroso dar vita a un nuovo governo” e che non è possibile prorogare nelle sue funzioni il gabinetto Gentiloni “perché espressione di una maggioranza che non c’è più”, conclude, con una logica da anni ottanta, che intende lasciare che “scelgano i partiti, con il loro libero comportamento, nella sede propria, il Parlamento, tra queste soluzioni alternative: dare pienezza di funzioni a un governo che stia in carica finché tra di loro non si raggiunga una intesa per una maggioranza politica, e comunque non oltre la fine dell’anno; oppure nuove elezioni subito, a luglio oppure in autunno”. Già, la palla resta in mano ai partiti: è come chiedere all’ubriaco di diventare astemio con la sola forza di volontà...

Purtroppo, Sergio Mattarella non è né Giovanni Gronchi, né Oscar Luigi Scalfaro, né Giorgio Napolitano: non vuole imporre niente ai partiti, li lascia fare il loro gioco. Continua, insomma, a dare una lettura “notarile” del suo ruolo, che non trova riscontro né nella storia repubblicana né nello scenario presente del nostro Paese. Sì, perché avrebbe potuto (dovuto?) dire il suo: “non ci sto”, avrebbe potuto (dovuto?) rivolgersi non alle sovrastrutture amministrative ma a veri stakeholder dell’attuale Parlamento, che non sono (o almeno non sono soltanto) quelli che hanno sfilato al Quirinale e a Palazzo Giustiniani in questi due mesi. Basti pensare al rapporto tra Matteo Renzi e il Partito Democratico per capire che cosa intendo. Già, perché così fece il piemontese Scalfaro nel 1994 e nel 1998 quando costruì i governi di Lamberto Dini e Massimo D’Alema assemblandoli come un novello Dottor Frankenstein. Così fece il campano Napolitano nel 2011 e nel 2013, sulle rovine del Berlusconi IV e della fallimentare esplorazione di Pierluigi Bersani.

Pare già di sentire l’obiezione del cittadino qualunque, il signor Mario Rossi (che è parente di tutti, non solo dello scrivente): ma il capo dello Stato non può più di tanto in un regime parlamentare. “L’Italia, purtroppo o per fortuna, non è una repubblica presidenziale”, ti dice: da noi il sistema è diverso e il capo dello stato ha poteri molto più limitati del presidente americano o di quello francese. Rammenta gli USA e i cugini transalpini perché sono i primi che gli vengono in mente dalla lettura (sporadica) delle cronache internazionali e dalla geopolitica da bar: se è un po’ edotto di questioni internazionali, citerà anche la Federazione Russa e l’Egitto, come repubbliche presidenziali. Già, perché negli Stati Uniti è il presidente ha il potere di fare i ministri a suo piacimento: così la pensa il signor Rossi… Salvo poi constatare che in realtà Trump - come tutti i suoi predecessori - può solo nominare i ministri, i quali acquisiscono pieni poteri e doveri solo dopo l’Advise & Consent del Senato. Invece, nel sistema “parlamentare” italiano i ministri sono nominati dal presidente della Repubblica e entrano in funzione… una volta che hanno prestato giuramento nelle mani del capo dello Stato. Punto e basta.

Il presidente del Consiglio (comunemente, il capo del governo) ha solo facoltà di “proporre” i ministri. Insomma, la composizione del gabinetto ministeriale in Italia è decisa spesso da una trattativa tra il capo dello Stato (quando è uno testosteronico) e il primo ministro, senza che il presidente debba mettersi a trattare con il Parlamento.

Mario Rossi a questo punto è perplesso: non ha mai sentito che la Merkel o Rajoy abbiano trattato la nomina dei loro ministri col presidente della Repubblica federale tedesca o col re di Spagna. Per darsi un tono e non perdere le certezze, il signor Rossi a questo punto inizia a elencare i poteri che Trump e Macron - come i loro predecessori - hanno e di cui, secondo lui, Mattarella è sprovvisto come un’automobile senza accessori importanti: sciogliere le Camere senza troppe formalità, inviare messaggi al Parlamento, autorizza la presentazione delle leggi alle Camere, rifiutarsi di rendere esecutive le leggi e i decreti del governo, nominare i funzionari dello Stato, instaurare rapporti diplomatici con gli Stati stranieri, ratificare i trattati internazionali, comandare le Forze armate, dirigere il potere giudiziario, dichiarare la guerra col consenso del Parlamento, concedere grazia.

A questo punto, Mario Rossi si compiace tanto di aver evidenziato la “minorità” del ruolo di Mattarella, che nemmeno si è accorto di averne elencato i suoi poteri, molti dei quali Trump o Macron se li sognano la notte. Già, perché il capo dello Stato ha, per così dire, le chiavi del Parlamento: se lui non ritiene utile al Paese indire elezioni, può tenere senatori e deputati a friggere nel dorato mondo dei palazzi del potere romani come fecero i viterbesi quando chiusero a chiave i cardinali nel palazzo in attesa che si decidessero a eleggere un papa. E chi si assumerebbe l’onere di gestire il Paese durante la captivitas dei nostri politici politicanti? Beh, ci vuol poco a dirlo: dato che non stiamo parlando di interrogare il Parlamento per dichiarare lo stato di guerra, è ovvio che si potrebbe uscire dalla crisi connessa alle clausole di salvaguardia e produttrice di effetti recessivi…a colpi di decreti legge, che nell'ordinamento giuridico italiano, sono appunto atti normativo di carattere provvisorio aventi forza di legge, adottati in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo, ai sensi dell'art. 77 e 72 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Volete un’emergenza più seria di quella in corso? Verrebbe voglia di dire, parafrasando Sidney Sonnino: Torniamo allo Statuto! Che in questo caso è la Costituzione e ci presenta il presidente come garante e simbolo dell’unità e della saldezza dell’Italia: se i partiti non fanno l’interesse del Paese, il presidente deve agire, non seguire la corrente, non lasciar fare (che equivale a lasciar perdere).

Adesso, presidente, agisca adesso: non c’è più tempo.

(foto: Quirinale)