Quarant’anni, sposato, un figlio, stipendio di circa 1500 euro. Parliamo del volontario-tipo dell’esercito italiano. Il reddito, pur decoroso, non consente distrazioni nella gestione dell'economia familiare e, si potrebbe aggiungere, non appare adeguato alla professionalità e alla scontata disponibilità h24 richieste ad un volontario. Si pensi al ciclico impegno in “strade sicure” e alle varie emergenze che vedono i militari in prima linea: dalle pubbliche calamità alla demolizione del ponte Morandi fino all'emergenza sanitaria per il COVID 19.
È comunque noto che, considerata l'impossibilità di allineare il bilancio della nostra Difesa ai parametri europei, non si dispone di risorse finanziarie da destinare al miglioramento della retribuzione del volontario in questione. Appare tuttavia stimolante proporre uno sfrontato parallelo, in un ambito nazionale ed europeo, con le retribuzioni di altri servitori dello stato italiano, di gran lunga superiori a quelle dei pari livello europei.
Interessante constatare, ad esempio, che lo stipendio mensile del nostro volontario è pari a quello giornaliero percepito da un magistrato della Corte Costituzionale. Pur trovando frustrante questo confronto, il nostro volontario può trovare conforto e non sentirsi solo in quanto anche il presidente degli Stati Uniti percepisce uno stipendio pari a circa la metà di quello dei nostri costituzionalisti e, allargando il confronto alla platea del nostro mondo politico, sembra che Trump guadagni meno persino di un parlamentare italiano che allo stipendio somma indennità varie, rimborsi forfettari e molteplici prebende accessorie.
Le cose non vanno meglio se il nostro volontario si confronta con un pari grado del Regno Unito. Un corporal army, infatti, oltre a percepire uno stipendio annuo di poco inferiore a 35.000 sterline, dispone di un alloggio che gli costa 77 sterline di affitto mensile (inclusi i costi per luce-acqua-gas). Il soldato di Sua Maestà inoltre non paga contributi pensionistici, viaggia gratis sul territorio nazionale, non paga tasse per la salute né imposte locali, ragion per cui nel confronto con un connazionale non-militare di pari livello può contare, tolte le spese, su una disponibilità residua mensile di 1232 sterline, a fronte delle 486 del “borghese”.
Tra le proposte tese a individuare risorse per migliorare la situazione del nostro volontario, merita un cenno quella del pacifista di turno che propone di vendere non 5 fucili ma 5 carri armati o 5 cacciabombardieri o 5 unità della marina, operazione che consentirebbe alla Difesa di saldare le note bollette arretrate di luce-acqua-gas ma certamente non di fronteggiare esigenze di respiro strategico, inclusa quella di dare slancio al progetto “caserme verdi” caldeggiato dallo SME a vantaggio proprio dei volontari coniugati con prole.
È giocoforza pertanto ricercare soluzioni parziali e a costo zero, prima tra tutte la vicinanza della sede di servizio del volontario all'habitat parentale originario. Chi gode già di questa situazione sa bene che i vantaggi pratici ed economici che ne derivano sono di rilievo: dall'aiuto familiare nelle emergenze alla comunione di talune spese, senza dimenticare il risparmio sui costi dei viaggi per raggiungere perodficamente le località di origine. Quando la distanza tra queste e la sede di servizio del volontario è notevole o, peggio, c'è di mezzo il mare, le cose e i conti si complicano.
La soluzione-uovo di colombo per migliorare il reddito del volontario, si sottolinea “a costo zero”, è quindi tutta qui: avvicinare quanto più possibile il volontario al paesello natio. Indubbiamente le esigenze, la dislocazione e la tipologia dei vari reparti rappresentano termini del problema da valutare e armonizzare con le esigenze degli uomini, ma non si vedono insormontabili difficoltà per quanto concerne l'impiego dei reparti sia sul territorio nazionale che fuori area. La partecipazione ad una missione in Libano o in Iraq o in Afghanistan o l'impegno nella “strade sicure” non verrebbero condizionate, anzi, ne trarrebbero un indiretto vantaggio stante la miglior disponibilità del volontario dovuta alla consapevolezza di poter contare sul supporto parentale.
Non appare realistica la proposta di reperire risorse a scapito di provvedimenti di ampio e lungimirante respiro quali il reddito di cittadinanza (confermatosi peraltro un facilitatore - per dirla con un vocabolo in voga - del lavoro nero e dell'evasione fiscale) e l'accoglienza di migranti irregolari, considerato che a quest'ultima attività è stato dato novello impulso anche in piena emergenza COVID 19 (vedansi i 276 irregolari di ignota provenienza scarcati dalla francese Ocean Viking a Pozzallo e i 194 africani della tedesca Sea Watch sbarcati a Messina). Riflettendo su questi due ultimi provvedimenti anche il nostro volontario avrà avvertito la pressante necessità di un serio supporto psicologico (si intende indirizzato non agli immigrati clandestini ma ai responsabili - si fa per dire - che hanno voluto, favorito e consentito le due operazioni in concomitanza con i noti rigidi controlli disposti negli aeroporti nazionali per l'emergenza COVID 19. È auspicabile pertanto che dalle due navi ong siano sbarcati, come in passato, soggetti portatori solo di tubercolosi e di scabbia).
Notazione finale: finchè la sede di servizio di un volontario sardo sarà più vicina alle Alpi e agli Appennini piuttosto che al Gennargentu, è probabile che la decisione di mettere al mondo un figlio venga rinviata a ...tempi migliori. Non si può escludere quindi che la proposta di avvicinare i volontari al paesello natio possa avere una piccola valenza anche per riproporre il fascisteggiante (che Dio ci perdoni) “fate più figli” e contrastare così la preoccupante denatalità che affligge molti paesi non solo della Sardegna ma anche di altre regioni d'Italia.
Foto: archivio Esercito / web