La mattina del 24 gennaio sono andato di buonora allo stadio Amsicora per rendere l’estremo saluto, come si usa dire, a Gigi Riva. Il suo funerale si sarebbe svolto di lì a poco.
In 80 anni era la prima volta che entravo in uno stadio per … vedere un giocatore. Il giorno prima, appena appresa la notizia del suo inatteso decesso, avevo avvertito l’impulso categorico di vederlo, di sentirne la presenza o almeno di essergli fisicamente vicino per una volta.
Perché? Perché nel corso degli anni mi era capitato spesso di pensare alle cose che ci accomunavano. Tutti e due sardi: lui di adozione e io di nascita … con l’aggravante delle mie radici nuoresi. Eravamo coetanei, lui era più giovane di me di qualche mese. Ancora bambini avevamo entrambi perso il padre e avevamo studiato in istituti religiosi, lui con i gesuiti e io con i salesiani. Entrambi di carattere ruvido e abituati alla fatica e alla vita dura: lui impegnandosi allo spasimo sui campi di calcio ed io nei miei allenamenti di 20 chilometri di corsa con gli anfibi ai piedi, in tuta mimetica, zainetto e borraccia piena d’acqua al seguito; il tutto per superare la selezione ed “entrare” nei bersaglieri oppure per allenarmi per i lanci col paracadute. Entrambi abbiamo vinto uno scudetto: lui nel 1970 con il Cagliari ed io nel 1994 diventando il primo sardo ad avere il privilegio di comandare la brigata Sassari. Negli anni mi era capitato di sorridere quando avevo scoperto che aveva battezzato i suoi due figli Nicola (il mio nome, il più diffuso ad Ortueri, dove sono nato) e Mauro …a San Mauro è dedicato un importante santuario campestre, a metà strada tra Ortueri e il confinante Sorgono.
Nell’attesa di entrare nella camera ardente allestita all’Amsicora ho scambiato due parole con la coppia che mi precede nella fila, i coniugi Mudadu, di Ittiri. “Stamattina ci siamo alzati molto presto per venire a salutare Gigi Riva. Sarebbe dovuto venire anche nostro figlio, ma non ha potuto perché fa il poliziotto a Roma e non gli hanno concesso il permesso”. Intorno a me molte persone silenziose, composte. Molti hanno gli occhi lucidi, che qualcuno cerca di nascondere dietro degli occhiali da sole poco credibili nella fredda mattina invernale. È gente venuta dai quattro angoli della Sardegna; qualcuno dal Continente.
Entro nella camera ardente, sfioro la bara con la mano e per un interminabile istante soffermo lo sguardo sul viso di Gigi Riva. Resto sorpreso dalla serenità che quel viso esprime attraverso l’algido pallore che la morte riserva a chi non c’è più.
Sento la necessità di allontanarmi rapidamente e restare solo; se devo parlare con qualcuno quel qualcuno non può che essere Gigi Riva, cosa che faccio allontanandomi a passo svelto per “recuperare” la mia macchina … che non ho idea dove possa averla parcheggiata.
Camminando confesso a Gigi Riva di non essere stato d’accordo con lui in due sole occasioni. La prima fu quando accettò di farsi promotore della vaccinazione anticovid. Mi devi perdonare, Gigi Riva. Io ti ho capito ma vorrei che anche che tu capissi me. Io sono stato un soldato anomalo, nemico giurato del quieto vivere e pronto persino ad esercitare se necessario quella virtù della disobbedienza predicata dal generale De Gaulle. Quando mi proposero di vaccinare me e i miei familiari con un vaccino sperimentale di cui non si conoscevano gli effetti né l’efficacia risposi come avrebbe risposto un altro generale francese, Pierre Cambronne: “Merde!” E la mia presa di posizione si rafforzò quando dal governo italiano furono emanate leggi-ricatto che disponevano l’emarginazione di chi non si vaccinava, fino a privarlo del lavoro e del relativo reddito.
Questa infamia mi riportò ai miei anni da bambino, quando sentivo raccontare di ignobili individui che nel nuorese sequestravano qualcuno per porre poi ai suoi parenti l’infame aut-aut: fuori i soldi del riscatto o l’ammazziamo. Che a proporre un analogo ricatto fosse un governo in carica mi provocò un analogo voltastomaco. Il tempo sarebbe stato galantuomo e mi avrebbe dato ragione; lo prova il fatto che le superiori gerarchie hanno imposto il segreto su dati significativi di quella gestione pandemica e fanno di tutto per evitare che si indaghi sulla efficacia/inutilità/pericolosità di quel vaccino, cosa che altri (come l’ONS del Regno Unito) hanno fatto giungendo a conclusioni drammatiche, peraltro subito censurate dai nostri governanti.
La seconda occasione di disaccordo è stata recentissima, quando hai deciso di non lasciarti operare al cuore. È inevitabile che l’agonismo sportivo e gli “strapazzi” militari mettano a dura prova il cuore e lascino qualche segno. Quando dieci anni fa un cardiologo scoprì casualmente l’aneurisma della mia aorta toracica, mi propose un intervento piuttosto …“tosto” che io non esitai ad accettare. Confesso di aver scribacchiato un breve testamento prima di lasciarmi aprire il torace e mettere a riposo il mio cuore per sei ore, tempo necessario per sostituire la mia aorta toracica con annessa valvola tricuspide. A cose fatte chiesi al magnifico cardiochirurgo che mi aveva operato “E ora cosa posso fare?” Risposta: “Tutto quello che ti senti di fare”, cosa che sto facendo da dieci anni senza troppi riguardi per il mio cuore. D’altra parte non è colpa mia se la legna per il caminetto casalingo è pesante!
Mi piace pensare, frade meu, che se ci fossimo incontrati qualche giorno ti avrei convinto a farti operare, e Rombo di Tuono avrebbe potuto continuare a toccare con mano ancora per lungo tempo la valanga di stima e il torrente di amicizia che lo sta travolgendo oggi. E poi se a ottant’anni fisicamente non si è più un Rombo di Tuono si può essere un refolo di vento benefico, un punto di riferimento, di sostegno e di orgoglio … quale tu sei stato per la tua/nostra Sardegna.
Nicolò Manca.
PS: un’ultima confidenza che rivela il carattere un po’ permaloso dei sardi. Sentir ossessivamente molti quaquaraquà pro-vax sperimentali definire ossessivamente “soggetto fragile” i Gigi Riva e i Nicolò Manca in circolazione mi ha fatto, come dicono gli inglesi, girare troppe volte gli zebedei. Un Rombo di Tuono può diventare un soggetto cagionevole, vulnerabile, anziano e persino vecchio… ma non chiamatelo “soggetto fragile”.
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