Profughi afgani: questa accoglienza ci rappresenta?

(di Lieta Zanatta)
06/09/21

“Io mi adatto, resisto, per me non ci sono problemi. Ma se i miei figli mi chiedono da mangiare, cosa posso dire loro?”

A parlare è uno dei profughi afgani, a nome di un gruppo di cinquanta, inviato in un hotel a Torino di Sangro Marina in provincia di Pescara venerdì pomeriggio 3 settembre, dopo essere passato per il primo campo di accoglienza gestito dalla Croce Rossa ad Avezzano all'arrivo in Italia.

Sono 4890 i profughi afgani arrivati nel nostro Paese con il ponte aereo della nostra Difesa creato da Kabul, dopo la presa della capitale da parte dei talebani a ferragosto.

Tutti loro sono stati distribuiti nelle varie strutture ricettive d'Italia che hanno dato disponibilità. Sistemazioni più che decorose, in basi militari, in hotel, pensioni e residence, per poter effettuare la quarantena e poi passare alla fase dell'accoglienza vera e propria.

Tanti profughi hanno portato con se una valigia con poche cose, alcuni sono arrivati senza neanche quella, persa nel carnaio che aveva intasato l'Abbey Gate, l'ingresso dell'aeroporto di Kabul nei dieci giorni che hanno impegnato il contingente italiano nell'evacuazione. Tutti ringraziano per essere stati salvati e per come sono stati ricevuti in Italia.

Ci sono però delle eccezioni, in negativo, come quella di Torino di Sangro Marina. Al loro arrivo in hotel, ai profughi è stata consegnata una camera per ogni tre, quattro persone, a seconda del nucleo familiare. Alla sera è arrivata la cena con il catering.

Il giorno dopo qualcuno chiede preoccupato se l'acqua del rubinetto della cucina sia potabile, perché servita a cena in alcune vecchie caraffe di plastica dall'aspetto poco invitante. Altri si domandano perché non ci sia acqua calda per lavarsi. Se lo chiedono fra di loro, perché non ci sono responsabili in hotel. Solo due operai, che rispondono continuamente che non sanno nulla e rimandano tutti a lunedì, quando dovrebbe farsi vivo un addetto.

Alla sera arriva la cena: del riso con del pesce, niente verdura né frutta. I bambini hanno fame, chiedono un succo, un frutto che non ci sono. I genitori si preoccupano, non sanno a chi rivolgersi, fanno alcune telefonate e chiedono aiuto.

Oggi alcune foto ci restituiscono le immagini dello stato effettivo delle cose.

Le camere sono state consegnate senza essere state pulite. Polvere dappertutto, materassi rotti, bagni con sporco incrostato su piastrelle e sanitari, lavandini intasati, a qualche wc manca la tavoletta.

Non sono state consegnate coperte, né i kit per l'igiene personale, sapone o bagnoschiuma. E pazienza che che non funzioni il climatizzatore, ma l'acqua calda manca del tutto, più che mai indispensabile, visto che alcuni bambini sono raffreddati.

Nella sala che fa da refettorio alcune sedie sono rotte, la pulizia per terra è carente. La cucina è in uno stato igienico impressionante. Per fortuna non viene usata perché ai pasti ci pensa il catering, ma l'acqua che si beve durante i pasti viene presa da quei rubinetti e lascia tracce oleose nei bicchieri dove viene bevuta.

La colazione alla mattina consiste in un po' di latte caldo in una caraffa di plastica, messa su un tavolo. Niente tè o perlomeno un po' di caffè. L'unica "zuccheriera" è lo stesso pacchetto di zucchero dai lembi accartocciati. I bicchieri sono di plastica. Su una vaschetta ci sono dei biscotti sciolti dove tutti pescano liberamente. Non ci sono disinfettanti per le mani o dei guanti per la profilassi anti Covid.

Qualcuno si ingegna e riesce a farsi un tè con un vasetto di vetro di conserva che è riuscito a recuperare.

Altri vanno fuori alla ricerca di un supermercato per comperare qualcosa, perché i bambini chiedono da mangiare. Ma anche solo per prendere una bottiglia di acqua: quella che bevono dal rubinetto, lascia delle tracce oleose, probabilmente la caraffa non è ben pulita.

Qualche lamentela va a segno: al pomeriggio, qualcuno si fa vivo per consegnare ad ogni famiglia: uno spazzolino a testa (confezioni da tre sigillate e alcuni dati sciolti), un tubetto di dentifricio, un flacone di shampoo e uno di sapone liquido. Gli operai puliscono un po' la cucina, passano il pavimento del refettorio con la scopa.

Alla sera, viene consegnata la cena. Un piatto di riso, una coscia di pollo dalle ossa nere, una cucchiaiata di sugo di piselli e carote. Niente altro. E i bambini chiedono un succo di frutta o almeno una mela da mangiare.

Ora, nei momenti difficili lo spirito di adattamento può essere richiesto agli adulti, non ai minori. Qui ci sono tanti bambini, alcuni di neanche un anno, che da un mese vivono una situazione di emergenza continua, da quando si sono dovuti nascondere con i genitori e scappare in condizioni drammatiche dalla loro patria.

Le condizioni per poterli accogliere richiedono degli standard minimi dignitosi che qui sono ben al di sotto di qualsiasi soglia di umana decenza, anche in paesi che definiamo del terzo mondo.

Gli afgani che stiamo ospitando sono professionisti: ingegneri, insegnanti, gente che ha viaggiato e che conosce bene quali sono gli standard europei. E anche quelli di casa loro, che sono molto più alti del caso in questione“Vogliamo ritornare nelle tende della Croce Rossa” – dicono esausti. “Almeno lì avevamo acqua da bere, i pasti erano buoni e ci si poteva lavare”.

È domenica, e nonostante alcuni giri di telefonate, non si riesce a trovare nessuno per capire chi gestisca questa struttura, se ci sia un referente a cui chiedere informazioni.

Si auspica che le fatture che lo Stato poi pagherà a questi enti o associazioni che si sono proposte, siano adeguate a quanto effettivamente fornito e servito.

(Altre foto e immagini della struttura sono a disposizione delle autorità competenti)