Troppi caduti russi, anche a dar pieno credito alle cifre ufficiali?

(di David Rossi)
08/03/22

La premessa è che non abbiamo la minima certezza, per quanto riguarda la guerra di invasione dell’Ucraina, su morti, feriti e prigionieri: l’unico numero che ha un’alta probabilità di essere vero è quello dei profughi, perché Kiev e i Paesi confinanti contano chi esce da una parte e chi entra in una delle altre.

Non si sbaglia nemmeno a dire che Mosca è stata presa in contropiede dalla resistenza ucraina: come scritto da Al-Jazeera nei giorni scorsi, "si sentono echi dell'intervento russo in Cecenia alla fine di dicembre 1994, quando la leadership russa pianificò una massiccia offensiva corazzata contro la capitale cecena, Grozny, con l'intenzione di organizzare un attacco decisivo con il supporto aereo, facendo affidamento sulla velocità per prendere la leadership cecena di sorpresa e garantire che la Russia tenesse l'iniziativa. Ma le forze cecene erano state preparate da tempo per un attacco contro la città e l’aggressione fu un triste fallimento".

Fin qui, il certo o il molto probabile: il resto è il regno dell’opinione, del dubbio e della propaganda.

Sarà vero, come sostiene il presidente ucraino Zelenski che i soldati russi sono come bambini confusi che sono stati usati e ingannati dai loro capi? Sarà vero che l’Ucraina non ha più capacità di difesa aerea? Saranno vere le notizie di scorte alimentari scarse o scadute, della drammatica moria degli pneumatici, dei motori e dei sistemi di trasmissione dei mezzi, con manutenzione impossibile o inutile, di intere unità abituate a muoversi agevolmente con i treni in Russia e oggi bloccate nel fango ucraino?

Impossibile dirlo: bisognerebbe essere sul posto, ma questa è una guerra in cui conta la distruzione fisica degli avversari, delle loro organizzazioni, dei loro equipaggiamenti e delle infrastrutture. Quindi, è una guerra che potranno meglio valutare gli storici che testimoniare i reporter oggi.

Tuttavia, fanno discutere i dati dei decessi russi. Se prendiamo in analisi i sei giorni di operazioni fra il 24 febbraio e il primo marzo, il ministero della difesa di Mosca dichiara la morte di 498 uomini, a fronte di quasi 5.800 morti russi contati dagli Ucraini. Che si tratti di una cifra propagandistica russa o no, che si tenga presente o meno la brevità (prevista e sperata) della "operazione speciale", basti dire questi 83 morti al giorno sono moltissimi se paragonati - sempre su base giornaliera - ai 9 e 2 morti fra le forze russe durante la prima e la seconda guerra russo-cecena fra il 1994 e il 2009, ai 4 fra le forze sovietici al giorno in Afghanistan fra 1979 e 1989 e ai meno di 2 fra Russi e forze locali in Donbass fra 2014 e 2022. Se anche non vogliamo credere alle stime di Kiev, che parla di 11.000 russi morti dopo dieci giorni e ci vogliamo fidare del dato ufficiale di Mosca, nell’ipotesi che l’intensità dei combattimenti restasse la stessa dei primissimi giorni - ma in realtà ha cominciato ad aumentare in modo esponenziale - le vittime russe in Ucraina supererebbero quelle della seconda guerra cecena a fine maggio e quelle dell’intera guerra afghana prima del prossimo Ferragosto.

Perché tante vittime russe?

Ma perché muoiono così tanto i soldati di Putin? Non ci sono certezze: tuttavia è lecito pensare che non dipenda solo dagli agguati dei combattivi Ucraini, ma anche e soprattutto da probabili carenze organizzative e logistiche dovute al modo in cui la guerra è stata pianificata e condotta finora.

Immaginate di restare feriti in modo serio nell’ampio corridoio in cui si devono tuffare le forze meccanizzate e autotrasportate di Mosca circa 25 km a Nord-Ovest del centro di Kiev: a meno che non restiate prigioniero, non avrete cure risolutive fino all’arrivo in un centro medico attrezzato all’interno della Bielorussia, insomma a più di 100 km di distanza, la maggior parte dei quali fangosi, ingombri di mezzi in panne o sotto il tiro dei droni ucraini. Pensate di avere molte chance di restare in vita? Lo stesso succede a Est, alle spalle di Sumy e di Kharkiv.

Insomma, in queste condizioni, come sostenuto da Antonella Scott su Il Sole 24 Ore, “conoscere il numero preciso delle perdite russe…è impossibile”, anche a non voler dar credito, per non prendere un partito, alle parole di Lyudmila Narusova sulle centinaia di soldati russi che giacciono sulla terra ucraina senza sepoltura; con i cani selvaggi e randagi che rosicchiano i corpi che in alcuni casi non possono essere identificati perché sono bruciati in modo orribile.

Un problema di pianificazione?

Limitiamoci a contare i morti secondo le cifre ufficiali del Cremlino. Sono tantissimi, più di qualunque altro conflitto combattuto da Mosca dal 1945 in poi. Non sarà un caso che un imprenditore europeo, da me sentito nei giorni scorsi, ha fatto questo commento: Hanno clamorosamente fallito il raggiungimento dei loro obiettivi iniziali e stanno cercando di salvare un progetto disastroso. Fossero stati miei dipendenti li avrei messi alla porta da un pezzo. L’obiettivo di una buona pianificazione ed esecuzione di un progetto è guidare il lavoro di un team, in questo caso le forze armate russe, a raggiungere tutti gli obiettivi del progetto entro i limiti dati all’inizio e con la massima soddisfazione di tutti gli stakeholder. In questo senso, tutti gli stakeholder (élite e popolazione russe della Russia, membri delle forze armate e della pubblica amministrazione di quel Paese, popolazioni russofone che avrebbero dovuto essere “liberate”, il partner bielorusso ecc.) sono stati gravemente danneggiati e lasciati senza alcun beneficio, qualunque cosa succeda; insomma, i leader russi hanno già perso e saranno - meglio prima che poi - licenziati!

Foto: MoD Fed. Russa